SE IL COVID FOSSE…

Se il covid fosse una punizione, ti direi che ce la meritiamo. La Natura non ne puo’ più di riparare i nostri danni e salvarci;
Se il covid fosse un consiglio, ti direi, ascoltalo, ti sta dicendo che sei fragile e mortale e te lo eri dimenticato purtroppo;
Se il covid fosse un regalo, ti direi, accettalo, è più utile di quanto pensi e rifletti a cosa puoi farne per migliorare le cose per te e per gli altri;
Se il covid fosse un insulto, ti direi, cerca di capire quale aspetto di te ha tanto offeso, perché forse va guarito e cambiato e un po’ di ragione ce l’avrà pure lui!
Se il covid fosse un timer, ti direi, inizia a contare gli anni della tua vita nuova e apprezzali;
Se il covid fosse un appuntamento, ti direi, preparati e metti l’abito più bello, chissà dove ti porterà;
Se il covid fosse un sentimento, ti direi, coltivalo e non lasciarlo rovinare dalla paura di sbagliare. S’ammala chi non sogna e non rischia;
Se il covid fosse soltanto un virus, ti direi, che neanche gli scienziati ne hanno capito molto, e lui lo sa, si diverte moltissimo ad ascoltare i virologi alla Tv!

Ma se il covid viaggia cosi’ tanto, allora vuol dire che è un messaggero…ci pensi?! Di pace o di guerra, devi deciderlo tu. Di cambiamento della tua vita, se vuoi. Di grandi pulizie per la Terra e per l’umanità, se solo cominciassimo tutti insieme a rispettarla davvero.

E ti direbbe che le difese immunitarie, le decidi nel profondo della tua anima.

E ti direbbe che hai bisogno d’alleggerirti se vuoi andare più lontano.

E ti direbbe che puoi salvare il mondo, se cambi te stesso e scegli la tua verità. Se lo farai, se lo faremo in molti, lui non tornerà. Scommettiamo?

NIENTE AUGURI, MOLTO DI PIU’

Una preghiera e non un augurio; un proposito e non un desiderio; un’intenzione e non una promessa. In questa fine d’anno…

A TE, con affetto e gratitudine

– Che il bavaglio rafforzi il tuo pensiero, affinché raggiunga le cime degli alberi;
– Che il tuo silenzio sia più potente di ogni replica;
– Che ai tuoi piedi spuntino le ali della tua anima e tu possa raggiungere i confini estremi della tua vita;
– Che il mondo nuovo entri in empatia con te, perché tu non odi più nessuno, nemmeno te stesso;
– Che chi ti vuol male capisca che è inutile, tu sei inarrivabile, come la sorgente del sole;
– Che chi ti ama davvero, sappia, che ogni tua cellula ne avrà memoria, per sempre;
– Che il coraggio ti aiuti a colmare le lacune della vita e ti renda libero dal gioco subdolo dell’ombra;
– Che il sonno depuri la tua anima, quand’è stanca, e sciolga per te i dubbi amari;
– Che tu comprenda che i conti tornano sempre, ma la matematica dell’Universo esige cuori addestrati;
– Che la leggerezza e la gioia scendano su di te, come pioggia di stelle, perché se brillerai, il cielo, tutto, ne sarà inebriato e avrai fatto ciò che dovevi, in questa dimensione e nell’altra.

L’inifinito ti chiama, per andare sempre più lontano…scegli! L’anno non conta.

L’AUGURIO SPECIALE DEGLI ALBERI

Non possono certo mancare gli auguri in questa fine d’anno martoriata, ma preferisco affidarmi alla saggezza degli alberi per un auspicio saggio e un incoraggiamento sincero, con la speranza di raggiungere tutte e tutti, cari amici di blog, con la mia più completa gratitudine per quest’anno passato insieme.

E così, forti e delicati, il frassino, l’olmo e il salice ci invitano a rafforzare noi stessi indipendentemente dagli altri. Loro lo sanno, perché vivono spesso in luoghi impervi, al limitare d’argini e corsi d’acqua, perciò curiamoci da soli e contiamo, come loro, sulle nostre forze, insospettabili risorse quando la vita si fa difficile;

il noce approva e ci invita ad affrontare il non-detto con coraggio e determinazione, là s’annida la paura che ci paralizza. Una volta per tutte, allora, diciamoci la verità e la palma, col suo ciuffo scarmigliato, aggiunge un po’ di gioiosa follia al proposito, incitandoci ad essere fieri della nostra unicità e a osare, perché niente è prestabilito e tutto può cambiare se cerchiamo la nostra versione di felicità;

ulivo e quercia invitano alla resilienza, perché niente può essere fatto in un baleno, il nuovo dev’essere attratto con energie fresche e pure, e costruito passo dopo passo;

il pino sa che con l’impegno tutto è possibile e non bisogna avere sensi di colpa nel lasciare il vecchio che non ha più ragion d’essere;

e il pioppo s’arrabbia un po’ a sentirglielo dire, ma sa che ha ragione e ci vuol tempo per guarire le ferite e rinascere con l’entusiasmo della fanciullezza;

il ciliegio avvolge tutti con la sua bellezza fragile e pura e ci ricorda che chi ci ama davvero non strapperà i nostri fiori, li raccoglierà con cura, anzi, quando si staccheranno dal ramo e li amerà ancora di più quando galleggeranno sul filo dell’acqua, come ninfee in un quadro di Monet;

il bambù si commiata con un inchino flessuoso, ma sorride perché sa che non è un piegarsi servile, ma un gesto di pace, coraggio e intelligenza: unire la forza tranquilla del tiglio e la capacità del cipresso di perseguire i propri sogni fino in fondo, questo il suo consiglio e l’augurio degli alberi tutti…

Vi abbraccio. E… restate curiosi…!!

TUTTI I SEGRETI DI ANNE…

LE MIE PIANTE E IL SEGRETO PIU’ GRANDE  La recensione del Prof. Giovanni Incorvati

prof. di Filosofia del Diritto alla Sapienza di Roma, docente di Bioetica Univ. di Camerino

Il nuovo romanzo di Francesca, prosecuzione del suo precedente Cosa fanno le mie piante quando non ci sono, si presenta esattamente all’altezza delle promesse. La risposta al titolo della prima opera è al fondo del titolo della seconda. La figura centrale di Anne e quelle delle sue piante (tra cui le care Giò e Maria Juana, nel frattempo “defunte”) mantengono la loro posizione nel titolo, con in più l’arrivo tra di loro di due new entry. Ma nell’espressione “le mie piante” ci sono diverse interpretazioni dell’aggettivo “mie”, tra cui occorre distinguere: piante di chi esattamente? Nell’appartamento di Parigi esse continuano tutte a convivere insieme con il lascito di Julien, l’amato artista, compagno di Anne, scomparso tragicamente un anno prima. Dipinti da lui, alle pareti ci sono evidentemente i ritratti di Anne nelle sembianze di ciascuna di loro, e sia gli uni che le altre presenziano, come “testimoni oculari” o “immaginari”, alle nuove notti di Anne, quando la memoria di Julien vorrebbe colmare quei vuoti che continuamente si riaprono in lei.
Le potenzialità di una simile assemblea in miniatura rispetto a questo senso acuto della mancanza sono anche più profonde. Sotto il profilo formale della scrittura, vi corrisponde un’invenzione originalissima. Il cosiddetto “io narrante” non appare più singolare e compatto nella sua apparente identità con l’“io narrato”, come vorrebbe un’affermata consuetudine letteraria, ma tende a identificarsi con un soggetto collettivo a cui fa da portavoce. D’altra parte, l’“io narrato” di Anne impara a conoscere il proprio “sdoppiamento” e l’esistenza di un “terzo occhio”, di un “noi” più vasto, che ha, sì, il compito di prendere con le pinze le idee e i comportamenti di Anne, ma non si limita solo a questo.
In effetti, l’identificazione è non solo con le piante di appartamento, ma anche con gli alberi del mondo: sia con alcuni di quelli tra i più comuni nel paesaggio europeo, sia con altri assai diffusi in America Latina. Ad essi. nel titolo di ciascun capitolo, si accompagnano specie diverse di sensazioni. Al termine del viaggio dentro di sé, alla fine del primo capitolo dal titolo “Sentirsi il noce”, Anne abbraccia questo albero in segno di congedo. Ma, al suo ritorno dal viaggio nel Messico, dopo un lungo trascorrere dal frassino al bambù, al banano e alla palma, l’assemblea narrante la mette di fronte, come recita il titolo dell’ultimo capitolo, al “sentirsi la quercia” e a qualcosa di molto nuovo, al “sogno di costruire”, di abbracciare in grande.
Il climax è raggiunto esattamente al centro del viaggio in Messico e del romanzo stesso, con l’innesto, all’interno del racconto di quel paese e delle sue meraviglie, di un pezzo di realismo documentario à la Flaubert. È il reportage fedele, in parte già apparso sul blog dell’autrice, di un incontro avuto effettivamente da lei diversi mesi prima, che provoca un fulminante corto circuito con l’io narrante e con quello di Anne. Il racconto della visita a Gudelia, la curandera, esperta professionista del prendersi cura di sé e del mondo esterno attraverso antichissime strutture che li interconnettono, annulla immediatamente ogni distanza. All’improvviso i diversi segreti disseminati qua e là sul percorso del romanzo sembrano riunirsi in un punto in cui credi di riconoscere il segreto più grande. La scossa della scoperta ti raggiunge immediata e ti lascia lì, “strabiliato”.
Il flusso di corrente alternata si ristabilirà subito dopo, al rinnovarsi delle esperienze sentimentali di Anne, il cui quadro complessivo, secondo la diagnosi di Gudelia, “era un disastro”. L’abbraccio che conclude l’incontro con lei, con la prognosi dell’importanza crescente della segunda vista, del terzo occhio, avrà ricadute definitive anche in questo campo. La fugace figura messicana di Arnulfo, accompagnatore che è una sorta di “cavaliere inesistente”, farà eco alle persistenti, ma caduche controfigure parigine, quella di Jean, aduso a stringerla con mani “di ghiaccio”, e quella di Marc, evanescente manager in ars amatoria, di cui è solo un praticone. Questo preteso Apollo, sempre pronto a “passare” da Dafne” per strimpellare anche lui qualcosa sulle sue corde, e sempre “senza domande, senza risposte”, si rivela totalmente incapace di recarsela in braccio con vero desiderio. Lei infine si libera, si libra. Ha diritto al futuro.

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IL SEGRETO PIU’ GRANDE DI ANNE

Non sarà mai un Natale come gli altri, questo Natale, ma perché non trasformarlo in una nuova esperienza, a contatto con le piante delle nostre case addobbate a festa?

Se cominciassimo davvero a comunicare con loro, gli alberi e le piante ci farebbero capire quanto questo periodo dell’anno sia prezioso per la Natura, una sorta di laboratorio attivo per prepararsi alla stagione dei nuovi inizi.

L’invisibile energia della Madre Terra veglia su di noi ed è là, a nostra disposizione, in ogni momento della vita, come scopre Anne, la protagonista del mio nuovo romanzo, alle prese con nuove peripezie e scoperte sul mondo delle piante e della loro spiritualità.

E’ con l’augurio di un bellissimo viaggio iniziatico nella dolcezza della Natura, che invito tutte le mie lettrici e i miei lettori a visitarmi in Amazon.it per leggere la scheda del mio nuovo romanzo. Chi ha conosciuto Anne in “Cosa fanno le mie piante quando non ci sono” potrà seguirla nel nuovo e nei nuovi capitoli della sua vita,  fra nuovi amori e passioni, nelle terre di Francia, Italia e Messico. Per il link diretto clicca qui :

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Per un Natale di viaggi, anche solo con la fantasia…

Vi abbraccio! E aprite le ali!!!

COSA MANCA NEL MONDO? LA FIDUCIA

La fiducia è come l’amore – mi disse un tipo strano, in Mauritania, decenni fa – se non sai riconoscerla in te stesso, come fai a sperimentarla con gli altri? E’ come l’amore, se non lo hai mai provato, non sai darlo né riceverlo… capisci? Non te ne accorgi neppure che è entrato nella tua vita”

In questi giorni trafelati, mi è venuto in mente come un abbraccio, il vecchio Dihao. Chissà da quanto tempo non è più di questo mondo…Eppure ho pensato alla nostra conversazione, seduti sulla sabbia con un té in mano. Perché, come tutti, seguo le notizie e non credo più a niente. Nulla di cio’ che ascolto è stabile, nella mia mente.

I dati del Covid, in Italia, in Europa, le previsioni, i vaccini, le cure, quando finirà, dove, prima in Europa o in America Latina? Poi sento gli amici all’estero, altre versioni, quelle vissute da ciascuno…mi parlano in lingue diverse e muta anche la sostanza del messaggio, il pathos. L’economia non resisterà e giù ad argomentare, poi arriva l’ottimista, quello che ha investito nella green economy e speri abbia ragione. Ma forse non ci credi, perché i dati sull’inquinamento sono impressionanti e i governi hanno altro a cui pensare…Figuriamoci, se avevano altro a cui pensare prima, quando era il cancro a farci paura e la siccità, e l’invasione di cavallette e la xylella e i ghiacci che fondono !!! Poi ci sono le elezioni in USA, la conta dei voti, le accuse. Comunque vada, si continuerà a dubitare del vincitore e del vinto. E i poteri forti? La grande finanza…Il terrorismo islamico…certo, sempre in agguato, ma meno in pole position nelle nostre paure. Avete notato? Una paura che sgomita via l’altra. E noi, nel marasma, che dubitiamo di tutto.

Continueremo a dubitare, ormai non facciamo altro, anche a livello personale. Nei miei seminari (quelli che ho dovuto annullare SIGH! Pardon, rimandare!) faccio lavorare molto sulla FIDUCIA. E’ lei la grande assente delle nostre vite, è lei l’anello mancante nei nostri progetti, è lei la ”smorza-entusiasmo” dei nostri slanci, è lei che vacilla nelle relazioni personali, è lei che, mutando in fretta come un virus, ci fa fare quel costante passo indietro che la vita punisce, alla fine, come punisce i pavidi e gli ingrati.

Certo, si dirà, è sempre più difficile avere stima di chi ci governa, di chi incontriamo per lavoro e nella vita personale. Quante maschere ci sorridono tutti i giorni…Povertà culturale, furbizia, invidia, falsità minano i rapporti umani e noi, per preservarci, non possiamo che diffidare.

Ma, attenzione, siamo sicuri che sia la giusta soluzione? La perdita puo’ essere immensamente più grande della delusione per una fiducia mal riposta, se essa implica la rinuncia ai nostri sogni. E dal momento che il continuo flusso d’informazioni su cose e persone non puo’ salvarci, anzi, piuttosto, aggrava la nostra percezione fasulla della realtà, non resta che affidarci al vecchio Socrate: Conosci te stesso.

Soltanto quello che Gurdjieff definiva “il riconoscimento attivo della nostra coscienza” nella piena assunzione di cio’ che siamo, puo’ proteggerci dalla tentazione di non avere più fiducia. Accedere alla nostra verità più profonda, all’esistenza che comprendiamo, capire che solo nel perderci possiamo trovarci, che partecipiamo e diamo il nostro contributo comunque, non puo’ che farci salvaguardare la fiducia nella vita, nelle sue forze invisibili e in noi stessi.

Puntare ad una grandezza nuova. Ciascuno, nel suo piccolo, potrebbe davvero salvare il mondo perchè come dice bene Aldo Busi, riecheggiando un vecchio detto di Montaigne sulla bontà: “Non si ha fiducia negli altri perché essi se la meritano, ma perché merita di averla colui che la prova”
E allora partiamo da qui, da noi, per fare un lungo viaggio con gli altri, che comunque ci porterà al punto di partenza: noi stessi.

Mi fido di me?

Sono già al sicuro.

PS. Un abbraccio speciale a tutte/i le/gli iscritti al seminario di novembre a Roma. Grazie. Non è che un arrivederci!  

QUANDO VA TUTTO MALE…

Quando va tutto male, faccio un passo in più e mi vivo la tristezza. Sì, per quanto assurdo, me la vivo, l’assaporo persino, vado fino in fondo e vuoto il barile. Mi ubriaco di lei.

Ho fatto tutto ciò che era possibile, spinto l’accelleratore, sfoderato il coraggio come una spada, gettato via i pesi non necessari, e alleggerito i pensieri – li ho colorati quand’erano grigi – poi ho ascoltato, compreso, ammorbidito, detto e ridetto, speso, lavorato sodo, scritto e riscritto, salito e sceso, percorso, fatto e disfatto. E sorriso, tanto! Ho tanto sorriso…

Ma non è bastato. Per ora. È andata male lo stesso. Succede, vero? Molto più spesso di quanto dicano i buoni predicatori.

E allora è giusto, per un giorno, una sera, un’ora, mollare gli ormeggi, andare alla deriva, godersi il silenzio e lo strappo dell’àncora, così, nel mero galleggiamento. Ci sarà tempo, poi, per reagire. Adesso vivo nella desolazione, è un mio diritto, lo chiedono il mio corpo e la mia mente vorace, il respiro affaticato, le spalle pesanti. Silenzio! Abbandono. Capogiro delizioso. Letto sfatto.

Quando va tutto male, mi lascio adagiare sul fondo del mare, riemergerò per forza, prima o poi. E vuoi vedere che qualcosa s’avvista alla fine, un pesce che salta, il sole che spunta?! Allora ricomincerò a battermi, chiaro! M’inventerò una corazza, raccoglierò i capelli, cavalcherò un’idea. Il vuoto si riempie sempre, i colori s’inventano da soli, l’erba ricresce anche sui sassi.

Succederà, e sarà bello pensare, che qualcuno mi ha dato una mano, perché io non stavo facendo nulla. Per una volta, non dovevo far nulla. Solo attendere la forza della corrente. Da qualche parte, dove è meglio per me.

NON SEMBRA, MA STIAMO FACENDO LA RIVOLUZIONE!

Sì lo so: dici Rivoluzione e vedi barricate, bandiere che sventolano su statue decapitate e strade piene di folle urlanti…molto sudate!
Ma questo era prima, prima del nuovo mondo. E noi siamo già nel nuovo mondo! La rivoluzione è già in atto e il termine è appropriato, se ci riflettiamo bene, perchè ogni rivoluzione dell’umanità nella storia, per essere tale, è passata attraverso 3 tappe ben precise:

1) Il ridicolo
2) Il pericolo
3) L’evidente

E già, solo un paio d’anni fa i risvegliati erano un manipolo di agitati new age.

Parlavano di equilibrio naturale definitivamente compromesso, di manipolazione di popoli attraverso la paura e l’ignoranza, di abuso d’intelligenza artificiale, distruzione dei polmoni verdi del Pianeta, di elettrosmog e campi elettromagnetici, di conseguenze da scioglimento dei ghiacciai, crisi planetaria della globalizzazione economico-finanziaria senza regole, di pandemie da nuove malattie… Ridicolo! Appunto. I soliti catastrofisti con la fissa della Madre Terra!

Ma in poco tempo, i soliti catastrofisti si sono moltiplicati. Sempre più pericolosi per le classi dirigenti,

sono spesso giovani e si pongono domande sul senso di una vita fondata sul consumo sfrenato, su carriere che garantiscono solo l’ulcera, sullo sfruttamento esagerato delle risorse naturali, sulle possibili malattie da tecnologia invasiva, da inquinamento di falde acquifere e dell’aria. Soprattutto si chiedono se cio’ che leggono e ascoltano sia la verità e temono, temono per la propria libertà. Pericolosi, pericolosissimi, pretendono di ragionare con la loro testa!

E così ci stiamo arrivando. I risvegliati stanno facendo la rivoluzione, una rivoluzione silente beninteso, quasi invisibile, rispettosa delle regole, una rivoluzione per un cambiamento interiore, talvolta spirituale, di ritorno all’autenticità, a un mondo sano, quello delle piante, degli animali, di ritmi di vita possibili, nel tentativo di fare in tempo… a salvarci, a salvare le nuove generazioni.

Era evidente! – diranno in molti, fra poco, cercando di appropriarsi del mutamento – ovvio, non si poteva continuare così, a distruggere il pianeta, a mangiare porcherie, mentre le malattie autoimmuni aumentano, le popolazioni emigrano in massa e quando piove, mezzo mondo scruta il cielo e si chiede se la propria casa è a rischio, se deve fidarsi ad uscire, se i propri bambini non si beccheranno questo virus o un altro, semplicemente frequentando la scuola.

Ma il nuovo mondo, quello che ci sembrerà normale, acquisito (come quello del voto alle donne o dell’eguaglianza razziale) non lo avranno creato gli ultimi arrivati, gli opportunisti dell’ultima ora, il cambiamento vero è sempre il frutto dello sforzo di pochi coraggiosi, i ridicoli, le voci isolate e inascoltate, le suffraggette, i Gandhi e i Mandela… Non lo dimenticheremo, vero?!

EVENTO ANNULLATO! ENTRIAMO NELLA MAGIA DELLE PIANTE

Ci spiace informarvi che l’evento non avrà luogo a causa delle norme anti COVID-19

Le piante ci assomigliano, perché non dovrebbero rispondere alle nostre domande, specie in un momento cosi’ difficile per l’umanità?

Per capire, quale meraviglioso viaggio ci possano far fare, quali insegnamenti possiamo trarre dal loro modo di affrontare la vita, terro’ un workshop: ‘Entriamo nella magia delle piante’, domenica 8 novembre presso la sede di Harmonia Mundi a Roma.

Con tutte le cautele di distanziamento sociale e protezione, lavoreremo su noi stessi, sui 12 Insegnamenti e con gli alberi, comunicheremo con le nostre piantine, alternando momenti anche ludici ad approfondimenti e curiosità.
La guarigione del mondo passa attraverso un ritorno alla Natura che possiamo attuare da subito, nella nostra casa e a livello personale.

Per saperne di più e iscriversi: https://www.harmonia-mundi.it/eventi/entriamo-nella-magia-delle-piante_2020-11-08

Per l’occasione e in anteprima, possibilità di acquistare sul posto il nuovo romanzo “Le mie piante e il segreto più grande”

 

 

BASTAA….COVID! PARLIAMO D’ALTRO

Non ho voglia, mi viene il mal di pancia appena accendo la Tv, apro i giornali on-line, incrocio gente che ansima sotto la mascherina commentando i dati appena sentiti, dando i numeri quindi…

perché di questo si tratta, di gente che dà i numeri, senza nemmeno aver fatto una semplice operazione, perché il numero dei contagiati varia con il numero dei tamponi effettuati, e soprattutto, senza ricordare che in Italia siamo in 60 MILIONI 317MILA con 371000 nuovi casi di cancro solo nel 2019!

Allora, per favore parliamo d’altro!

– Dei neuroni funzionanti in quel cervello vetrificato dall’eruzione del Vesuvio. Idee???
– Dei 59 sarcofagi lignei perfettamente rinvenuti nei pressi della piramide di Saqquara (la più antica!) 2600 anni e i corpi sembrano imbalsamati ieri! Urge aggiornamento dei chirurghi estetici nell’Antico Egitto!!
– Del film “Un divano a Tunisi” con la partecipazione straordinaria di Sigmund Freud! Adorabile…
– Del mio prossimo seminario a Roma “Entriamo nella magia delle piante” ma venite con una piantina, per favore, le dobbiamo fare delle domande urgenti!!!
– Della Mostra di Van Gogh a Padova! Si’ quello dell’orecchio mutilato…per gli amanti della cronaca nera…
Del nostro AMORE col quale faremo un bellissimo viaggio… su uno dei 7 pianeti abitabili, fratelli della Terra, dove ci si potrà baciare finalmente all’aperto!
– Del fatto che il mondo gridi al miracolo perché il Premio Nobel per la Chimica del 2020 è andato a DUE donne!!! Ma…è sicura la datazione della news??? O è il Premio Nobel del 202 d.C.??

OK basta. Ci siamo distratti anche troppo, ricevero’ una multa, “per mancato distanziamento di pensieri, senza maschera!” E già, non possiamo abbassare la guardia!

IL SENSO DELLA VITA: LA DOMANDA NASCOSTA IN OGNI DOMANDA

Il momento più interessante d’ogni conferenza è forse quello finale, il congedo. Anche in tempi di Covid, ci sono persone che restano, ti aspettano fuori per uno scambio più intimo, un saluto. Per me, è forse, la fase più gratificante, cio’ che m’insegna di più.

Sono molte le riflessioni, i dubbi che ci si scambia in questi momenti, nel tempo ho riscontrato cambiamenti profondi nelle persone che vengono ad ascoltarmi, esigenze nuove, paure antiche ed altre, frutto del mondo che abbiamo creato, un mondo ostile, inquinato, depresso.
Il disorientamento è frequente, ma la voglia di resistere con mezzi propri e introspezione aumenta. C’è sempre più diffusa l’intuizione di un invisibile che ci vive accanto, c’è l’idea che tutti i beni materiali di questo mondo non ci basteranno a sconfiggere i nostri démoni, c’è la domanda delle domande: sto dando un senso alla mia vita?

I grandi del passato ci vengono in auto: Picasso sosteneva che il senso è trovare il nostro dono e regalarlo (ma lui lo vendeva a peso d’oro!!!), Stevenson sosteneva che fosse l’essere capaci di diventare cio’ che siamo (ma chi siamo?? That’s the problem!) George Sand, donna pratica e saggia sintetizzava bene:”amare ed essere amati”. Freud dichiaro’ spesso di non aver mai trovato una risposta soddisfacente (e se non l’ha trovata lui, siamo messi male!!)

Io sono sommessamente d’accordo con Virginia Woolf: la grande rivelazione non arriva mai, ma al suo posto ci sono piccoli miracoli quotidiani.

Ma oltre a questo, tendo ad associare il senso della vita alla parola fiducia. Fidarsi di cio’ che si prova, che si costruisce, che si dà e si riceve, confidare nel fatto che ha un’utilità per qualcuno che a sua volta si fida di noi, questo è in profonda relazione, secondo me, con il senso della vita. Non a caso, la fiducia è spesso accompagnata dalla gioia, un buon segno – se posso dare un consiglio – che siete sulla buona strada

Purtroppo, è anche cio’ che spiega la penuria di senso, nella nostra società. La lista di quelli di cui ci fidiamo è spesso breve. In Australia, nella lingua degli Aranda, il termine tnakama significa la stessa cosa: chiamare per nome e fidarsi. Il problema della lista dunque è parzialmente risolto!!!

PERCHE’ ABBIAMO BISOGNO DI UN’ECOLOGIA COMPLETAMENTE NUOVA

C’è chi protesterà e porterà esempi virtuosi. Ma la verità è che la Terra è al collasso.

Ci sono inquinamenti definitivi di fiumi, aree del mondo invivibili; abbiamo creato un intero, nuovo continente di plastica; bruciamo foreste che non hanno il tempo di ricrescere; sfruttiamo risorse minerarie a un ritmo tale che le stiamo esaurendo; lo spreco dell’acqua non accenna a diminuire.

Eppure il messaggio ecologico non è recente. Movimenti di tutti i tipi sono nati già dagli anni settanta, Il Partito Verde d’Europa o Unione dei Partiti verdi europei è stato fondato nel 2004.

Se una sorta di disneyana sensibilizzazione è stata sparsa nel mondo, poco o nulla è stato fatto nella concretezza. A fronte di una tecnologia ormai da anni in grado di sostituire la plastica con similprodotti naturali e innocui, di riciclare l’acqua, di desalinizzare il mare dove necessario, di fornire energia pulita, di creare barriere vegetali alla progressiva desertificazione, al livello globale non si è cambiato senso di marcia. A riprova, oggi stiamo coprendo la Terra di mascherine non biodegradabili per salvarci la pellaccia dal Covid.

Allora, mi chiedo, cosa non ha funzionato? La risposta che constato nei miei seminari è sempre la stessa: il messaggio ecologico, contaminato dalla politica (perchè non si tratta d’essere di destra o di sinistra) non ha integrato la vera essenza del discorso, il segreto della vita.

Il 70% del nostro DNA è lo stesso di piante e animali, bruciare un bosco dovrebbe farci l’effetto di danneggiarci un rene. La sacralità della vita è la stessa, la sorgente della vita è la medesima. La Terra Madre si comporta come un organismo vivente costituito da materia, energia e spirito, le stesse componenti del corpo umano. La vita di una cellula, di qualsiasi cellula, è compromessa dall’inquinamento e tutte le forme di vita sono collegate. Il nostro sistema immunitario sta diminuendo d’efficacia. Inseguiamo vaccini, perché conosciamo la nostra debolezza, perché i nostri bambini non crescono più a contatto con la Natura, perché abbiamo perso sapienze antiche che trovavano rimedi nelle piante.

Qualcosa nella coscienza collettiva si sta smuovendo. È tardi, ma molto si può ancora salvare per almeno una buona fetta di future generazioni. Cosa aspettiamo? Ogni cambiamento comincia da se stessi, nei comportamenti individuali.

Irrisorio? No, l’effetto moltiplicatore è la chiave del cambiamento. Come dico sempre, se ognuno tenesse una piccola pianta sul balcone, domani, l’Italia, avrebbe un polmone verde in più, 60 milioni di piante nuove a filtrare l’aria che respiriamo.

QUELLO CHE LE PIANTE CI DICONO: DISPONIBILE ON-LINE

Magnifica accoglienza venerdi’ 11 settembre scorso per il mio primo incontro dedicato al mondo delle piante presso Harmonia Mundi a Roma.
Nel ringraziare Marina e Paolo, le due colonne portanti di questo centro olistico speciale, a due passi dal Colosseo, e il pubblico straordinariamente sensibile alla vastità dell’argomento trattato, desidero condividere il video della serata a disposizione da oggi nel canale You Tube di Harmonia Mundi.

Era un primo assaggio, in vista di un seminario interattivo di life strategies e percorso spirituale, una sorta di degustazione per comprendere l’immenso beneficio che possiamo trarre dal mondo delle piante, in termini di conoscenza, benessere, energia e spiritualità.
“Loro sanno…” come dico sempre, “…e cio’ che sanno è a nostra disposizione, è li’ per aiutarci ad affrontare i tempi difficili che stiamo vivendo, per permetterci di vivere in armonia con noi stessi e gli altri”

Per vedere il video, clicca qui :

 

SEI PRONTO PER IL MONDO NUOVO?

Potrei dividere la gente che incontro in due grandi gruppi: quelli che si augurano che presto tutto torni come prima del Covid, perché non sanno immaginare niente di diverso; e quelli che sperano che il mondo rifletta e cambi, gli idealisti.

Per me il problema si pone diversamente, anzi, non si pone affatto. Non siamo di fronte ad alternative, il mondo è già cambiato, il portale è già stato varcato. La Natura si è già mossa, ha dato allarmi di tutti i tipi; in certe zone del mondo, in certi fiumi, l’inquinamento è irreversibile. Intere specie di piante e animali si stanno spostando, cercando nuovi habitat (sì anche le piante si spostano!) altre soccombono irrimediabilmente.

Courtesy of Victoria Schaal

Nei rapporti umani, durante il lockdown, abbiamo toccato con mano le nostre verità. Spesso amare, talvolta sorprendenti, ma sempre dolorosa necessità di fare il punto sulla nostra vita.

Parlo spesso con giovani di tutte le età, mi piace ascoltare le riflessioni degli adolescenti e dei più grandi, di quelli già entrati nel mondo del lavoro, un lavoro magari già anche perso, per effetto del Covid. Li trovo molto preoccupati, amareggiati e spaventati dal futuro. Tanti dicono di non volere figli, di non avere sogni. Li scopro molto sensibili ai temi legati all’ecologia, ma anche, purtroppo, persuasi che sia tutto inutile, che sia troppo tardi. Li sento interrogarsi sulla direzione da prendere nella loro vita: grandi certezze universitarie sono cadute, i luoghi “culto” della carriera non garantiscono più il futuro né la felicità.

Già la felicità, perché di questo si tratta nel nuovo mondo: osare, trovare la libertà di riformulare – ognuno di noi, a tutte le età – la nostra personale definizione della felicità. Tutte le ricette dei nostri genitori sembrano vetuste, sorpassate da una realtà cambiata per sempre. Ma è proprio in questo vuoto, che bisogna cercare. Ogni distruzione offre spazi di ricostruzione.

E questa volta, ragazzi, sarà una costruzione libera! Niente più obblighi morali di ripercorrere i passi di chi ci ha preceduto, se non ci sentiamo davvero chiamati a farlo, niente più pregiudizi fra lavoro manuale e intellettuale, il nuovo può rivisitare l’antico e assaporarlo con occhi diversi e competenze più alte. I soldi non saranno più il solo criterio per le nostre scelte.

Nella Torah si dice: Tutto in Natura nasce da un atto di rottura. Allora davvero, scegliendo di vibrare in modo diverso, possiamo cambiare il corso dell’umanità, di quella fetta d’umanità, perlomeno, disposta a reinventarsi con generosità, a cedere il passo ai giovani più capaci, a riscoprire l’autenticità, il rispetto per l’Ambiente, la gioia d’appartenere ad una comunità che possieda le nostre stesse vibrazioni alte.
Ce la faremo? Dipende da noi. Il primo passo è crederci. Perché per quanto possa sembrare improbabile o presuntuoso, come il mio Maestro mi ripete sempre: “Tutto ciò che fai, è per tutta l’umanità”

QUELLO CHE LE PIANTE CI DICONO…

La Terra è un organismo pulsante, fatto di materia, energia e spirito. Ogni cosa vivente possiede questi elementi. E’ questo il punto di partenza della mia ricerca a tutto tondo sul mondo delle piante.

Attraverso uno workshop che alterna riflessione e ascolto a momenti interattivi e di meditazione collettiva, desidero aprire le coscienze ad un nuovo impegno ecologico, più coerente, spirituale e integrato alla nostra vita. Vi aspetto…

Venerdi’ 11 settembre
19h00 – 21h00
Harmonia Mundi
Via dei Santi Quattro,26
Roma 00184
(Prenotazione obbligatoria, distanze di sicurezza garantite, mascherina obbligatoria)

 

 

MESSAGGIO PER IL NOVILUNIO

Molte persone non sanno che il Novilunio è importante per il loro destino. È un portale energetico molto forte. Apre sempre a novità nella tua vita. Ma devi essere capace di notarle.
Può essere importante eliminare cose vecchie o cose simboliche di un tempo passato, da lasciar andare. Nello stesso modo, nuotare o immergersi nell’acqua, fare abluzioni per liberare corpo e mente, sarà benefico.
Il punto essenziale, tuttavia, è non abituarsi a fare le stesse cose, nello stesso modo. Non devi lamentarti se poi, non ti accade nulla.
Così, un giorno, mi disse una curandera. Aggiungendo che per Novilunio (e Plenilunio) s’intendono, da sempre, 2/3 giorni prima e 2/3 giorni dopo, la data esatta. E precisando altresì che nell’arco di un anno, ci sono noviluni e pleniluni più o meno determinanti e carichi d’energia.

Nella tradizione druida, ad ogni Novilunio, si organizzavano meditazioni collettive, accompagnate dalla “Musica del Vuoto” ottenuta con il flauto, in grado di portare benessere, visioni interiori e percezione della Coscienza Superiore. A queste occasioni, si credeva partecipassero anche i Maestri Segreti della luna, con lo scopo d’infondere nuove conoscenze a chi vi prendeva parte. I cinque giorni simboleggiavano il percorso interiore di ogni persona, il cosiddetto “Sentiero dell’Oro”. La Luna rappresentava il Passato, e apriva il suo portale per solarizzare l’umanità, attraverso l’operato di energie superiori.

Al di là della poesia, delle tradizioni celtiche, simili in tutto il mondo, è dolce pensare ad un continuo, possibile inizio: ogni mese, sta soltanto a noi, iniziare il movimento per cambiare.


E mi piacciono sempre i versi di Fernando Pessoa:

“Per essere grande, sii intero: non esagerare e non escludere niente di te. Sii tutto in ogni cosa. Metti tanto quanto sei, nel minimo che fai, come la Luna in ogni lago tutta risplende, perché in alto vive.”

LA MONTAGNA: IL POTERE DIMENTICATO DEI MINERALI

Dici montagna e pensi “verde” dei boschi. Non sempre, per la verità, molti visitatori occasionali del nostro Lago di Misurina, in questi giorni mi sembrano più esperti di speck che di foreste!

Ma è sul mondo minerale e delle rocce (aggregato naturale di minerali, cristallini o meno) che vorrei soffermarmi oggi. Considerate immutabili, le montagne non lo sono affatto. Le Dolomiti (I Monti Pallidi per i Ladini) ad esempio, si stanno muovendo e lentamente sgretolando. Continue impercettibili modificazioni, producono variazioni d’altezza di certe vette. I vecchi ricordano varchi, ghiaioni, passaggi, vie d’ascesa sulla roccia, mutati nell’arco di soli cinquant’anni. I cristalli crescono, si trasformano e adattano il loro reticolo cristallino alle condizioni chimico-fisiche nelle quali si trovano, ricristallizzandosi e risanando fratture, secondo cicli geologici, certo, molto lenti.

In media per aumentare di 5 cm, una pietra ha bisogno di circa 1200 anni, a seconda della concentrazione di sali minerali contenuti nell’arenaria che la forma.

Relegato all’ultimo livello dell’erronea piramide aristotelica della vita – piramide ormai riveduta e corretta in altra forma, con l’aggiunta di funghi e batteri ad esempio – il mondo minerale è tutt’altro che non-vivente. L’energia di pietre e minerali è fondamentale per l’equilibrio di quell’organismo palpitante che è il nostro Pianeta Madre. La ricerca della pietra filosofale, d’altronde, ha sempre evocato la segreta corrispondenza fra Cosmo e Terra.

Non solo, minerali e cristalli hanno sempre avuto la proprietà di potenziare la struttura energetica umana e ristabilire disarmonie dei vari corpi sottili di cui è formato il nostro corpo fisico. Nell’antico Egitto si usava polverizzare minerali per curare, in India si battezzavano i bambini con pietre, scegliendo quella che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita.

Per gli Esseni tutto ciò che esiste in Natura possiede energie angeliche (nel Vangelo Esseno della Pace si parla proprio di energie elettromagnetiche della luce, dell’aria, della terra, dell’acqua e del sé) con le quali si mettevano in contatto e che usavano anche per guarire.

Nella loro raffigurazione della vita, un cerchio attraversato dalla croce di tempo/spazio, i minerali, al pari degli altri, occupano uno dei quattro spicchi perfettamente simmetrici, corrispondente all’elemento Terra. (Le piante erano associate all’elemento Acqua, l’uomo al Fuoco, gli animali all’elemento Aria).

I minerali rappresentavano l’equivalente del primo chakra indiano, di colore rosso, profondamente ancorato alle radici della vita e alle forze primordiali della terra.

Se all’uomo era attribuito il pensiero, alle piante il desiderio e la volontà, agli animali l’istinto e i sentimenti, ai minerali gli Esseni legavano il concetto d’azione. Può sembrare un paradosso che l’elemento più lento e antico e imperituro della vita sia associato all’azione, ma esso era considerato in collegamento diretto con la Coscienza, libero dalle resistenze dei binomi “mentale-uomo” e “istinto-animale”. Come a dire che il pensiero dell’uomo, limita e blocca l’accesso alla Coscienza Universale, vera sorgente energetica della vita.

Allora, se ti capita d’andare in montagna, fermati e guarda. Siediti su una roccia, con la consapevolezza di Hermann Hesse.
“Un albero sotto i raggi del sole, un sasso segnato dalle intemperie, un animale, una montagna: tutti hanno una vita, una storia, vivono, soffrono, affrontano i pericoli, godono, muoiono. Ma non sappiamo il perché”.

SHINRIN-YOKU o BAGNO DI FORESTA: UN PRIMO ESERCIZIO FACILE DA FARE

Il Forest Bathing sta diventando di moda, e questo in genere mi preoccupa, perché la mediatizzazione spesso rima con banalizzazione. Ma il fondamento della scoperta giapponese è serio: la pianta è benefica a livello elettromagnetico per la salute dell’uomo.

Una passeggiata nella foresta per 3/4 ore è in grado di modificare i parametri principali del nostro organismo e abbassa lo stress, con effetti misurabili sul sistema ormonale. Tre giorni nel bosco con 10-12 ore di cammino alternato a stazionamento regalano un rafforzamento del sistema immunitario del 50% per un mese.

Questo perché gli alberi emettono campi elettromagnetici (più o meno potenti a seconda della grandezza del tronco) biologicamente affini a quelli umani, che quindi interagiscono con il nostro. Ogni pianta sembrerebbe avere una sua specificità e influire particolarmente su certi nostri organi. Il faggio per esempio è molto benefico per sistema nervoso, linfatico, ovaie e prostata.

Ma attenzione! Dal come si va nel bosco, dipende molto l’efficacia dello shinrin-yoku. Lasciamo a casa la musica per favore, la radiolina con le partite di pallone, le discussioni di famiglia. La disposizione d’animo di chi va nella foresta, dev’essere quella di un ospite rispettoso.

Ecco un esercizio facile e iniziale da fare, meglio se da soli, allontanandosi un po’ gli uni dagli altri:

Trova un luogo, uno spiazzo, una cima…scegli un albero, d’istinto. Non per forza il più bello, il più maestoso. Fai due o tre respirazioni profonde, in silenzio, ad occhi chiusi. Poi aprili e scegli il tuo albero. Avvicinati, osservalo, sulle fronde, l’ampiezza delle radici, le chiome. Lasciati osservare da lui. Siediti, poggiando la schiena sul suo tronco. Resta. In meditazione, se puoi, o in completo riposo. Lasciati venire tutti i pensieri, piano piano sentirai che rallentano.
Quando ti senti pronto, alzati. Poggia le mani sul tronco dell’albero. Chiudi gli occhi. Preparati al passo successivo: abbracciarlo con tutto te stesso. E’ un atto coraggioso, non sarà facile. Ti sentirai ridicolo, avrai il timore d’essere giudicato da possibili testimoni, ma se vinci la prima ritrosia, accadrà qualcosa di bello. Abbraccia il tronco dell’albero e chiudi gli occhi. Ti sentirai accolto – ad alcuni sembra di riabbracciare un padre o una madre o un essere caro che non c’è più, ad altri di riappacificarsi con qualcuno – poco a poco le tue barriere di difesa cadranno, ti lascerai andare alla pace o a un’emozione che ti opprimeva il cuore. Se vuoi, puoi affidare un pensiero, un dolore, una preoccupazione al tuo albero. Gli Aborigeni lo facevano durante tutta la vita. Avevano un loro albero e al momento della morte lo raggiungevano, quando era possibile venivano sepolti ai suoi piedi. Quando ti senti pronto a tornare alla tua vita, congedati, ringraziandolo.

Tu non lo sai, ma hai assorbito il campo magnetico del tuo albero e gli hai dato il tuo. Una piccola parte della sua pace e armonia è dentro di te. Fanne buon uso.

MISURINA,LE DOLOMITI E IL PREZZO PAGATO A CHERNOBYL

Il lago di Misurina è sempre stato uno scrigno nel cuore delle Dolomiti, lontano dal turismo di massa e dal vippame griffato. Di recente è spesso nominato in tv dallo scrittore Mauro Corona, ma la comunità che ci vive è rimasta la stessa.

Una cinquantina d’abitanti stabili (altri vivono fra il lago e Auronzo), devastata dieci/quindici anni fa da una vera e propria strage di morti per tumore.

Inspiegabile, in apparenza, perché non c’è luogo più sano al mondo! Il lo frequento da quarant’anni, d’inverno come d’estate, dopo la fuga familiare da una Cortina divenuta troppo città. Il lago di Misurina è talmente salubre che dal secolo scorso ospita un Centro di cura per l’asma, poche le costruzioni alberghiere e i ristoranti. Di notte posso andare nel bosco in pigiama!


Come mai allora, in questo Paradiso, quasi ogni famiglia ha perso qualcuno, anche giovane e giovanissimo?

La risposta la evochiamo spesso, quando salgo ai rifugi o incontro gli abitanti locali. Sospirando, evochiamo i mancati. La nube di Chernobyl nel 1986 ha preso in pieno il Nord-Est d’Italia senza che nessuno all’epoca desse un allarme davvero adeguato alla sua gravità. La radioattività ha agito silente nel tempo, causando, dieci-quindici anni dopo, cancri alla tiroide, polmone, cervello, mammella.

I vecchi ricordano sconsolati d’aver continuato a lavorare l’orto, bere l’acqua, mangiare l’insalata, raccogliere funghi.

“Ma le piante…” obietto.
“Non è colpa loro! C’hanno provato, sai? – mi rispondono spesso – i pini hanno assorbito il più possibile”

“Si’ le conifere hanno una grande capacità di stoccare ermeticamente veleni in una parte del loro tronco” confermo.
“Lo hanno fatto, sai, fin che hanno potuto, ma era troppo forte la radioattività. Hanno tenuto il più possibile per proteggerci, poi hanno dovuto mollare…”
“Già, e negli anni, la vita ha continuato ad evolversi, rinnovarsi, ricordando chi non ce l’ha fatta e ripartendo”

C’è sempre chi fra noi un po’ si commuove. Poi, lo sguardo si apre sui boschi, tutto è di nuovo sano, nuovo di zecca e qualcuno ripete:
“Non è colpa loro!”

TUTTI PAZZI PER LORO! LA BIOFILIA

Sembrerà relativo e minuscolo nella situazione mondiale che stiamo vivendo, di fronte a prospettive future sempre più catastrofiche, eppure sono certa che ha un peso. La percezione della realtà, sta cambiando. Eduard Wilson parla di biofilia sempre più diffusa, perché l’amore per la vita e la Natura è un’ esigenza neurologica dell’uomo.

Di recente, a una cena, un signore che conoscevo per la prima volta, mi ha raccontato che dovendosi assentare per due mesi, aveva affidato la sua pianta – appartenuta alla madre che non c’è più – a un amico, vicino di casa. Al suo ritorno, l’amico in questione tergiversava, cercando di persuaderlo a lasciargliela: “Guarda come sta bene qui!” diceva. Per il mio commensale pero’ quella pianta aveva un valore affettivo. Allora era andato a comprarne un’altra della stessa specie per il vicino e tutto contento, si era riportato a casa la sua. “Dalle un nome” mi ero limitata a consigliargli, pensando un secondo dopo che tutto questo, solo qualche anno fa, sarebbe stato impensabile.

Mia figlia in Martinica ha una grande kenzia che ha chiamato in mio onore Francesca. Appena comprata, era già molto bella, ma a distanza di sei, sette mesi è diventata magnifica. Tanto che un giorno, una signora in visita, se n’era talmente innamorata da chiederle se gliela voleva vendere. Mia figlia aveva risposto: “No, non la venderò mai! La prova, la chiamo per nome, Francesca” La signora, per nulla scandalizzata, aveva reagito perfettamente in linea con lei: “Capisco benissimo, la mia si chiama Monique”

In Asia, non avendo molto a disposizione, mi hanno insegnato a nutrire e riparare la mia pelle dal sole, con il gel ottenuto da una foglia di aloe vera. Molti dunque si tengono una di queste piante a casa. Oggi a Venezia, ALOA, la mia aloe vera, mi consente di fare una buona maschera per viso e capelli appena ne ho bisogno (bisogna prendere la foglia più esterna, quando ne spunta una piccola e nuova, al centro). La pelle è rigenerata, compatta e i capelli, specie le punte, hanno più consistenza.

Il riavvicinamento alla Natura, all’attività fisica è un fenomeno largamente riscontrato. Una nuova spiritualità, come esigenza di prestare attenzione a sé, agli altri esseri viventi – siano animali, piante, persone – si sta diffondendo silenziosamente.

Molte sono state le circostanze, in questi ultimi due anni, in cui gente “insospettabile” mi ha chiesto di provare a fare meditazione: spesso, senza accorgersi che già la fanno, in tanti modi, camminando nel parco, correndo, dipingendo, giardinando, nuotando e facendo yoga.

Sta cambiando il modo di nutrirsi, per lo meno cominciamo a porci le giuste domande e a usare nuovi vocaboli, per abbracciare un concetto più ampio di comunicazione. Soprattutto, forse, cominciamo a comprendere ciò che Leonardo da Vinci andava ripetendo: “Scruta la Natura, là c’è il tuo futuro”
Ancora poco, si dirà, ma avanziamo. Avanti tutta!

STATI DI COSCIENZA MODIFICATA: FORSE NON LO SAI MA LI HAI VISSUTI

Senza saperlo, li abbiamo vissuti tutti: in situazioni di pericolo estremo e di grande stress, le funzioni cerebrali si modificano.

La Neuroscienza ha monitorato come in queste condizioni, il naturale dominio dell’emisfero sinistro passi la palla al destro. O più esattamente, una parte del nostro cervello continua a lavorare la coscienza ordinaria e l’altra lavora come coscienza amplificata, capace d’attingere a una quantità maggiore d’informazioni.

La prima conseguenza di tutto ciò è la percezione diversa del tempo.

Il chirurgo che sta per operare vede già il sangue prima ancora d’incidere. Per la “legge delle catastrofi evitate”, mentre voliamo per aria, nel bel mezzo di un incidente, ad esempio, anticipiamo gli eventi al punto di vederci agire a rallentatore, modificando di fatto la percezione della realtà e del tempo in cui tutto avviene. In certi casi possiamo esercitare un controllo deliberato sulle attività in esecuzione al momento o siamo in grado di comunicare il nostro mentale ad altri.

Lo psicologo Hilgard sostiene che esistono nel nostro cervello una molteplicità di sistemi di controllo gerarchizzati e fluidi, coordinati dall’Ego. Nella transizione da un sistema all’altro si verifica uno stato di trans spontaneo e inconsapevole in cui viene ridotto il dominio dell’Ego e prevalgono percezioni più nascoste.
Ma cio’ non spiega tutto.

Un gruppo di scienziati canadesi qualche anno fa, monitoro’ il cervello di una nota shamana francese in stato di trans autoindotto, dimostrando che è possibile, anche senza l’uso di sostanze psicoattive o in particolari stati fisici alterati subiti (come il coma, il sonno profondo) raggiungere uno stato di coscienza modificata volontariamente. A livello neurologico fu chiaro che un cervello sano puo’ riprodurre stati apparentemente patologici e tornare dall’esplorazione perfettamente normale. La shamana entrò per ore in uno stato di super-coscienza e quando tornò in sé, era convinta fossero passati pochi minuti. Si potrebbe affermare che ciò avviene perché in trans si accede alla coscienza allo stato primario, la coscienza originaria, al di là delle stratificazioni operate dal principio di realtà, legato a necessità biologiche e culturali. La shamana era “tornata” con un flusso amplificato d’informazioni, la percezione di averle ricevute in pochissimo tempo, e la convinzione che modificando il comportamento del nostro cervello possiamo superare il modello attuale della realtà e coglierne un altro.

Il mistero dunque resta: cos’è il tempo? Esiste davvero un tempo quantico? Dovremmo abituarci a parlarne come di un luogo, una dimensione non disgiunta di tempo/spazio?

Di certo qualcosa sta cambiando, l’accesso a tante verità sta diventando possibile. A tutti. A tutti coloro che sono disposti ad accogliere l’inimmaginabile.

L’ARTE DEI DUE PUNTI: COME SMETTERE DI RIMUGINARE

Se dovessimo visualizzarci, dovremmo immaginare una mucca. Sì una mucca che rumina continuamente. Questa è la fine che fanno molti dei nostri pensieri. Vanno e tornano, indigeriti e indigesti, trasformati in un bolo apparentemente mutato, ma sempre gli stessi in realtà. Spesso ci convinciamo d’essere positivi, di credere nell’andare avanti, ma in verità emettiamo vibrazioni opposte. È normale, perché non è una questione di volontà.

È stato provato scientificamente che in meditazione, il campo elettromagnetico del cuore vibra più intensamente. Può accadere allora di accorgersi di cose, anche minime, intorno a noi, di entrare in contatto con altri piani di coscienza. Con la pratica, potrebbero arrivare visioni, sogni, intuizioni delle quali spesso non capiamo subito le connessioni. Se non hanno senso nel nostro mentale, non ha alcuna importanza, agiscono, forniscono riposo, distacco, la possibilità per il nostro inconscio di percorrere altre strade.

Molte persone rifiutano l’idea di fare meditazione per il suo carattere spirituale. Ma l’arte dei due punti si rimette al campo quantico. Chiudendo gli occhi, cercando di fissare due punti al tempo stesso, due mani parallele, due occhi…ci rimettiamo alla molteplicità del possibile.
Se hai un dubbio che ti rode, una decisione da prendere, può essere utile, chiedere, senza pilotare la risposta: Quale sarebbe lo scenario migliore per me?

Poi poniti in ascolto: siedi col busto eretto, i piedi aderenti al pavimento, rilassati, inspira, espira profondamente, poi calma il respiro e metti la tua attenzione sui due punti allo stesso tempo.

La prima cosa che accadrà, sarà che smetterai di pensare e rimuginare secondo i soliti schemi, poi arriverà il vuoto. Resta lì. All’inizio durerà poco, potrai avere l’impressione che non sia accaduto nulla. In realtà hai aperto un varco fra gli infiniti possibili. Con gratitudine, senza pregiudizi, accogli tutte le libertà del presente. Tutto è presente, tutto ciò di cui sei convinto, che sai, è il passato. Come puoi trovare nuove vie, se non esci dal sentiero battuto?

Ancora forse non lo sai, ma sei andato a connetterti con la frequenza di tutto ciò che esiste, le piante, la terra, l’universo, l’energia costante e incondizionata in continua evoluzione, che contribuiamo tutti a creare.

Nella libertà ci sono tutte le soluzioni, le illimitate possibilità del tempo. Viaggiarci attraverso, è già il dono della strada da percorrere.

 

P.S. Per chi vuole ancora sperimentare, sempre scaricabile gratis on-line su You tube:

 

 

CHI ERANO I LUNATICI? Gesù, gli Esseni

Domenica ci sarà luna piena. Da qualche tempo nei media, fra la gente, mi sembra di poter affermare che è aumentata l’attenzione per simili notizie. Niente di nuovo, fra l’altro. La tradizione vuole che nel plenilunio, si faccia il punto su cio’ che va o non va nella nostra vita, per chiudere, lasciar andare o riparare. Eccoci pronti poi, con la luna nuova, a ricominciare d’accapo.

Anticamente, in Israele, la luna nuova di primavera spingeva uomini e donne verso le propaggini del deserto per digiunare quaranta giorni e pregare in solitudine, nelle caverne. Venivano chiamati I lunatici, perché erano quasi sempre uomini, alcuni cercavano la guarigione dalla malattia, altri, colpiti da un lutto recente, volevano onorare il defunto oppure cercavano l’illuminazione, come gli Zeloti che intendevano mettere in pratica l’insegnamento di Isaia che ammoniva di preparare la via del Signore nel deserto.

Di rado c’erano donne, anche perché i luoghi erano impervi, pieni di serpenti e leopardi. Se c’erano, fuggivano la vergogna della sterilità – sempre vissuta come una colpa – terrorizzate dal pericolo d’essere ripudiate. Poteva capitare di veder occupare le caverne anche da un badu, un nomade dei deserti più a sud, riconoscibile dai capelli e la barba tinti con l’henné e dai bracciali d’argento ai polsi.

D’altra parte si trattava di un territorio di passaggio delle carovane che andavano a Gerusalemme e al mare di Jerico per commerciare ogni sorta di prodotto: vino, fichi, argento, rame, filati di lana, statuette, papiro, sale. Doveva esserci un’atmosfera affascinante, fra i bruni e i gialli assolati della terra aspra, fra rocce e cespugli di rovo, un mutuo riconoscersi a distanza, concedendosi qualche breve scambio in un miscuglio di lingue che probabilmente andavano dall’aramaico al greco.

E’ plausibile che in un contesto simile, alla debole luce del sottile arco di luna che segnava l’inizio del digiuno, ci sia stato anche Gesù, proveniente dalla Galilea.

E’ plausibile, anche perché vicino a Masada, verso la valle del Mar Morto c’erano gli insediamenti degli Esseni, comunità ebraiche di antichissima tradizione, delle quali potrebbe aver fatto parte Gesu’.

Si trattava di gruppi che vivevano in totale comunanza, predicando la non violenza (non sacrificavano animali come rabbini e farisei), lavorando e pregando, nutrendosi solo di vegetali, custodi di dottrine esoteriche gelosamente tramandate. Erano considerati medici e guaritori e dicevano di operare intercettando energie angeliche. La loro cultura affondava le radici in saperi lontani, dagli insegnamenti indiani dei Veda, al culto di Zarathustra, da quello dell’albero sacro dell’Illuminazione dei Buddhisti al monoteismo egizio di Aton.

Credevano nella reincarnazione, in virtù di un progetto dell’anima, nella capacità di creare la propria realtà, intervenendo su pensieri ed emozioni e sostituendoli con pace e compassione.

In un’epoca in cui le conoscenze scientifico-mediche erano scarse, gli Esseni credevano nella nozione d’integrità fra corpo-anima, fra corpo fisico e sottile e le terapie erano incentrate sul riequilibrio energetico fra materia e spiritualità.

Niente di più moderno, vero? Allora non offendiamoci più se ci danno dei lunatici, anzi, anche senza digiunare quaranta giorni, in questo week-end, possiamo dedicare un po’ di tempo a noi stessi e festeggiare la nuova luna con nuovi sogni e progetti.

LE DONNE FORTI NON SONO DELLE PIANTAGRANE

Si dice sempre che dietro un grande uomo c’è una grande donna. E forse sarebbe ora di piantarla, e mettergliela al fianco anche nel proverbio, perché di fatto lo è, da sempre. Accanto. O meglio, per conto suo.

E la cosa neanche la interessa poi tanto. “Le donne che cercano di essere uguali agli uomini, mancano d’ambizione” diceva Marilyn Monroe, la più incompresa delle donne forti. (A proposito sapete che fu lei ad ottenere il primo contratto al club di jazz Mocambo per la grande Aretha Franklin, snobbata perché di colore? L’amicizia fra le due fu tenuta segreta)

La donna forte non è immediatamente riconoscibile. È tutto fuorché uno stereotipo, un look, una posa, un femminismo gridato. Di certo, è una persona indipendente. Ma non solo economicamente, moralmente, intellettualmente.

La donna forte ha compreso che in realtà siamo tutti soli ed è questa solitudine che ci permette di amare gli altri, di dar loro qualcosa. Perciò s’accasa e tiene pronta la valigia. Perciò confida nel suo uomo, ma non si aspetta tutto. Da sempre ha capito che soltanto uscendo dalla categoria mentale del bisogno, potrà vivere completamente la sua vita, e dare. Da sempre ha compreso che i figli non le appartengono, che le cose sono soltanto cose, che la vita è uno scherzo molto serio.

La donna forte sorride. Molto, spesso, anche se ha il cuore in fiamme. Non per orgoglio, ma per forza di carattere, per modificare la realtà, piegandola. Non sbraita, non inscena pantomime, la donna forte non cade nel vittimismo, non si vendica. Sa che non serve. Serve piuttosto sfidare il vento per accogliere la vita, perché c’è un risvolto, almeno uno, in ogni situazione che le sarà favorevole.

La donna forte è segreta. Non per vezzo o per giocare con il mistero. Ma perché ha capito che nessuno può conoscere fino in fondo un altro essere umano. Ha compreso bene che neanche il compagno più fedele può vivere al posto suo, soffrire, gioire. Soprattutto ha verificato che di ognuno di noi si forma un’immagine nel mondo, incompleta, spesso falsa, a volte autentica ma sempre parziale. E va bene così. Lei lo sa d’essere molto di più, un uragano segreto, La vite su cui gira tutto come diceva Tolstoj.

La donna forte ha paura. Ma la scaccia e scaccia la paura della paura. È questo il suo coraggio. Sa che bisogna tenersi pronti a stracciare i propri piani per farne degli altri, seguendo il corso di un disegno occulto ma certo, per ognuno di noi. Per questo lei crede nei miracoli e nelle proprie forze.

Ragazze! C’è sempre tempo per diventare una donna forte, brillare di luce propria, ridere di tutto, facendo un passo indietro e più in alto. Da lassù gli uomini sono un po’ più piccoli, il cielo è più vasto, il panorama più ampio e c’è una striscia di mare all’orizzonte.

P.S. Piccolo consiglio agli uomini di Gustav Klimt
Non chiedere mai a una donna come fa ad essere così forte…
Forte non si nasce, lo si diventa… Non chiederle mai perché indossa ancora corazze con un uomo: forse ha combattuto troppo!
Non scavare dentro ai suoi ricordi…
Tienila stretta tra le braccia, ascolta i suoi silenzi…

CREARSI UN FREE SPACE PER SUPERARE QUESTA FASE DI STALLO

I media hanno festeggiato la fine del lockdown. I media! – preciso – perché la cosiddetta normalità è ben lontana ancora dalla vita vera della gente.

Al di là delle formule di rito infatti, molte persone mi hanno scritto rivelando un sentimento di grande frustrazione, malinconia, apatia. “Non è stata la gran festa d’opportunità che immaginavo” ”E adesso, cosa succede?” “Il ritrovarci, con quella persona, mi ha deluso”…

Non sono sorpresa. In questo momento le energie generali sembrano in stallo, sembra di vivere sospesi sulle nostre attese. Ci aspettavamo grandi soluzioni, in seguito a nostre grandi e piccole ri-soluzioni e invece…

Energeticamente invece passiamo attraverso continui up&down, fisicamente ciò si traduce peraltro in momenti di iperattività e in altri di grande spossatezza. Globalmente ci sono ritardi in tutti i campi. Molti di noi si sentono disillusi, siamo in attesa di eventi che devono accadere, che abbiamo invocato, ma non dipendono solo da noi. Di qui, un grande senso d’impotenza.

Cosa fare? La risposta non è facile. Perché non possiamo che passare attraverso l’accettazione. Non un’accettazione passiva e triste però. Dobbiamo darle una qualche ricchezza.

Un modo, può essere quello d’individuare un nostro free space, totalmente nostro, un concetto poco legato al tempo e allo spazio, o meglio legato, ma da un punto di vista energetico e spirituale.

Può essere rappresentato certo, da un interesse specifico: uno sport, la lettura, il giardinaggio, lo yoga, o da un talento: l’abilità manuale di fare oggetti, cucinare etc. Ma non solo. Il punto è nutrire lo spirito, la propria interiorità facendo queste cose.

Come? Si dirà. Grazie tante, ma come so che sto nutrendo la mia interiorità?
La risposta va cercata nella gratuità.

Non si tratta di dedicare il proprio tempo libero (free time e non free space) a questa o a quella attività per un risultato specifico (un record, un manicaretto, il premio “balcone fiorito dell’anno”…) ma di coglierne l’ispirazione, godendone almeno un momento in piena coscienza. Non m’interessa soltanto togliere il secco ai fiori delle mie piante per renderle magnifiche, ciò che è importante è fermarsi un attimo cogliendo la pace di un momento di contemplazione di noi stessi in ciò che stiamo facendo.

Chi può, faccia un esercizio di respirazione profonda, servirà a bloccare “la visione” di quel momento. Chi è più sensibile alla bellezza, si concentri sulla luce di quell’istante, il profumo, il suono sullo sfondo, una sensazione fisica.

I guru più esperti lo definirebbero “vivere un momento di eternità e l’eternità di un momento”. Più modestamente io cerco la benevolenza verso noi stessi. Benevolens, la voluntate benefica dei latini, attiva dunque, generatrice, perché “accorgersi” sospende il correre di quelle lancette d’orologio (che, con il loro giudizio, ci ossessionano) unendo benessere fisico, mentale, energetico.

Tutto in fondo è una forma di meditazione. Potremmo dire che si tratta di questo, ognuno lo fa a suo modo. “Meditare è osservare a fondo la natura delle cose” scrive il monaco vietnamita Thich Nhat Hanh in “Insegnamenti sull’amore”.

La pratica della consapevolezza è più alla nostra portata di quanto si possa pensare. E ci può aiutare, ci può aiutare in questo falso momento di normalità.

LASCIAMOCI AIUTARE DALLA POESIA

«La poesia è la madrelingua del genere umano” diceva il filosofo prussiano J.G. Hamann e non posso esimermi dal constatare quanto la crisi di questo genere letterario negli ultimi decenni abbia nociuto all’umanità. Un tempo la poesia era posta al centro della società, poi è stata marginalizzata, relegata a mero vezzo, a ghirigori dilettanteschi, estetica fine a se stessa.

Niente di più sbagliato. Perché non si tratta, appunto, di un semplice genere letterario. Ci sono versi che rappresentano la sintesi stessa della vita, di ciò che d’insondabile affrontiamo tutti i giorni, il mistero stesso alla base di tutto, spesso così sapientemente intuito da un verso.

Non a caso molti degli antichi poeti erano anche mistici: il grande Gialal al-Din Rumi, vissuto in Persia nel 1200 ne è l’esempio più calzante. I suoi versi sono raggi di luce nel buio, illuminano più di tanti discorsi e spesso, in momenti di difficoltà mi hanno indicato la strada. Come non ricordarne alcuni così celebri:
“Là fuori, oltre ciò che è giusto e a ciò che è sbagliato, esiste un campo immenso. Ci incontreremo lì”
“Questo è l’amore; volare verso un cielo segreto, far cadere cento veli in ogni momento. Prima lasciarsi andare alla vita. Infine, compiere un passo senza usare i piedi”

Il libanese Khalil Gibran era poeta, filosofo, aforista e pittore. Come non ricordare “Il giardino del Profeta” e come non ricordare gli insegnamenti di certi suoi versi:
“I vostri figli non sono i vostri figli. Sono i figli e le figlie della brama che la Vita ha di sé. Essi non provengono da voi, ma per tramite vostro, e benché stiano con voi non vi appartengono”
In poche righe, trovi strumenti per capire l’esistenza, in un’immagine, il senso del mistero che ci avvolge e che prima o poi attanaglia anche il più superficiale e distratto degli uomini.

Il poeta ha il dono d’intuire al di là delle nuvole create dalla mente. Talvolta neppure se ne rende conto, canalizza linguaggi non completamente suoi e rivela, suo malgrado. In questo senso penso che tutti i grandi poeti siano stati e siano ancora, a loro modo, connessi con la Sorgente della vita.

Mi pare un’evidenza rileggendo Arthur Rimbaud che non a caso diceva: “Scrivevo dei silenzi, delle notti, annotavo l’inesprimibile. Fissavo delle vertigini” ma anche Emily Dickinson, Giuseppe Ungaretti, C. P. Baudelaire con i loro versi sul Tempo, la Solitudine, l’Amore, il Destino, il Dolore, il Piacere possono ancora oggi farci sentire meno soli, meno “strani”, meno deboli, meno persi.

E da ciò che vedo sui Social tanto deprecati, seppur in forme mordi-e-fuggi, qualcosa si sta muovendo, il bisogno del verso consolatore riemerge, raggiunge anche i più digiuni di libri di poesia. Perché non c’è bisogno d’aver studiato per sentire, amare, immaginare, commuoverci. Questo è il regalo della poesia.

VENEZIA ANNO ZERO

Stamane, nel tragitto fino allo studio del mio commercialista, ho incontrato nell’ordine: un amico ristoratore, un antiquario, un barista, un agente immobiliare. Non parlavamo dalla fine di febbraio. Bilancio di questi mesi nelle conversazioni: depressione. Tutti coraggiosamente aperti. Nessuno all’ora attuale ha ricevuto gli aiuti finanziari promessi dal governo. Fanno fronte con i loro risparmi, ma fino a quando? Prospettive future: nefaste.

Nei discorsi certo traspare tutto l’affetto e la fierezza per la bellezza ritrovata della nostra città. L’acqua trasparente nei canali, i monumenti fruibili nella loro solitudine, le vie d’acqua percorribili, senza gli accalcamenti e gli schiamazzi del turismo di massa. Ma se spingiamo lo sguardo più in là, nel futuro breve, gli occhi si fanno tristi.

Eppure – ce lo diciamo, rianimandoci – questa potrebbe essere l’occasione di ripartire da zero. Si dice sempre che Venezia è senza tempo, ecco, questa potrebbe essere l’opportunità d’inventarci un nuovo calendario, con tutto da riscrivere per dirigere le risorse verso uno sviluppo reale della città, e soprattutto durevole.
“Bisognerebbe che chi l’amministra, ci abitasse! Tanto per cominciare” il solito annoso problema dei sindaci di terraferma. Non conoscono la vita quotidiana qui.

Ma c’è di più: si dovrebbero individuare le grandi direzioni da dare alla città e con quali modalità: l’arte (ma non solo con le Biennali)/ Il turismo (scoraggiando davvero quello mordi-e-fuggi con una serie di coraggiose limitazioni, anche pecuniarie/ Limitando le licenze per negozi di souvenirs e borse, spesso made in China e favorendo i commerci d’uso quotidiano)/l’ambiente e il problema dell’acqua alta (con un ripensamento totale dell’uso di Marghera e la sua bonifica/ le grandi navi etc)/ il mercato immobiliare (con un reale piano per la casa ai veneziani affinché il tessuto demografico locale non continui a depauperarsi)

Nessuno s’illude che una città come Venezia sia facile da amministrare. Ma ora, paradossalmente, abbiamo meno da perdere di prima, forse nulla da perdere… siamo in ginocchio. Perché non provare allora?
In questi giorni, il mare al Lido è trasparente. Poca gente, l’aria profuma di gelsomino e pino marittimo. Mi fa pensare a certe cartoline d’epoca, con signori e damine ben vestitite all’Hotel des Bains, all’Excelsior, o ai té musicali dell’hotel Hungaria.

Se ci provassimo tutti, a cambiare, tenere un decoro, anche personale, quando siamo a spasso per la città, imporlo nei luoghi di ritrovo, intervenendo fermamente quando vediamo una mancanza di rispetto qualsiasi: gente che sporca, che improvvisa picnic, che imbratta i muri, abbandona immondizie, mette i piedi in ammollo nei canali. Se cercassimo di privilegiare il mercato di Rialto e quelli rionali, i commerci locali, i ristoranti e le trattorie “nostri”, se educassimo i visitatori a fare altrettanto, rendendoli co-protagonisti del mondo che visitano e offrendo un turismo più colto (Perché te la devi meritare Venezia!), forse questa città rinascerebbe per l’ennesima volta.

Nietzsche considerava Venezia “un’immagine per gli uomini del futuro”. Profetico o amante del paradosso, è proprio cosi’ che dovremmo cominciare a pensarla.

Capovolgere la visione: non prezioso, agonizzante cimelio dell’antichità, ma scommessa per una città consapevole dei suoi tesori e a misura d’uomo contemporaneo.

Non, metà donna e metà pesce, come si suole dire, ma sirena incantatrice capace di sussurrare al viaggiatore più distratto che questo è il luogo della felicità.

TORNARE A VENEZIA

In treno continuavo a dirmi che tre mesi non sono molti. Ho sempre viaggiato tanto, i miei ritorni non sono neanche ritorni, ma tappe di un itinerario mai terminato, fra case, mondi, entourages cangianti.
Eppure questa volta era diverso. Ero emozionata. La mia assenza non era dipesa da mie decisioni di vagabondaggio, era stata imposta dalla quarantena, dalla minaccia del contagio.

Gli amici mi avevano raccontato i momenti bui, lieti che fossero alle spalle: “La città che vedrai si è riaperta!” mi dicevano. Così m’apprestavo a rincontrarla, la cara Venezia dei miei ricordi più recenti, (ma pur sempre invernali) nella sua veste più bella, a primavera inoltrata, quando si trasforma in una principessa da fiaba.

Bellissima lo è, forse ancora più di prima. La sua fragilità d’alto lignaggio ti s’impone, mentre cammini, fra pozze di sole, nei vicoli stretti, nei campielli semideserti, sulle rive taciturne del Canal Grande. L’impressione è di risveglio indolenzito, in una convalescenza protratta, perché la malattia è stata terribile e la debolezza è rimasta estrema.

I rumori della vita sembrano attutiti dallo scrupolo di disturbare la città appena rimessa in piedi: pochi i negozi, i bar e i ristoranti aperti, i gloriosi hotel terrazzati sono quasi tutti chiusi, niente gruppi di turisti intruppati dietro alla solita guida con bandierina. In Piazza San Marco, qualche coppia forestiera si guarda intorno perplessa. Un uomo s’avvicina alle porte chiuse del caffé Florian: “Questo è il più antico di Venezia!” dice alla moglie, che ha ben poco da guardare, perchè è tutto sprangato. Più in là ritrovo le vetrine di un vecchio negozio d’antan. Vende ancora gli abitini a punto smog che mi comprava la mamma, quelli da brava bambina. Tre ragazzi li guardano distratti, tutti presi dalla solita discussione dei visitatori: “Ci vivrei, non ci vivrei… per un po’ forse, città difficile…” Come se si potesse scegliere d’amare o non amare un sogno!

Si sente parlare veneziano, risalta la parlata molto più di prima. Ovunque c’è lavorio di manutenzione piccola. Qua e là, cambiamento d’insegne di negozi importanti, in Calle XXII Marzo, la passeggiata delle griffes. Su tutto plana un sospiro sommesso, la gente non sa se basterà a risollevarci, a riprendere la vita di prima. Gli imbarcaderi semivuoti sembrano escludere la freneticità cui eravamo abituati. Non si corre, non si grida, niente spintoni per saltare sul vaporino, niente calli intasate da crocieristi sbarcati in massa. Anche il mercato a Rialto è intimo, senza schiamazzi. Compro il pesce, i banchetti sono ricchi di prelibatezze, meno numerosi i fruttivendoli e i verdurai.

Tutto bello, si dirà. Finalmente, Venezia a misura d’uomo. Sì in parte. Ma come mi è già accaduto a Roma dove ho passato la mia quarantena, mi rendo conto che neanche questo è l’autentico volto di Venezia.

Perché la città siamo noi, noi abitanti, con il nostro frastuono e i difetti, fieri di mostrare casa nostra ai curiosi di mezzo mondo, gli ospiti.

E allora stona, anche qui, questo silenzio, questo isolamento da mascherina – se non addosso, almeno in tasca – questa malinconia da fine della festa. Proprio ora che la stagione è più bella, altane e balconi sono in fiore e il sole è caldo, ma non brucia.

PERCHE’ NIENTE POTRA’ MAI IMPEDIRCI DI VIAGGIARE

Come tanti, avendo tra l’altro famiglia all’estero, sto tentando di capire quando potremo riprendere i viaggi a medio e lungo raggio. È tutto collegato all’evolversi della pandemia naturalmente, ma – mi chiedo – in futuro, i governi, potranno davvero impedirci di spostarci?

Non mi riferisco alle esigenze di lavoro o alle tragedie di popoli interi, penso al nostro modo di vivere più profondo, al bisogno intimo di libertà di ciascuno di noi, alla nostra percezione, consapevoli o meno, d’essere in transito, sempre, nel breve o lungo arco dell’esistenza. L’essere umano è nato nomade, cacciatore-raccoglitore.

La prendo da lontano – qualcuno dirà – ma non poi così tanto. Il camminare nel mondo è parte del nostro DNA, integrato nella struttura cerebrale primitiva dell’uomo (“La mente non può separarsi dal viaggio” dice bene Pat Conroy).

C’è chi, come Jacques Attali nell’”Uomo nomade“ teorizza addirittura che la stanzialità non sia che una breve parentesi della storia umana. Se ha permesso egemonie, sfruttamento di risorse e creazione d’imperi, questi hanno finito sempre per non durare e implodere. Per non parlare del fatto che il nomadismo – lo si dimentica spesso – è sempre stato la forza innovatrice del mondo, l’origine delle grandi scoperte, una fondamentale forma d’economia e veicolo dei più grandi passi avanti dell’uomo.

Da ex insegnante di lingue poi, non posso trascurare il valore imprescindibile del linguaggio nello sviluppo cognitivo. La cultura poliglotta è di fatto un esercizio costante di nomadismo. Un nomadismo da fermi – mi piace ricordare – perché basta entrare nel brodo culturale di un’altra lingua, per indossare nuovi occhiali e vedere il mondo diverso, per fondersi “nell’altrove” assorbendone contenuti, abitudini, apprendimenti. Chi ha provato lo sa, persino quando amiamo in un’altra lingua, è un altro film!

Sarebbe radicato insomma, quell’horreur du domicile, citato da Bruce Chatwin in “Anatomia dell’irrequietezza” rubato a sua volta a un verso di Baudealaire (i nomadi sono spesso un po’ furfanti) poiché nel camminare, portandosi appresso più o meno cose e soprattutto il bagaglio di noi stessi, troviamo la strada dei nostri perché più profondi e nascosti.

Anche se il nomadismo per la maggior parte di noi si è evoluto in qualcosa di nuovo, di mordi-e-fuggi (purtroppo spesso superficiale) esiste ancora, e serve, serve, se accettiamo di diventare viaggiatori e renderci meno ciechi, permettendo alle esperienze di fare e disfare l’inventario delle nostre certezze. Soltanto se ci spostiamo, possiamo comprendere cosa ci appartiene e cosa no, cosa amiamo e cosa ci ama, come proseguire, se proseguire…

“Viaggio per viaggiare” diceva Robert Louis Stevenson, uno che se ne intendeva, e sono d’accordo con lui. Poco importa quanto lontano, l’essenziale sta nell’esplorare. Come se, davvero, riscoprissimo che quella è la nostra vera ragione d’essere, e il viaggio permettesse, sempre, a chiunque, di ristabilire l’armonia originale dell’universo, là dove siamo sempre stati liberi d’esistere nella semplicità, nella molteplicità, senza limiti.

LA MORTE DI EZIO BOSSO E IL RITORNO ALLA NORMALITA’

Ha colpito tutti la morte di Ezio Bosso. L’artista era straordinario tanto quanto la persona – di famiglia umile, non certo nel giro aristocratico della musica – ma è la lezione dell’uomo che prevale, pensando a lui. Non basta essere malati di una malattia terribile, degenerativa, appunto – una che non solo non ti lascerà mai, ma peggiorerà sicuramente, torturandoti – bisogna aggiungere la gioia di un uomo che aveva trovato la sua passione di vita, aveva saputo coltivarla, meritarla, condividerla e appunto essere felice. Uno scandalo dunque, insopportabile! Quando l’esistenza viene onorata, dovrebbe essere lasciata libera di volare. E invece no, spesso s’abbrevia, si sacrifica, s’addensa in distillato d’anni contati.

Nonostante il dolore, le menomazioni fisiche, la difficoltà di esprimersi, Ezio Bosso sapeva essere gentile, disponibile, grato, umile e istrionico al tempo stesso. Questo colpisce in assoluto, se guardi le sue interviste, quella volontà di esistere, quell’entusiasmo nel conservare il bello e dimenticare il brutto.

Le sue parole sono cosi’ profonde e ispirate che stenti a crederle pronunciate da un uomo affascinante e giovane, condannato a soli 48 anni. E sembra proprio calzargli a pennello “La fine è il mio inizio” il titolo dell’ultimo libro di Tiziano Terzani, scritto pero’ da un vecchio, con lunga barba bianca da guru.

Ezio Bosso possedeva una spiritualità laica, applicata alla vita quotidiana che traduceva in comportamenti concreti, come quando diceva “di tenersi stretti i momenti felicivivendoli fino in fondo, usandoli “come maniglia per tirarti su quando non riesci ad alzarti”. C’era un’accoglienza silenziosa, quasi mistica, nel suo modo ‘arreso’ ma non vinto, di vivere la malattia, come un nuovo capitolo, o una nuova stanza dell’esistenza.

Ho spesso pensato, incontrando persone cosi’, a una verità spaventosa, che il dolore possa rendere alcuni di noi – i migliori – più profondi, più visionari, che accenda i loro occhi di maggiore splendore e renda la loro voce più dolce, intrisa di saggezza illuminante per gli altri.

E come stride, accanto ai ricordi del Maestro che si rincorrono sui social, la solita carrellata di notizie, notizuole, polemiche, protagonismi pretestuosi sul ritorno alla normalità (parola strana!) la Fase 2, 1, la 3! Andremo in spiaggia, come ci andremo… e tornerà la seconda ondata di contagi in autunno? Non è concluso maggio che già ci guastiamo ottobre. Sembra di finire di colpo in cantina, senza luce, dopo aver sostato un’ultima volta nel giardino interiore di Ezio Bosso.

E ci vergognamo un poco, ammettiamolo, di lamentarci di questo e di quello, e di chiederci il perché di tutte le cose che non vanno nella nostra vita. Inutili, tortuosi labirinti di pensiero che c’imbrattano i giorni di meschinerie, paure piccole, indolenzimenti mentali, privandoci dell’energia e della leggerezza che dovremmo invece serbare per le cicatrici del presente e del futuro.

Perché questo ci ricordano uomini come Ezio Bosso: il paradosso senza fine, che gli ostacoli sono insegnanti, il dolore, una scuola inevitabile. E mi piace dedicare al Maestro una frase di Khalil Gibran “Il dolore è troppo grande per regnare in piccoli cuori”.

GLI ICEBERG IN QUARANTENA

Ammettiamolo, c’è stata molta retorica sul ritrovarsi amoroso delle coppie confinate in casa. C’è chi ipotizzava perfino un futuro baby boom, a testimoniare della straordinaria opportunità di ricominciare, regalataci dal COVIT!

La realtà sembrerebbe meno rosea. Crisi latenti si sono acuite, la noia – non più evitabile – per alcuni si è convertita in discussioni continue, silenzio ostile, freddo glaciale. Per non parlare dei casi di violenza, aggravati dalla convivenza forzata, in tutta Europa. Attivate molte soluzioni d’aiuto ovunque: in Francia, ad esempio, se ci si sente in pericolo ed è troppo rischioso telefonare da casa, una frase in codice puo’ essere pronunciata in farmacia o al supermercato per chiedere aiuto.

In verità, l’allontanarsi di due persone è molto più che una questione geografica. Ed è cio’ che, paradossalmente ho voluto narrare nel racconto d’avventura Iceberg contro Iceberg 

https://www.amazon.it/Iceberg-contro-Francesca-Schaal-Zucchiatti/dp/1729403069/ref=sr_1_5?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&dchild=1&keywords=Francesca+Schaal&qid=1589030022&s=books&sr=1-5

dove la protagonista si sente tradita su differenti piani e si chiede: Cosa unisce davvero? Qual’è il valore di un percorso fatto insieme?

Ognuno di noi racconta la propria storia d’amore in modo diverso, perché l’ha vissuta e percepita fin dall’inizio in modo diverso, nutrendola delle proprie illusioni e delle proprie paure.

Spesso alla base di una crisi c’è un grande fraintendimento. Poi, certo, la vita complica col suo carico di prove, imprevisti, sorprese, responsabilità. In questo senso, l’evidente egoismo del protagonista maschile di Iceberg non è altro che puro analfabetismo sentimentale. Difficilmente sappiamo amare, se non siamo stati amati. Di qui, la vera questione: Come identificare l’amore? Come dare, senza perdersi, in quel dare? E siamo certi poi, di chiedere “vero amore” all’amore?

Il percorso della vita è individuale, non dovremmo mai dimenticarlo, per amore di noi stessi prima di tutto, rammentandoci con Novalis che “Libertà e amore sono una cosa sola”.

In questo forse consiste la crescita, implicita nell’esperienza, positiva o negativa che sia (ed è sempre un po’ tutte e due le cose). “L’amore è un insegnante migliore del dovere” diceva, non a caso, Einstein, la sua lezione, tuttavia, è spesso molto più severa. Per Joan, la protagonista di Iceberg è dura come un pezzo di ghiaccio, ma è anche il solo modo per uscire dal labirinto di una sofferenza antica e provare a respirare la brezza di un’avventura tutta nuova.

E quanto vorrei che la scrittrice ch’ero, allora (uno scrittore puo’ molto, anche se non tutto, per i suoi personaggi!) avesse concluso il racconto di Joan con parole analoghe a quelle di George Sand: “Io ho sofferto più volte, mi sono spesso ingannata, ma ho amato: sono io che ho vissuto e non un essere fittizio creato dal mio orgoglio e dalla mia noia”

(in vendita a Euro 3.99 su Amazon.it o sul sito Francesca Schaal Zucchiatti)

AVERE SENSO CIVICO NON SIGNIFICA ADERIRE ALLE IDIOZIE

Ieri 2 Maggio c’è stata una manifestazione in pieno centro di Roma al grido “Libertà!” (non ne so molto altro) della quale i media non hanno quasi parlato. I post su Fb sono stati tutti censurati.

Non occorre essere dei geni per capire che i dati sparati continuamente da virologi e politici (interpretabili secondo l’uso che se ne fa) non hanno alcun senso.
Servono – questo si’ – a tenere programmati i nostri cervelli sulla modalità “inerzia” e “paura”, per imporci tutta una serie di decisioni, per trasformarci in sudditi invece che cittadini.

E’ ovvio che in una pandemia il contagio dev’essere evitato con precauzioni di buon senso, ma l’ultima parola nei comportamenti dovrebbe essere affidata al nostro senso di responsabilità, liberamente assunto ed esercitato.

Tanto più che il contagio è diverso da provincia a provincia e alcune delle regole che vengono imposte sono assurde: correre con la mascherina ad esempio è nocivo per la salute (e insopportabile); impedire al parrucchiere di tagliarci i capelli, mentre il fruttivendolo, in piazza, ci puo’ passare tranquillamente i pomodori, è grottesco.

Da adulto, sano di mente poi, pretendo di decidere chi andare a visitare e non intendo spiegare a chicchessia i criteri con cui lo faro’. Ed è certo che lo/la abbraccero’.

Ho spesso passato lunghi soggiorni in Paesi dove le malattie più terribili sono endemiche, ogni volta nei limiti della ragionevolezza, ho SCELTO il comportamento da assumere. E non mi si dica, per favore: “Pero’ se stai male, ci chiederai di curarti”. E’ dovere dello Stato, curare i propri cittadini, prepararsi a farlo nel migliore dei modi. Dovrebbero essere le tasse che paghiamo (e quante sono!!!) a renderlo possibile. Se il nostro denaro e le prime informazioni sul virus sono state mal gestite, non è colpa dei cittadini!

Da adulto, sano di mente, mi rifiuto anche di scaricare una APP invasiva del diritto alla privacy di chi incrocio sulla via. Preferisco rischiare di sfiorare un contagiato che cambiare strada. Tanto più che attraverso i cellulari è in atto una gigantesca, mondiale operazione di controllo (a vari gradi) della popolazione.

Esercitare il diritto della LIBERTA’ è un atto di maturità individuale e collettivo. Si sta facendo di tutto per farci credere che non ne siamo all’altezza. Ma anche i bambini sanno che chi sbandiera di voler il tuo bene, molto spesso non lo vuole affatto.
Sta a noi sollevare la testa. Sta a noi, documentarci ovunque, e vagliare, di volta in volta, cio’ che ci viene venduto per oro colato. “Un uomo è libero nel momento in cui desidera esserlo” diceva Voltaire.

Allora se lo vogliamo davvero, esercitiamolo questo diritto e ragioniamo con la nostra testa!

IL 4 MAGGIO: AIUTO!!! CONSIGLI D’USCITA

Pare che in termini psichiatrici, le abitudini si formino in un lasso di tempo che va in media dai 27 ai 30 giorni. La quarantena trascorsa – cinquantena anzi – si è dunque agevolmente installata nella nostra vita, con tutta una serie di muffe mentali e ruggini alle giunture.
Il 4 MAGGIO ce lo siamo segnati tutti: si uscirà! Ma dove? Come?

Oltre alla confusione estrema nella gestione delle riaperture sulle quali s’agita un continuo to be fake or not to be: avverrà per regione, città, fascia d’età, tipo di servizi, di esercenti…? Boh… (dal momento che è tutto correlato e non posso comprare dei fiori ad esempio, se non hanno aperto i vivai e riavviato i trasporti per fornire i negozi, è mia personale convinzione che gli annunci servano a poco) oltre a questo, dicevo, c’è di più.

La faccenda è più complessa: come vivrà questa fase ognuno di noi, interiormente? Facile dire che sarà EUFORIA, ma è proprio cosi’?
In “Malattia come metafora” Susan Sontag mette in guardia contro i termini bellici “tipo guerra” continuamente, e non a caso, usati in questa pandemia con tutto il loro immaginario colpevolizzante (se esci a correre, contamini dei poveri Cristi etc.).

Ci è stato procurato infatti, uno shock, in parte dovuto alle reali insidie del COVIT, in parte animato da politica e media, perché venisse meno la nostra primordiale libertà d’iniziativa e reazione personali, per indurci alla lentezza e all’acriticità, all’autolimitazione insomma.

Agendo su paura e colpa si puo’ esercitare un controllo altrimenti impossibile. Lezione della storia. Cosi’ è stato ancora una volta.
Ed ora, malconci e indolenziti, ci apprestiamo ad uscire dalla gabbia. Per questo vorrei suggerire qualche piccolo consiglio, una dieta da iniziare prima del 4 Maggio?

a) Ridurre tg, info, trasmissioni su Covit, post su fb del virologo X, a una sola volta al giorno. Preferibilmente non di sera, prima di coricarsi.
b) Fare una passeggiata quotidiana, da soli, spingendosi sempre un po’ più lontano, nei limiti del consentito, o girandoci intorno, in modo da non fare sempre lo stesso itinerario.
c) Per chi fa meditazione: salutare per sempre questo tempo della nostra vita. Accoglierlo (ci ha insegnato sicuramente qualcosa) e chiuderlo. Per chi non fa meditazione: stracciare dall’agenda le pagine di quarantena, il mese di marzo e aprile dal calendario. Accantonare screzi, accadimenti (contaminati anche quelli) Sono passati. Finiti. Addio.
d) Fare progetti per i prossimi mesi, fino alla fine dell’anno. Piccoli o grandi… come se dipendesse solo da noi.

Riprenderci la nostra vita è fondamentale, prima che altri, non contenti d’averci dovuti liberare, ci iniettino altre paure – la seconda ondata del COVIT/la modificazione genetica del virus/la mancata vaccinazione antinfluenzale – e ci ricaccino in una metaforica casa esistenziale, devitalizzata come un dente – sala d’attesa di nuove sciagure – non per curare, ma per “prevenire” questa volta, magari, soltanto con un’insidiosa APP sul cellulare!

LA FASE 2: QUESTO OSCURO OGGETTO DEL DESIDERIO

Siamo in trepida attesa, eccitati come bambini prima di Natale, cosa succederà nel fatidico 4 Maggio? Tana, fuori tutti? Come quando si giocava a nascondino – toccandoci naturalmente! – senno’ come si faceva a liberare anche i compagni!

Io mi immagino un mattino come nel film di Kubrick “Odissea 2001 nello spazio”. Ricordate? Il momento culminante in cui il capo delle scimmie, alias Presidente del Consiglio, per la prima volta nella storia dell’umanità si erge sulle due zampe posteriori e afferra la clava, agitandola in aria con la musica in sottofondo che incalza, e quando il sole è all’apice dell’orizzonte dice: “Via! Uscite!”

Invece temo che non capiremo nulla. Potremo andare dove vorremo per una corsa? Potremo comprare un pelouche, un vestito, una radio? Farci un massaggio? Andremo al mare con la mascherina, svenendo di caldo e abbronzandoci solo la fronte?

A nulla gioverà sentire i parenti, specie se in altre regioni. C’è chi potrà riprendere il lavoro ma non saprà dove lasciare i figli, chi salirà su un autobus ma solo se mezzo vuoto, chi al Parco continuerà a essere multato se in compagnia, chi in teoria potrà tornare a casa lontano, ma non avrà il treno o l’aereo per farlo. Dopo averci detto che non si è mai troppo vecchi per vivere pienamente nella nostra società, gli “over qualcosa” dovranno informarsi, forse stare a casa fino all’anno prossimo, in ogni caso evitare i temibili nipotini, piccoli mostri contagiosi travestiti da adorabili innocenti!

Guai poi ad avere famiglia in Europa o in altri Continenti! Quale destino attenderà chi s’avventurerà in aereoporto? Tutti fratelli, tutti cittadini del mondo, ma un po’ untori… e via di termometro a misurar temperature, e i tamponi e il test sulla goccina di sangue. Ma, mi si spieghi: è meglio essere positivo e dimostrare d’avere sviluppato l’immunità o non avere affatto questo benedetto Covit?

I virologi si moltiplicano nel mondo, un contagio subdolo e invisibile, chi mai si era accorto ce ne fossero tanti? Da dove sono usciti? Sfuggiti da qualche laboratorio con serrature difettose, forme di vita “mezzo umane mezzo pipistrelli” frutto di un complotto della Cina… Esseri malefici, comunque, uccelli del malaugurio, che già ci annunciano l’ondata di contagi dell’autunno, guai mai ci riabituassimo a non vederli più in tv.

Il balletto delle cifre, numeri più o meno a vanvera, a seconda di quando cominci a contare, e chi e dove. All’OMS si sa, non amano riunirsi di venerdi’, gli guasta il week-end.

Ecco, ci sto rovinando la trepida attesa! Mi dispiace, cari lettori, sognavate uno spritz, un semplice spritz con amici da abbracciare… la cara normalità fatta di baci sulla guancia e risate in camicia leggera a festeggiar la fine dell’inverno. Sognavate di dire:”ora si ricomincia!”. E invece no: nella gloriosa fase 2 potremo fare di tutto – dicono – ma non questo, tornare alla nostra vita, come diavolo ci pare, NO.

MA CHE MONDO TROVEREMO QUANDO USCIREMO?

L’urgenza è per la vita. La vita è la cosa più preziosa. Certo, ma, mi chiedo: quale vita reintegreremo una volta fuori, tornati alla cosiddetta “normalità”?
Mentre, distratti dal bollettino quotidiano – e quantomai aleatorio – dei contagiati e deceduti, ci applichiamo a mantenere la calma e coccolare virtualmente chi amiamo e non possiamo abbracciare, mentre ci sforziamo di conservare quei quattro risparmi che vediamo assottigliarsi giorno per giorno, là fuori, un certo tipo di mondo ha continuato a girare, senza porsi problemi di sorta.

In mezza Italia, ad esempio, si stanno abbattendo alberi per far posto alle antenne del famigerato 5G. In barba allo “stay home” universale, ci sono operai che continuano a lavorare. (La cosa è spesso denunciata sui social e regolarmente censurata!) Poco importa se migliaia di uccelli cadono stecchiti nelle zone limitrofe alle nuove antenne, poco importa se molti cittadini insorgono e a livello internazionale si moltiplicano gli studi e gli appelli degli scienziati sui rischi cancerogeni della nuova tecnologia, poco importa se molti Paesi e città hanno detto già no al 5G. Di questo non si parla, non si vuole parlare e anzi, che fortuna avere il rumoroso Covit a coprire ogni voce con la sua tragicità!!

Tutti a esortare a mangiare italiano poi! Ma di fatto, dall’inizio della quarantena, siamo stati spinti a spendere nelle grandi catene di supermercati dove certo non vengono venduti i frutti del lavoro del piccolo produttore! E quando usciremo, il negozietto d’angolo sarà ancora vivo? In grado di resistere alle tasse, alle spese, alla competizione naturale del mercato già messo a dura prova?

Si progettano APP telefoniche che dovrebbero monitorare la nostra saluteper il nostro bene – ma pochi riflettono davvero sul pericolo-certezza che i nostri spostamenti e la nostra vita privata futura non avranno più segreti, perché nessuno sarà in grado di garantirci il rispetto della nostra privacy!

Insomma IO HO PAURA. Non della solitudine e dell’urgenza, mi preoccupa il DOPO, quel dopo amaro che nessuno sembra avere interesse a raccontarci.

Chi ci proteggerà, se non ci prepariamo da soli? Se il cucciolo innocuo sarà diventato una belva senza che ce ne accorgessimo? Perché dovremo stare attenti a ciò che ci racconteranno. Perché ci sarà da combattere purtroppo contro decisioni in parte già prese e avviate sotto il nostro naso. E ci diranno: “E’ stato fatto tutto alla luce del sole!”.

Ma noi, quel sole, ce lo siamo persi. Eravamo chiusi in casa, ricordate? Per il nostro bene, per il bene di tutti… FORSE!

LA GUERRA SOSPESA…E LA VITTORIA POSSIBILE

Chi sta bene è fortunato. Respira e vive. Sente il sole sulla faccia, ne sente la maggiore intensità da una settimana. Gli alberi se n’erano già accorti e si sono fatti trovar pronti con foglie giovani, lucide di perla, tenerezze verdi. Siamo a casa. Qualcuno ha qualcuno vicino a sé. Rinnoviamo ricordi e abbracci virtuali. Ponti incredibili di tempo e geografia emergono dal nulla, nello sprazzo benefico di una telefonata, un messaggio, un video.

Tante persone amate… volate via come nuvole, tornano a passare davanti alla mia finestra. E mi dico, una volta di più, che il vero amore, in tutte le sue forme, non è mai perduto.

Ma la guerra è guerra. Bisogna essere forti e non guerreggiare. Notizie orribili rigano il silenzio di giornate tutte uguali, ma non possiamo batterci. Non siamo gli eroi degli ospedali, siamo un numero di una conta che ci sfugge, siamo sofferenza senza costrizioni fisiche, libera di patire e godere il sole. Non siamo abituati al dolore. Sappiamo soltanto che abbiamo avidità di luce, aria, libertà, tocco. E aspettiamo…

Come dire l’attesa?
Nostalgie invisibili di tenerezze, rammarico per quella definizione di noi appena abbozzata in certi rapporti ormai sospesi, occulte volontà di trasmissione di cose sapute e non dette, quando s’era accanto.

Forse è questa l’unica palestra di coraggio che ci rimane, il punto massimo della parabola di questa nostra personale guerra – epocale come ripetono mai vista prima– unico noviziato d’eroismo possibile. Dire tutto. Tutto ciò che va detto. A se stessi dapprima. Per non arrivare troppo tardi. Perché è così, vivere nel pericolo: la paura costante della gabbia, e non poter dire in tempo.

E quanta gioia in questi giorni si può ottenere chiudendo finalmente cerchi d’intendimento, sgomberando intere valli d’armonia, rasentando la propria sorte con un lampo chiarificatore. Far cadere le corazze, le maschere d’orgoglio, le trine lezzose delle false debolezze. Assoluzione piena per antiche parole, usarne di nuove, poche, scelte con cura. Sembrerà uno sbalzo nell’irreale tanto poco siamo abituati all’essenzialità, vedere con occhi buoni… e invece aprirà spazi vivi, germinazione di semi, gemme e fiori.

Per tutti sarà stata una grande avventura, così fuori dal ritmo meccanico della vita, così lontano dalle solite brighe e interessi. Un’intima verità di noi che s’instaura, d’ora in poi… Una bella vittoria in questa guerra sospesa.

UN NUOVO MODO DI LEGGERE AL TEMPO DEL CORONA VIRUS

So già che molti lettori, quelli veri come me che divorano anche cinque/sei libri in un mese, avranno da obiettare. Il libro è un incontro anche tattile: la grammatura della carta, l’odore, la copertina (un tempo, anche per noi scrittori era un vanto averne una rigida!) e poi la possibilità di sottolineare, scribacchiarci a latere… in un rapporto quasi intimo. Un libro ti accompagna, per un po’ diventa quasi un diario. Una cosa tua.
Poi i tempi sono cambiati.

Abbiamo cominciato a viaggiare con bagagli microscopici. Nei voli law cost, come tanti, ho elaborato tecniche da spia per evitare di metterli nella valigina che ospita già a malapena un cambio e due mutande. Misteriose tasche interne che ti fanno assomigliare all’omino Michelin, volumi incastonati sotto le ascelle mentre passi il check in, false buste duty free con rivista esplicativa di come fare una tovaglia all’uncinetto mi hanno permesso il trasporto clandestino di una piccola scorta di libri in ogni parte del mondo. Ma ora il virus… cosi’ abile da insinuarsi anche fra le pieghe di un pacco postale, sembra averci momentaneamente fregati tutti.

È per questo che ho ceduto anch’io. Ho pensato di aprirmi all’e-book, sia come fruitore che come scrittore. In un istante lo compri ed è tuo, in tablet/cellulare/computer. E per dimostrare che comprendo che non è la stessa cosa, ho voluto offrire il mio romanzo a soli 2.99 Euro !!!

Mi piace pensare che nessuno rischierà la vita per recapitarlo e riceverlo; mi piace pensare che accompagnerà le giornate tutte uguali di qualcuno in questa quarantena sempre più lunga; mi piace pensare che forse la mia storia arriverà alla persona che senza saperlo l’attende, perché come scrive Gabrielle Zevin “Bisogna incontrare le storie al momento giusto (…) Questo è vero nei libri e anche nella vita”; mi piace pensare che un racconto d’amore, di piante e Natura possa distrarre dai bollettini plumbei dei tg e trasportarci già a domani, a quando vivremo tutto di persona e ancora meglio, meglio e di più… molto di più…

Buona lettura e buona vita !

AVERE PAURA NON E’ OBBLIGATORIO + Meditazione

In queste settimane è la parola più usata, viene indossata tutti i giorni come la famosa mascherina che dovrebbe proteggerci. Ma cos’è la paura? La conosciamo davvero?
A ben guardare la paura è soprattutto attesa, aspettazione del male. Per chi in questi giorni è chiuso in casa, magari asintomatico, è soprattutto anticipazione più o meno giustificata del peggio. È insidiosa la paura, difficile da gestire.

Il dolore si piange, si sopporta, occupa; la rabbia si urla, si sfoga, fuoriesce. La paura stagna, s’aggrappa, s’incrosta. Peggio, “Quel che temiamo più d’ogni cosa, ha una proterva tendenza a succedere realmente” diceva l’Adorno, e aveva ragione perché il nostro pensiero ha un potere creatore potentissimo, si autoalimenta, ci logora e poco a poco abbatte le nostre difese.

È imperativo perciò imparare a gestire la paura. Due le citazioni illuminanti che mi portano lontano:
“Si ha paura del disordine del proprio pensiero” (Guy de Maupassant). Cominciamo allora a mettere in fila ciò che ci preoccupa di più. Individuamo per ogni singola situazione, il margine d’azione che ci resta; là dove c’é una soluzione, anche solo parziale, agiamo, là dove non c’è, accettiamo che non ci sia;
“L’assenza di paura è il primo requisito della spiritualità” (Gandhi). Al di là di qualsiasi credo religioso, il riconoscimento della componente di fatalità nella nostra esistenza è già una forma di spiritualità. Non possediamo tutte le risposte, la vita resta un mistero. Affidarglisi con fiducia significa trovare un principio di pace e mettere a tacere, almeno per un po’, la paura. Per riuscirci bisogna rientrare in noi stessi però, riprendere domicilio nella casa del nostro corpo fisico ed eterico. Ed è un lavoro individuale, perché, come scriveva Carlos Castaneda “I paurosi tirano per i piedi chi è intento a volare, per riportarlo a terra. Nella meschinità, si sentono meglio se tutti strisciano“.

Voliamo allora, muoviamoci con quella parte di noi che può scalare montagne da fermo, in prigione. Incontrarlo può essere semplice, anche tramite una breve meditazione.

Io ne ho canalizzata una, Dimentica d’avere paura scaricabile gratuitamente su you tube https://www.youtube.com/watch?v=9jB_TSlh6R8.

 Il mio tentativo è sempre quello di introdurre a questa disciplina le persone più scettiche e non abituate, ma la scelta sul Web è vastissima e tutto è utile se giova e vi parla.

Fare a meno della paura si può, non perché sia facile, ma perché la paura non serve, non ha alcuna utilità.

Non è la paura che deve farci assumere stili di vita prudenti, è l’amore e il rispetto per gli altri.

Non è la paura che ci preserva dai pericoli della libertà, è il cercare quella libertà in profondità, in quella parte invulnerabile dentro di noi.

Non è la paura che innalza le nostre difese immunitarie, è il sentirci già a domani, quel domani in cui potremo riaprire le porte della nostra vita, magari con più coraggio, gioia e determinazione di prima.

DIARIO INTIMO DA UNA ROMA INIMMAGINABILE

Da settimane vivo la quarantena in un piccolo bilocale sui tetti, nel cuore di Roma. Un esiguo, prezioso poggiolo mi consente di bere il caffé del mattino seduta al sole. Davanti a me, i tetti dei palazzi intorno, le terrazze punteggiate dal verde delle piante che, incuranti del COVIT, sentono la primavera premere, e s’aprono.
Le campane delle cupole intorno si rincorrono, suonando con appuntamenti fissi e diversi. Alle 12, il cannone sul Gianicolo interrompe tutti con il solito BOUM. Il resto è silenzio, luce dorata e cinguettii di uccellini vispi, gabbiani maestosi, ma anche “vicini di casa in diretta”.

Stamattina, seduta col caffé in mano, ho ascoltato le news direttamente dal mio dirimpettaio un po’ duro d’orecchi. Dalla sua finestra spalancata uscivano le voci dei soliti giornalisti della tv e dei virologi di turno intervistati. “Sempre peggio!” impreca. “Su su non si butti giù – gli lancio – finirà !” ma temo di avergli annacquato la dose quotidiana di pessimismo cosmico.

Sulla grande terrazza a sinistra, un padre gioca con la figlioletta di due, tre anni. Bambina fortunata, parla a voce alta come fosse al parco, ripete certe frasi fatte che evidentemente ascolta in casa: “Ma vogliamo scherzare…??? Vogliamo scherzare?”. Sembra serena comunque. Non si puo’ dire altrettanto di una finestra sul vicolo. Là dentro una coppia sbrocca. Si rispondono male, con frasi secche. Penso a tutti quei ménage che reggevano in virtù di un lungo, blando guinzaglio reciproco… questa convivenza forzata obbligherà molti ad una presa di coscienza crudele. Ma anche utile forse: “C’è un vero NOI nella prigionia o solo un IO+TE?”. La verità fino in fondo finalmente. E poi quando si ricomincerà a vivere, forse una nuova fase davvero!


Al quarto piano, l’ultimo giro della lavatrice. Centrifuga che rimbomba in tutto il palazzo. Ecco, FINE, nell’aria s’insinua un vago odore d’ammorbidente.

Due strade più in là, un anziano signore pulisce vasi di piante lasciate a se stesse sulla terrazza condominiale. Parla a sua volta con un dirimpettaio, gentilmente, in buon italiano, ma ha un accento che riconosco subito, è francese. Poi pulisce il secco di un gelsomino. C’è anche pace in questa guerra. E mentre lo scrivo, un merlo gracchia.

Ieri, il momento più attivo della mia giornata è stato quando ho gettato l’immondizia sul Lungotevere. Durante quel breve giro di strade, ero frastornata, una comparsa in un quadro di De Chirico. Curiosamente un’appassionata di storia dell’arte come me, al cospetto di Palazzo Farnese, nel silenzio antico di via Giulia, non si sentiva affatto catapultata indietro nel Rinascimento, al contrario cio’ che spaventa di questo virus è il senso spettrale del futuro possibile che riesce a trasmettere, il sentirsi cioé, già nel domani delle nostre città, le nostre bellissime città, senza di noi.

 

LE PAROLE PROFETICHE DI SATPREM SULLA NOSTRA CRISI EVOLUTIVA

Satprem (1923-2007) è uno scrittore francese molto conosciuto. Esponente importante dello yoga di Sri Aurobindo e Mirra Alfassa (la grande mistica conosciuta come Mère) Bernard Enginger è un personaggio da romanzo.

Arrestato a vent’anni dalla Gestapo, per un anno e mezzo viene internato nel campo di Mauthausen. Ne esce vivo ma devastato. Dopo una serie innumerevole di viaggi, approda in India. Sarà qui che comincerà la sua avventura letteraria e spirituale, Mère gli darà il nome di Satprem “colui che ama veramente”. Nel 1977 fonda a Parigi l’Istituto di Ricerche Evolutive, nel 1989 scrive l’autobiografia “La Rivolta della Terra” dove fa il punto sulla situazione umana. In “Neanderthal guarda” (1999) invita gli uomini a risvegliarsi, a cercare la vera umanità.

“L’umanità sta soffocando (…) La nostra crisi è segno che l’Uomo deve cedere il passo ( …) Ma bisogna che gli uomini si trovino in una crisi fisica perchè cambino davvero” Parole profetiche di chi dagli anni ‘90 va dicendo che non si tratta di una crisi meramente morale, legata ai valori o alle diseguaglianze sociali, si tratta di una crisi evolutiva, che lui paragona addirittura al momento in cui i primi esseri viventi passarono da una respirazione bronchiale a quella polmonare.

Insomma “Tutto va a pezzi, dappertutto. Bisogna arrivare al momento in cui la coscienza viri in un’altra dimensione”. Sosteneva che quando si arriva al niente completo, allora qualcosa si muove anche nelle coscienze più chiuse, perchè l’uomo è un essere di transizione.

Ma preferisco tradurre le sue precise parole:

“Tutto è là, nei nostri cuori, ma è necessario che risveglino milioni di uomini che non ne possono più della loro prigione. Le mura devono essere distrutte da una nuova vibrazione che si sostituirà alla vibrazione mentale attuale. Questa prigione si sta già sbriciolando. La fine di uno stadio di evoluzione è generalmente caratterizzato da una recrudescenza di cio’ che deve assolutamente uscire. La terra sembra spaccarsi, le sue strutture sconvolgersi sotto il peso di mille circostanze, ogni giorno. Non è perchè siamo più immorali o non sufficientemente saggi, razionali o religiosi, ma perchè abbiamo finito d’essere “umani” (in questo modo), siamo in piena mutazione verso un mondo radicalmente diverso. Che si vagabondi per le strade in cerca di droghe, avventure, che si facciano scioperi, riforme, rivoluzioni, siamo – senza saperlo – in cerca dell’essere nuovo, in una crisi evolutiva che non ha comparazioni possibili”.

PER QUANDO SARA’ FINITA: QUALCHE LEZIONE-RICORDO DOPO IL CORONA

Finirà. O meglio, quando tutto si attenuerà, si comprenderà che dovremo conviverci, come quando vivi in Africa e malattie terribili si celano indisturbate in interi segmenti della tua quotidianità, senza turbarla troppo. Ma quando riprenderemo le nostre vite, per favore, non tuffiamoci dentro, come se non fosse successo nulla, sarebbe uno spreco non custodire qualche lezione-ricordo. Io ne ho 5:

ARIA PULITA E BELLEZZA. Rammentate com’erano le città quando eravamo bambini? Per giorni le abbiamo ritrovate. Il cielo terso, il rumore dei passi, l’acqua, il ticchettio della pioggia, l’odore del vento. A Roma, ad esempio. Se passeggi sui Fori Imperiali e intorno al Colosseo ti senti assorbito dal silenzio naturale delle vestigia antiche e i pini tutt’intorno sembrano testimoni vivi di quel passato. Dalla cima del Gianicolo, si colgono scorci di sconfinata bellezza leonardesca, senza macchine né pascoli di gente dietro ombrelli e bandierine agitate dalle guide. Succede tutti i giorni, in tutta Italia. E anche se fa male alla nostra economia – non arrabbiatevi, ne sto facendo le spese anch’io – almeno appuntiamoci questi ricordi al petto. Per dopo.

LIBERTA’ DI MOVIMENTO. Ho sempre detto a mia figlia: “Vai pure a vivere dove pensi sarai felice, io, un modo per raggiungerti lo trovero’ sempre, dovessi venirci a piedi, in dromedario o con una navetta spaziale” Invece mentivo. Ora so che non potrei mantenere quella promessa. Oggi, non mi lascerebbero raggiungerla, là dov’è. Semplicemente no. Come tanti, ho sempre dato per scontata la mia libertà di far fagotto. Odiando ogni forma di viaggio organizzato poi, ho sempre vagabondato per il mondo prendendo i miei rischi (miei appunto! Affaracci miei!), libera, fedele al motto di D.H. Lawrence “La vita è nostra per essere vissuta, non per essere risparmiata”. Ed ora, eccomi come tutti, trasformata in albero. Peggio. Non posso far volare via neanche una parte di me, affidandola alle api, agli uccelli, alle formiche…

VERI AMICI. Chi ci ha abbracciato ugualmente, pur con le dovute cautele? Chi ci ha scritto o chiamato per sapere come stavamo? Nelle situazioni difficili le persone che ci amano davvero hanno una luce visibile. Poi si spegnerà e tutte le conoscenze torneranno dello stesso colore, ma non dimentichiamoci quando i più erano al buio.

INCERTEZZA. “La vita è un’avventura audace o niente di niente” diceva la scrittrice attivista Helen Keller (peraltro sordo-cieca) con un piglio che mi appartiene. Veniamo al mondo per sperimentare e imparare. Nulla ci è garantito se non l’opportunità di amare ed essere amati. Meno lo facciamo più la vita si complica e inaridisce. “Vivono male quelli che pensano di vivere per sempre” e lo scriveva un drammaturgo come Publilio Siro al tempo di Cesare, quando chi nasceva aveva un’aspettativa di vita di 27 anni!

PAURA Esistere non è vivere, è come restare a bagnomaria nell’acqua bassa e annaspare. Non è nuotare. Se non nuoti, non vai al largo, non vedi e scopri nulla. “Il più grande errore che si puo’ fare nella vita è quello di avere sempre paura di farne uno”. Aveva ragione lo scrittore-filosofo americano Elbert Hubbard. Quando le cose si mettono male, quando siamo al capolinea, cominciamo a porci le giuste domande… ma dobbiamo proprio sfiorare quel limite? Per fortuna Il Corona virus non ha il potenziale distruttivo di epidemie terribili, è una grande, rara opportunità per decidere di tuffarci nella vita, accogliendone i rischi.

E’ stata, perchè siamo al dopo Corona appunto, perchè è finita l’emergenza, è passata. Per il momento. E solo questo conta.

SPERANDO CHE RIDERE SIA ANCORA CONTAGIOSO

TELE URANO LIBERA: dall’inviata F. Stralunata sul Pianeta Terra di Crown. Ultime News.

I turisti italiani diretti a MAURITIUS, dopo aver trascorso tutti insieme 10 ore di volo nella stretta promiscuità di un aereo, sono stati trattenuti al loro arrivo all’areoporto di Port Louis. Le autorità locali, sentito il parere scientifico dei sacerdoti di Mu, Lemuria e Atlantide, hanno autorizzato la permanenza sull’isola solo ai passeggeri romani. Ai lombardi e ai veneti è stato concesso di restare in vita, ma intimato l’immediato rientro a Caoslandia.

CAOSLANDIA. Durante la trasmissione “Tutti i virologi in TV” il Prof. Bruttocomelafame ha messo in guardia contro l’uso eccessivo delle mascherine in soggetti portatori di orecchie a sventola. L’abuso di questo indumento potrebbe portare allo scollamento irreparabile del padiglione auricolare in soggetti già a rischio.

PARIGI. Matignon rende noto che il virus che circola in Francia non è lo stesso del resto d’Europa. Si chiama Couronne N.5 e non provoca inestetiche secrezioni di muco dal naso.

GINEVRA. L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha formalmente richiesto all’Unione degli Stati Africani mappatura e dati certi sulla diffusione del Corona virus sul Continente. L’Unione degli Stati Africani, convocati in assemblea straordinaria a Nairobi ha assicurato che la riunione è stata proficua… e hanno riso tutti moltissimo.

CAOSLANDIA. Il Ministro della Salute Roberto Hop(e) lavora in piena sinergia con i governatori delle regioni, confermando il totale accordo di tutti sulla chiusura di teatri, cinema, scuole per concentrare il contagio nei supermercati, dove i probabili appestati possono consumare le ultime risorse fisiche ed economiche per accumulare cibo inutile. Interrogato sul fatto grave che sugli scaffali saccheggiati siano rimasti solo pacchi di pennette liscie, il Ministro Hop(e) ha assicurato di aver denunciato la cosa agli organi competenti e ammonito i produttori di pasta, ricordando loro che la pennetta rigata trattiene il sugo e non scivola dalla forchetta degli appestati già messi cosi’ a dura prova dalla quarantena.

LONDRA. Sua Altezza, il Principe Charles cerca contagiati blasonati con perfetta conoscenza della lingua inglese per prendere il té con la regina.

CAOSLANDIA. Buone notizie per i coniugi che dormono insieme! In caso di sintomi, la autorità sollecitano caldamente di preferire camere separate. Immediata la protesta degli operatori sanitari: “Non possiamo fare il tampone a tutti quelli che simulano sintomi influenzali!”.

VATICANO. Il portavoce del Vaticano ha annunciato che tutti gli asintomatici che girano per Roma con la mascherina – sollevandola per dire: Si’ so che non mi protegge, MA LO FACCIO PER GLI ALTRI!non saranno beatificati né ora, né dopo morti.

Ecco, è tutto, restituisco la linea ad Urano… anzi, tenetevela proprio! Io cerco un passaggio o rientro a piedi nello spazio, non voglio più stare qui sulla Terra degli “Incor(o)nati… Basta! la vostra Inviata F. Stralunata.

OLTRE IL DELIRIO “CORONA VIRUS” RICORDA COS’E’ LA VITA

Vorrei provare a fare una riflessione un po’ diversa sul famigerato Corona virus.
In questa settimana, l’Italia tutta, il Veneto e la Lombardia in particolare, si sono scoperti vulnerabili. La parola che fa paura è CONTAGIO.
Tutti i giorni, naturalmente, si muore per i motivi più svariati: alla fine di lunghe malattie diagnosticate, per un’influenza, un infarto improvviso o per nessun motivo apparente – consunzione, se il corpo è vecchio e stanco – o casualità di un incidente.

I media – i famosi media che dovrebbero aggiornarci su tutto! – non dicono quanto sia aumentato nel mondo il numero dei suicidi.

Fra i 15 e i 29 anni, il suicidio è la seconda causa di morte. Ogni 40 secondi sul Pianeta qualcuno si toglie la vita (800.000 persone l’anno) per non parlare del fatto che l’11% degli under 12 del mondo (verosimilmente nei Paesi più Sviluppati) assume regolarmente psicofarmaci e i casi di autolesionismo fra gli adolescenti sono in aumento. Queste sono le vittime d’infelicità della società che abbiamo costruito!

La Malaria (dati Istituto Pasteur) è la prima causa di mortalità infantile in 91 Paesi del mondo con 216 milioni di casi e 445.000 decessi nel solo 2016.

Il Colera, una costante in molti Paesi che ho personalmente vissuto – senza fare vaccino perchè pieno di effetti collaterali invasivi ed evitabile in condizioni di vita decenti! – colpisce da 3 a 5 milioni d’individui in tutto il pianeta, uccidendo una media annua di 95.000 persone.

Ma le epidemie di casa nostra sono apocalittiche! E soprattutto introducono il SOSPETTO nelle nostre privilegiatissime piccole vite. Ci ricordano che la malattia potrebbe colpire ovunque, che potremmo riceverla con un bacio della zia, prendendo il treno, incrociando la persona sbagliata in ascensore, che magari ci sta pure sulle palle salutare.

Quando ero piccola, in Friuli, conobbi la precarietà da terremoto: l’idea era che non eravamo al sicuro da nessuna parte. Avevo nove/dieci anni e curiosamente di quel periodo, ricordo momenti di bella allegria, grandi mangiate conviviali e tutto un preoccuparsi degli altri, un dare e prendere notizie. Ricordo gente antipaticissima, sempre a dieta e di cattivo umore, tirchia, competitiva e criticona, diventata improvvisamente diversa, rilassata in certo modo, finalmente sgravata dal peso di esercitare il controllo su tutto e tutti.
Ecco, spero che la brutta faccenda del Corona virus (brutta, per chi sta male, per l’economia mondiale) abbia anche alcuni effetti positivi su tutte quelle persone angosciate per nulla, ossessionate da pensieri fissi: invidie, rivalità, rancori, frustrazioni e gelosie; gente che sciupa il tempo e se lo lascia guastare da piccinerie. Spero che gli Stati del mondo, scoprendosi vulnerabili e non protetti da armi e frontiere, ritrovino il bisogno e la necessità di unirsi e cooperare.

Auspico insomma che gli esseri umani ricordino che la vita è apprendimento, esperienza di durata non garantita e che per questo essa vada vissuta pienamente e umilmente senza rimandare a domani il progetto che sognamo, l’abbraccio che non diamo per orgoglio o timidezza, il coraggio di fare il regalo che ci costa…

Oso persino pensare che il senso di precarietà e fragilità di questi giorni ci possa portare attimi di felicità da assaporare fino in fondo. Perchè l’esistenza è un mistero e, come diceva Mahatma Gandhi, “La vita non è aspettare che passi la tempesta, ma imparare a danzare sotto la pioggia”.

CHI ERA SAI BABA?

Ci sono molti modi di comprare i libri e sono tutti buoni. Dall’ordine su Amazon, quando so cosa voglio (e spesso non trovo più nelle tanto osannate librerie che tengono sempre gli stessi autori e le insulsaggini d’attualità!) alle bancherelle, ai tradizionali punti vendita, anche second hand. Ciò che mi esalta, ad ogni modo, è lasciarmi trasportare dal Caso o piuttosto dal Destino (per me il Caso non esiste) perché i libri sono incontri, come le persone.
Ecco. Fu così che mi sono imbattuta in Sai Baba.

La foto sepia (di un piccolo libro in copia unica The incredible Sai Baba di Arthur Osborne) che lo ritrae in India, a Shirdi, luogo dove visse gran parte della sua vita, era ipnotizzante, un invito per me ad approfondire. Ma le fonti attendibili in Occidente sono rare, benché Sai Baba nel suo Paese sia considerato un Santo (Sai è santo in persiano e baba è padre in hindi) e il suo ritratto troneggi dappertutto sugli altarini dei devoti.

Di famiglia bramina e cultura indù, viveva poveramente in una Moschea fatiscente, ai piedi di un albero di Nim (che chiamava “the guru place”) perchè dava eguale validità a tutte le religioni, non prescriveva rituali e mantra, non approvava gli estremismi dell’ortodossia, non chiedeva ai suoi adepti di rinunciare al mondo o di vivere in povertà (come faceva Lui). Sosteneva che la Conoscenza Divina, deve essere realizzata non insegnata, che dobbiamo liberarci dal giogo della dualità che ci tiene in scacco e ci impedisce l’accesso ad uno stato Superiore di Coscienza.

Mi è piaciuto subito.

Prima ancora che il devoto gli esponesse il suo problema, Lui dimostrava di sapere i suoi pensieri, il passato recente e remoto, il presente e il futuro. Compì una quantità di prodigi e miracolose guarigioni ma precisava: “Posso fare soltanto ciò che il Fachiro (così chiamava Dio con notevole sens of humor) mi ordina”. E talvolta quindi era costretto a dire ai diretti interessati che la morte di un loro caro era per il meglio “perché quell’anima ha bisogno di un altro corpo per fare il lavoro cui é chiamata”.

La prima cosa che colpiva di lui erano gli occhi – dicono numerose testimonianze – avevano un tale potere di penetrazione che non potevi sostenere il suo sguardo a lungo. Ma non si divertiva ad abusarne o a fare il guru. Tutt’altro. Il suo messaggio era semplice: “Resta con me e stai tranquillo. Io farò il resto” diceva, perché la nostra continua attività mentale (“Il cavallo impetuoso dell’Ego”) con le sue autoconsapevolezze e autoaffermazioni è un impedimento. Tutto ciò che dobbiamo fare è astenerci dall’ostruirlo, avere fede e lasciarlo agire “internamente e segretamente”.

Sai Baba non entrava in trance, non ne aveva bisogno, era costantemente connesso a Prema, l’Amore Divino e diceva di attrarre a sé le persone in sogno, con visioni e percorsi vari, al di là dei confini spazio-temporali. “Attiro a me la mia gente da lontano in molti modi. Sono io che la cerco e la porto a me; non viene spontaneamente. Anche se sono lontani migliaia di miglia, io li attiro a me come uccelli con una corda legata alla zampa”.

Non so, se quel giorno, alla libreria, io sia stata l’uccellino che Sai Baba ha inteso tirare per la zampa. Ma ho voluto condividere questo incontro con le qualche migliaia di persone che ogni settimana seguono il mio blog, sentendo un grande calore nelle parole di questo Padre Spirituale, così simile a Gesù: “Dovunque voi siate, pensate a me e io sarò con voi”. Tali esempi di vita, al di là d’ogni credo, sono fonte d’ispirazione e incoraggiamento magnifico e profondo, anche se non ci è dato di comprendere tutto:
“Io do alle persone ciò che vogliono nella speranza che cominceranno a desiderare ciò che io voglio dar loro veramente”.

P.S. Prima di pubblicare quest’articolo, of course, ho chiesto il permesso a Sai Baba!

SAN VALENTINO, SI DIMETTA PER FAVORE!

Non ho mai capito perchè la Festa dell’amore fra due persone, il sommo fine dell’esistenza umana per tutte le religioni, sia stata affidata a un vescovo in carriera. Per carità, San Valentino da Terni è stato un martire torturato e decapitato, ma questo la dice lunga sul suo disinteresse per l’amore di coppia. Puntava a ben altro. Ad un certo punto La Chiesa lo considerò patrono degli innamorati e già che c’era, protettore degli epilettici (che ci sia un rapporto fra le due missioni?) E’ invocato anche per i dolori al ventre, particolare curioso visto che gli uomini non partoriscono.

Certo col tempo ci siamo scordati di lui. La Festa è evoluta – si fa per dire – in tutta una paccottiglia di tirchie rose singole incelofanate, Valantine cards, e cioccolatini con citazione incorporata, il cui successo mi ha sempre sorpresa perchè secondo me, se uno è anche solo un minimo preso da una persona, uno straccio di frase sua dovrebbe saperla scrivere!

Quest’anno, se possibile, la Festa é stata ancora più deprimente.

Ero a Verona proprio il 14 febbraio, per la conferenza stampa dell’apertura dello straordinario restauro di Palazzo Maffei in piazza delle Erbe, diventato Museo con collezione privata del Cav. Carlon (vale una visita! Le opere d’arte moderna sono pregevolissime!) quando due turiste con gli occhi a mandorla, mi hanno chiesto come raggiungere il balcone di Giulietta. Da sotto la mascherina, rigorosamente tirata fino agli occhi (stile burka antibatterico) bofonchiavano riferimenti al San Valentine day!

Non ho potuto evitare di sorridere: mi sono immaginata l’incontro dei due, in tempi di Corona virus.

Romeo sotto il balcone che le chiede: puoi sporgerti? Misurata la temperatura? Posso avvicinarmi? E lei, vedendogli gli occhi lucidi che si chiede angosciata: è per la passione o sono i primi sintomi? Con ogni probabilità Giulietta sarà rimasta chiusa in quarantena per 14 giorni. In ogni caso Romeo è gentilmente pregato di starnutire nei gomiti!

In realtà tutto nasce dalla volontà di cristianizzare il rito pagano della fertilità. Nel Medio Evo si riteneva che a febbraio iniziasse l’accoppiamento degli uccelli. Mi piacerebbe allora, trovare un nuovo patrono per questa Festa, anzi una patrona!
Ho la candidata ideale: Freya (significa Signora in antico norreno), bellissima dea nordica, dell’amore, della seduzione, della sessualità, della fertilità, delle virtù profetiche, dell’abbondanza e della guerra. E sì, della guerra, perchè pur avendo un fisico angelico, con lunghi capelli biondi e occhi ceruli, ha l’aspetto e il coraggio di una guerriera, appassionata e dinamica, disposta a battersi fino alla morte per le persone che ama.
Temo però che la mia proposta non sarà mai accolta dai maschi: la dea, sempre in azione, immaginativa e passionale, è molto esigente, s’annoia facilmente e se ne va.

LA MUSICA A 432Hz FA BENE. PAROLA DI PINK FLOYD!

Premessa: si può meditare ovunque, in mezzo al traffico, al cinema, a cena (specie se i commensali sono noiosi!). In genere però è più facile e rapido aiutarsi creando un’atmosfera adatta con dell’incenso, una candela, della musica soprattutto. Sulla scelta di quest’ultima, ognuno ha le sue preferenze naturalmente, per la mia meditazione dell’albero (https://www.youtube.com/watch?v=TMyofTe3U1g ) io ho usato una musica a 432Hz, quella che è più in risonanza con le frequenze alla base del nostro organismo.

La musica che normalmente ascoltiamo è a 440 Hz, spesso mal sopportata anche dalle nostre piante. Non è il massimo neanche per le nostre cellule, comporta molte disarmonie (non a caso fu imposta e utilizzata nella Germania nazista da Goebbels come strumento di controllo mentale delle masse).

Accordando il LA a 432Hz (è chiamata infatti accordatura naturale o aurea perchè si rifà alla proporzione aurea, la base della Natura) la musica prodotta entra in risonanza con le frequenze d’armonia dei processi biochimici del nostro corpo. Modificando impercettibilmente la respirazione, il battito del cuore, la sudorazione, la pressione sanguigna, le onde cerebrali e la risposta neuro-endocrina in generale, avvia un processo di riequilibrio e guarigione. Con questa musica si liberano morfine naturali, adrenalina e dopamina. Insomma, oltre a dare al suono un carattere più chiaro e caldo, la musica regolata su 432Hz si propaga nel corpo e nella natura stimolando il fluire dell’energia. Se fate la prova, la sensazione di una maggiore vibrazione interiore è chiaramente percettibile.

Oggi se ne parla come di una novità, ma è tutt’altro che una novità. Il diapason di Verdi era accordato sulla frequenza 432Hz, e anche Mozart la conosceva bene. I mantra, antiche formule spirituali specie nella tradizione indiana e tibetana, riequilibrano i due emisferi cerebrali a questa frequenza.
Non solo: grandi musicisti di oggi – quelli veri! – hanno composto musiche con questa intonazione: i Pink Floyd (Wish you were here ne è un esempio https://www.youtube.com/watch?v=IXdNnw99-Ic) Mick Jagger, Ludovico Einaudi, Emiliano Toso, il chitarrista Enzo Crotti e molti altri.

Il grande veggente Gustavo Rol, acclamato dai potenti del mondo, spiegando come nacquero i suoi poteri, disse: “Ho scoperto la tremenda legge che lega il colore verde, la quinta musicale ed il calore…” intendendo come elemento occulto basilare della vita, la frequenza di suono di 8Hz (ritmo dell’onda Alfa del cervello, livello ideale della Risonanza Schuman della terra, il codice della vita insomma) alla base del processo dei 432Hz, la chiave, secondo Rol per sfruttare al massimo il cervello umano e la sua creatività.
Allora… Buon ascolto!

QUELLO CHE LE PIANTE CI DICONO… Roma 6 Marzo

Francesca Schaal Zucchiatti
QUELLO CHE LE PIANTE CI DICONO…
Workshop interattivo e meditazione dell’albero
ROMA 6 marzo 2020 ore 19.00 – 21.00
LIBRERIA HARMONIA MUNDI

via dei Santi Quattro,26A http://www.harmonia-mundi.it

Prenotazione obbligatoria – in regalo ad ogni partecipante il romanzo
“Cosa fanno le mie piante quando non ci sono”

“Se solo potessero parlare, chissà cosa ci racconterebbero” sento spesso dire, ma non è esatto. Le piante ci parlano già, comunicano già con noi e fra di loro, prendono continue decisioni per il bene comune, soffrono e gioiscono, partecipano alle nostre gioie e alle nostre pene e ci possono insegnare come vivere…

Attraverso mille curiosità scientifiche e non, visitando il racconto di cosmogonie antiche legate alla Madre Terra, esploreremo alcune delle 12 Regole di vita delle piante, insegnamenti saggi, pervasi di spiritualità ma applicabili anche alle nostre scelte di vita quotidiana. Riconoscendo ed affidandoci al nostro “personale albero” impareremo a comprendere il legame straordinario e profondo che ci lega al mondo vegetale, a quello dei boschi e delle foreste, ma anche a quello più comune che vive con noi tutti i giorni, nelle nostre case, nelle nostre città.

E sarà più facile allora, eseguire la meditazione dell’albero ( https://www.youtube.com/watch?v=TMyofTe3U1g ) in modo collettivo, lasciando che il nostro respiro accolga, nel rallentamento, la serenità delle piante, liberandoci dalle emozioni e dall’aggressività che dominano il nostro Ego e inaugurando così un modo consapevole di vivere – in coscienza piena – con gli esseri viventi più antichi e saggi del Pianeta.
Vi lascio con una sura del Corano che mi ha fatto molto riflettere. Attraverso la bocca del Profeta così recita:

Noi abbiamo proposto il nostro segreto al cielo,
alla terra e alle montagne;
tutti hanno rifiutato di farsene carico; hanno tremato all’idea di riceverlo.
L’Uomo l’ha accettato. È un incosciente e un violento. (33,72)

 

 

https://www.harmonia-mundi.it/eventi/quello-che-le-piante-ci-dicono_2020-03-06%20prenotazione%20obbligatoria

VIRUS, MEGAFUOCHI, MARI MALATI: LA NATURA RISPONDE

La Natura, diceva Giacomo Leopardi, è crudele. In realtà la Natura non è né buona né cattiva, semplicemente fa il necessario.
Sa farlo con durezza però. Questo sì! Prepariamoci.

Ero all’estero, qualche settimana fa, oltreoceano, quando giornali e tv internazionali hanno cominciato a parlare di uno strano virus cinese. A me è scattato subito un allarme rosso : “Ecco – dissi a mia figlia – … e i megafuochi”. I fuochi? Il parallelo la sorprese.

Sì, i tragici fuochi in Australia, di proporzioni bibliche (8 milioni di ettari andati in fumo, come dire l’intera Austria), grido di una Natura al collasso, di una fauna disperata. Gli eucalipti, cibo e casa preferiti dei coala e dei piccoli mammiferi del bush (il topo australiano, un tipo di pipistrello, la volpe volante, e i marsupiali con abitudini arboricole), fra i pochi alberi in quella terra in grado di raggiungere dimensioni tali da garantire un fitto sottobosco, sono irrimediabilmente perduti. (Ci vogliono 30/40 anni perché una foresta si ricostruisca in buone condizioni).

Il Corona Virus sembrerebbe provenire dai serpenti che lo avrebbero ricevuto dai pipistrelli (il virus necessita di mammiferi per il proprio ciclo biologico). Sembrerebbe, perché non ci sono certezze. Ma poco importa. Tanto basta ad una breve riflessione.

I serpenti ad esempio sono diventati una realtà in Asia dove è sempre più facile imbattersi su alcuni pericolosi esemplari, anche al di fuori dei mercati, nelle città. A forza di devastare i loro habitat naturali ed “esclusivi”, animali del genere moltiplicano i contatti con specie domestiche e con l’uomo. Tutto si tiene purtroppo. All’origine c’è sempre la nostra scelleratezza, la miopia dello sfruttamento del suolo. Le culture intensive, con i relativi incendi indotti dagli uomini, hanno spostato gli habitat di molti animali. I rettili possiedono una straordinaria capacità di salvarsi dalle fiamme, ma poi se vogliono sopravvivere devono lasciare il suolo devastato dall’incendio perché incapace di nutrirli.

Esattamente come l’innalzamento della temperatura nei mari e l’inquinamento hanno costretto alla migrazione intere specie tropicali e a pericolosi avvicinamenti alla terraferma dove il rischio di trangugiare plastiche e veleni chimici è molto più alto.

Ma anche per noi la vita si fa più difficile! Ad esempio, la presenza del serpente d’acqua dal ventre giallo – molto velenoso! (il suo morso provoca paralisi neuromuscolare e danni irreparabili ai reni) – già molto diffuso in mari ad almeno 18°C, è notevolmente aumentata nell’Oceano Pacifico orientale e nei mari caraibici (qui sopra fotografato con una semplice portatile a poca distanza dalla riva) in zone dove in genere se ne avvistavano pochi esemplari.

Cosa stiamo facendo? Ce ne rendiamo conto? Di certo c’è molto interesse a minimizzare. È sempre avvenuto – si dirà – un naturale adattamento di cio’ che vive sulla Terra e il Corona virus è meno mortale di Ebola e di tanti altri!… Ma qui non c’è nulla di naturale! E la Natura ci sta avvertendo che non provvederà come al solito ad accomodare, anche se l’energia delle care, sagge piante rispunta caparbia dalle ceneri e la bellezza si manifesta ovunque… È bene saperlo. Malgrado tutto, la Terra Madre non ci salverà: è una buona madre, appunto, e ci sta mettendo di fronte alle nostre responsabilità.

SULLA MEDITAZIONE: LE VOSTRE DOMANDE…

È meraviglioso constatare quanto il concetto e, in molti casi, la pratica della meditazione siano entrati a far parte della nostra cultura. Ringrazio di cuore chi mi ha scritto e/o sperimentato LA MIA MEDITAZIONE DELL’ALBERO. Più si entra in questo mondo più si moltiplicano le domande e le curiosità sull’argomento. Difficile, naturalmente, nella brevità di un articolo di blog rispondere in modo approfondito. (Per questo posso solo invitare chi sarà a Roma il 6 Marzo a partecipare all’evento che terro’ alla Libreria Harmonia Mundi alle ore 19.00 http://www.harmonia-mundi.it/eventi/quello-che-le-piante-ci-dicono_2020-03-06   (prenotazione obbligatoria)

Tuttavia proverò a rispondere a qualche quesito proponendo alcuni elementi di riflessione:

La meditazione si fonda sul concetto che il corpo e lo spirito siano inseparabili.

Per curare l’uno è necessario curare l’altro. Nel 1979 Jon Kabat-Zinn decise di laicizzare la meditazione buddista per farla entrare nel mondo della medicina, in ospedale. Di qui il grande successo della pratica negli Stati Uniti, la cosiddetta Mindfulness con effetti misurati concretamente in termini di riduzione dello stress, cura della depressione e del dolore. L’associazione della tecnica semplice allo yoga, alle pratiche di body scan, debriefing etc. hanno dato risultati eccezionali confermati da studi tra l’altro sull’amigdala, la zona del cervello responsabile del comportamento impulsivo e della paura.

Personalmente, tuttavia, sono d’accordo con chi ricorda come lo sviluppo personale implichi un risveglio spirituale, proprio per realizzare quella completezza in grado di garantire il nostro equilibrio psicosomatico. Una filosofia di vita insomma che abbracci la “grande Vita” con “la nostra piccola Vita” in un Tutto che abbia un senso. Per questo dico:

“L’energia si trasmette per vibrazione e si misura in frequenza vibratoria. Siediti o distenditi. Respira. Escludi tutto il rumore, scarica il tuo sistema di pensiero e la tua energia, sospendili. E allora vedrai che subentra la conoscenza liquida, o l’accesso alla coscienza eterna dell’universo fuori dallo spazio e dal tempo, una coscienza che è al tempo stesso coscienza di sé”

Ma attenzione! La meditazione non è un lavoro d’introspezione. Per questo ci concentriamo sulla respirazione, per restare ancorati alla realtà. Per questo la meditazione non risolve i nostri problemi. Essa crea le condizioni di chiarezza, di silenzio, di limpidezza, tali da permetterci di “guardare le cose come sono e con benevolenza”.
In un certo senso questa è la base, il punto di partenza da cui si diramano i vari tipi di meditazione che alcuni di voi hanno evocato nei loro messaggi. Pratiche zen, d’ipnosi regressive, autoipnosi, di visita dei campi akashi, meditazioni per entrare in contatto con angeli, esseri di luce, guide o defunti sono alcune della tante forme assunte per aprire canali di comunicazioni ancestrali e invisibili.
La meditazione con le piante o nella foresta come il shinrin-yoku, molto praticato in Giappone, ha la funzione di riconnetterci con la sacralità della Natura, la sua profonda spiritualità nella semplicità. Restituire alla Terra il ruolo di Madre significa ridare alla nostra vita le giuste proporzioni, il modo migliore per me, di realizzare ciò che il poeta mistico Rumi scriveva in versi:

Il mio occhio viene da un altro universo.
Un mondo da questo lato, uno dall’altro: io siedo sulla soglia.

photos by courtesy of Victoria Schaal