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OLTRE IL DELIRIO “CORONA VIRUS” RICORDA COS’E’ LA VITA

Vorrei provare a fare una riflessione un po’ diversa sul famigerato Corona virus.
In questa settimana, l’Italia tutta, il Veneto e la Lombardia in particolare, si sono scoperti vulnerabili. La parola che fa paura è CONTAGIO.
Tutti i giorni, naturalmente, si muore per i motivi più svariati: alla fine di lunghe malattie diagnosticate, per un’influenza, un infarto improvviso o per nessun motivo apparente – consunzione, se il corpo è vecchio e stanco – o casualità di un incidente.

I media – i famosi media che dovrebbero aggiornarci su tutto! – non dicono quanto sia aumentato nel mondo il numero dei suicidi.

Fra i 15 e i 29 anni, il suicidio è la seconda causa di morte. Ogni 40 secondi sul Pianeta qualcuno si toglie la vita (800.000 persone l’anno) per non parlare del fatto che l’11% degli under 12 del mondo (verosimilmente nei Paesi più Sviluppati) assume regolarmente psicofarmaci e i casi di autolesionismo fra gli adolescenti sono in aumento. Queste sono le vittime d’infelicità della società che abbiamo costruito!

La Malaria (dati Istituto Pasteur) è la prima causa di mortalità infantile in 91 Paesi del mondo con 216 milioni di casi e 445.000 decessi nel solo 2016.

Il Colera, una costante in molti Paesi che ho personalmente vissuto – senza fare vaccino perchè pieno di effetti collaterali invasivi ed evitabile in condizioni di vita decenti! – colpisce da 3 a 5 milioni d’individui in tutto il pianeta, uccidendo una media annua di 95.000 persone.

Ma le epidemie di casa nostra sono apocalittiche! E soprattutto introducono il SOSPETTO nelle nostre privilegiatissime piccole vite. Ci ricordano che la malattia potrebbe colpire ovunque, che potremmo riceverla con un bacio della zia, prendendo il treno, incrociando la persona sbagliata in ascensore, che magari ci sta pure sulle palle salutare.

Quando ero piccola, in Friuli, conobbi la precarietà da terremoto: l’idea era che non eravamo al sicuro da nessuna parte. Avevo nove/dieci anni e curiosamente di quel periodo, ricordo momenti di bella allegria, grandi mangiate conviviali e tutto un preoccuparsi degli altri, un dare e prendere notizie. Ricordo gente antipaticissima, sempre a dieta e di cattivo umore, tirchia, competitiva e criticona, diventata improvvisamente diversa, rilassata in certo modo, finalmente sgravata dal peso di esercitare il controllo su tutto e tutti.
Ecco, spero che la brutta faccenda del Corona virus (brutta, per chi sta male, per l’economia mondiale) abbia anche alcuni effetti positivi su tutte quelle persone angosciate per nulla, ossessionate da pensieri fissi: invidie, rivalità, rancori, frustrazioni e gelosie; gente che sciupa il tempo e se lo lascia guastare da piccinerie. Spero che gli Stati del mondo, scoprendosi vulnerabili e non protetti da armi e frontiere, ritrovino il bisogno e la necessità di unirsi e cooperare.

Auspico insomma che gli esseri umani ricordino che la vita è apprendimento, esperienza di durata non garantita e che per questo essa vada vissuta pienamente e umilmente senza rimandare a domani il progetto che sognamo, l’abbraccio che non diamo per orgoglio o timidezza, il coraggio di fare il regalo che ci costa…

Oso persino pensare che il senso di precarietà e fragilità di questi giorni ci possa portare attimi di felicità da assaporare fino in fondo. Perchè l’esistenza è un mistero e, come diceva Mahatma Gandhi, “La vita non è aspettare che passi la tempesta, ma imparare a danzare sotto la pioggia”.

BIBLIOTECA LA VIGNA 21 NOV. VICENZA: L’AMBIENTALISMO DEL CUORE E DELLA CONOSCENZA

È stato un bell’incontro quello organizzato dalla Biblioteca La Vigna di Vicenza, importante centro di riferimento mondiale per le ricerche ampelografiche (dal greco antico ampelòs= Vite) e di studio dell’agricoltura, l’occasione per me, non soltanto di presentare il mio romanzo “Cosa fanno le mie piante quando non ci sono” ma anche d’incontrare lettori aperti alle più ampie visioni del mondo della Natura.

Ha rinfrancato le mie speranze infatti il constatare, una volta di più, la straordinaria vivezza di un fermento nuovo nel campo dell’ambientalismo: la consapevolezza della necessità d’imparare chi sono questi straordinari esseri viventi che chiamiamo piante e come da 500 milioni d’anni hanno saputo resistere ed evolversi sul nostro pianeta. 

Nella settimana in cui gli Organismi delle Nazioni Unite rinnovavano agli Stati l’appello a ridurre le emissioni di gas inquinanti, lanciando l’allarme di un effetto serra sempre più fuori controllo;

nell’anno in cui la Nasa ha ufficialmente rivelato che la risonanza Schumann (il cosiddetto battito interno della Terra) è drammaticaticamente aumentata fino a provocare una prima riduzione del campo magnetico terrestre, rendendoci fra l’altro anche molto più vulnerabili alle radiazioni solari;

nel mese in cui un tornado più consono al Centro-Est degli Stati Uniti che all’altopiano di Asiago, falciava decine di migliaia di abeti rossi, mi sono ritrovata a parlare d’intelligenza delle piante, scoperte scientifiche, soluzioni legate alla biodiversità e soprattutto della possibilità concreta anche per noi, di comunicare con loro e vivere meglio.

Poteva sembrare fuori tema, raccontare una storia romanzata in cui la protagonista dà un nome alle proprie piante, condivide con loro i momenti felici e difficili della sua vita, e invece il pubblico ha seguito, consapevole che un nuovo modo d’abbracciare il nostro impegno “verde” passa anche di qui, dalla loro piena integrazione nel nostro quotidiano. Perché conoscere come le piante comunichino fra loro in modalità simili al nostro Internet, sapere come da millenni trovino soluzioni naturali e formulino alleanze di mutuo soccorso per ovviare ai pericoli più diversi, significa davvero fare qualcosa per salvare il nostro mondo dalla catastrofe.

Non si tratta di scatenare rivoluzioni cruente o di tornare all’età della pietra, ma piuttosto di restituire alla terra impoverita da decenni di sfruttamento, pesticidi, ormoni, la sua naturale ricchezza (nel suolo è custodita l’80% della biomassa) riattivando l’antico equilibrio vitale, fatto di repellenti e anticrittogamici naturali, cicli di crescita compatibili con le necessità della pianta, biodiversità.

È un cammino lungo. Certi errori, commessi fin dagli anni ’60 hanno avuto conseguenze in parte irreversibili, ma molto si può ancora fare. La nuova militanza ambientalista, però, dev’essere consapevole, di buon senso e costante nel tempo. A nulla serve l’impegno di qualche mese per la salvaguardia di questo o quell’animale, se non abbiamo acquisito sane abitudini di vita nel modo in cui facciamo la spesa, ci occupiamo dei nostri rifiuti, accudiamo gli alberi delle nostre città e le piante nelle nostre case,  nella maniera in cui nutriamo noi stessi e i nostri figli.

Il buon senso passa attraverso la conoscenza e il cuore. L’umiltà di capire che la salvezza è possibile soltanto grazie all’osservazione di come si comportano loro, le piante, e all’apprendimento degli insegnamenti che da sempre silenziosamente sussurrano all’uomo.