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L’ARTE DI AMARE IL LUOGO DOVE SI VIVE

Continuo a scrivere. Non saprei smettere neanche se lo volessi, ma presentare i miei libri, incontrare la gente è una pausa necessaria, un piacere autentico, mi nutre, m’insegna, mi è indispensabile per non inaridire l’inchiostro che conduce per mano le mie frasi.

Il 29 Maggio scorso ero ospite di un’iniziativa organizzata dall’Ing. Giovanni Cecconi di Wigwam Venezia (Associazione Nazionale Protezione Ambiente) nella bella costruzione a colonne bianche della Ricevitoria di San Giuliano, sulla laguna, sede, non a caso del Circolo Canottieri di Mestre. Erano previsti un certo numero d’interventi su temi molto vasti quali il turismo ecosostenibile, l’agriturismo (con testimonianze dalla splendida Maremma) l’inquinamento lagunare, lo studio delle antiche carte cinquecentesche e settecentesche riguardandanti la zona di Porto Marghera, Mestre, con tanto di mappatura di canali ormai scomparsi o mutati nel corso dei secoli.

Ero prevista anch’io, o meglio, io “con le mie ragazze” di “Cosa fanno le mie piante quando non ci sono”  a dare un tocco di fantasia (si fa per dire perchè l’intelligenza e la capacità di comunicare del mondo vegetale è appurata ormai scientificamente) una ventata d’allegria ad una serata funestata da un maltempo che a Venezia trova un precedente soltanto nel maggio 1958.

A conclusione di una serata conviviale, allegra e interessante, più d’ogni altra cosa mi sono portata via l’impressione che tutte queste persone possedessero l’arte d’amare realmente la propria casa d’elezione. Che il segreto di un’autentica sensibilità ecologica fosse tutto in quel senso d’appartenenza a una comunità, una terra, spesso maltrattata e vilipesa, ma sempre incondizionatamente amata. Una sorta di spiritualità laica, trasversale e poliedrica, un senso di continuità col passato che dev’essere una missione nel presente, sembra davvero essenziale per assicurare una prospettiva a chi verrà dopo.

E tornando a casa, sotto la pioggia, mi è venuta in mente una diffusa pratica buddista che si chiama “Toccare la terra” e consiste nel chinarsi 6 volte per sfiorararla con fronte, gambe e mani “per entrare – come dicono – nel mondo delle cose cosi’ come sono”, per dissolvere cioè ogni sentimento di separazione e di distinzione dalla Madre Terra.

Nulla e nessuno puo’ esistere di per se stesso: ogni cosa nell’Universo deve inter-essere con tutte le altre. E queste persone, nella loro semplicità o erudicità, producendo olio d’oliva biologico o allevando animali in modo corretto, cercando di gettare le basi per un turismo compatibile con l’ambiente o battendosi per l’uso di barche elettriche a Venezia e per il rispetto del fragilissimo ecosistema lagunare, parevano aver ben recepito che amare significa non fuggire quel legame d’appartenenza che il destino ci ha affidato. Amare la propria casa è essere quella casa, riconoscere l’inscindibile trama della vita che a lei ci lega.