CHIAMALA PER NOME

Durante questi mesi di presentazione del mio libro Cosa fanno le mie piante quando non ci sono e di conferenze sull’intelligenza del mondo vegetale mi è capitato molto spesso di ricevere le confidenze di lettori potenziali che a fine serata m’avvicinavano per sussurrarmi all’orecchio: “Anch’io alle mie piante ho dato un nome e ci parlo!” “La mia kenzia si chiama come mia nonna”. Senza potermi esimere dal sorridere di fronte a quell’aria di cospirazione, ho sempre risposto: ”Ha fatto bene” “È una cosa naturale, lo dica pure a voce alta!”.

Lo penso davvero. E non perchè si tratti di un divertimento innocente, ma proprio perchè al contrario è una faccenda profonda.

Dare un nome a qualcosa o qualcuno significa riconoscerlo come parte del proprio mondo affettivo-sentimentale. Nel bambino è segno che un balocco è entrato nella sua sfera emotiva con un valore simbolico e totemico preciso. Quando diamo un soprannome all’innamorato/a in un certo senso gli/le accordiamo una nuova genesi: “Sei rinato/a grazie a me, topolino/a mio/a!”

Puro narcisismo, dirà qualcuno. Sì certo, è un appropriarsi magico-egocentrico, ma con un fine forse meno egoistico di quanto si creda, sancisce una protezione, la vittoria del NOI, della nostra intimità sul mondo esterno, indifferente, spesso ostile. Quando diamo un nome a qualcosa o a qualcuno, lo definiamo a se stesso, contribuiamo a dargli un’identità e un ruolo importante nel nostro territorio emozionale.

Gli Aborigeni, pur ricevendo un nome alla nascita come tutti noi, sono soliti cambiarlo nel corso della vita, quando sentono d’aver bisogno di chiamarsi in modo più appropriato. Il nostro comportamento, le nostre scelte, lo stile, la nostra evoluzione, tutto contribuisce a definirci, tutto emana un’idea di noi che evoca una parola, un nickname o almeno una tonalità diversa nella pronuncia di quel nostro nome.

Perchè dunque non usare il nostro libero sentire anche per le nostre piante, se vivono con noi per anni? Perchè il fatto d’avere dei fiori bellissimi o aculei pungenti non dovrebbe influire sul loro carattere e sul nostro modo di percepirle?

Conosco persone con la passione smodata per le piante grasse, altre le odiano letteralmente, le percepiscono come ostili, inavvicinabili. Una volta mi presentarono un cactus di nome Crudelia. “In America Centrale si tengono cactus fuori dalla porta di casa perchè la proteggano – raccontai alla signora in questione – Tengono il male lontano. Forse Crudelia meriterebbe di chiamarsi Hero, come la canzone di Mariah Carey”.

Poco importa. Date i nomi che vi ispirano, assecondate il vostro sens of humour!. Ogni cosa ha il significato che le attribuiamo. La vostra Creatività crea un senso di clan benefico. Più parole abbiamo, più sarà vasta la comunità affettiva che ci circonda, più sarà ricco d’energia positiva il nostro universo.
Pare che la tribù dei Manu di Papua Nuova Guinea non conosca la parola AMORE. Io non ne sono affatto sicura… forse non abbiamo mai appreso che da loro AMORE si dice CRUDELIA.

LA STELLA DI NATALE…ATTENZIONE AI SUOI NOMI!

Questa pianta tanto comune da noi in periodo natalizio, mi complica la vita da anni. Originaria del Messico, dove vado spesso, e dove cresce spontaneamente con piglio d’arbusto anche fino a 5 metri, infischiandosene dell’arrivo di Babbo Natale, è chiamata anche Noche Buena, non so perchè o Mexican flame leaf. Impensabile dunque porgerla come regalo straordinario a Mexico City o a Cancun, non susciterà grande impressione. Lasciate perdere! Tra l’altro era già nota agli Aztechi che se ne fregavano altamente del suo pregio ornamentale, ma ne usavano il lattice per guarire la febbre.

Ancora più imbarazzante è stato offrirla in Spagna. A Madrid, un 21 dicembre, invitata a cena a casa di un ambasciatore, mi presentai con un’enorme stella di Natale fra le braccia. La padrona di casa, aprendosi un varco fra i rami fioriti per scorgere il mio viso, esclamò sorridente: ”Oh la flor de pascua, muchas gracias Francesca!”.

Il suo vero nome poinsezia francamente non ispira nessuna simpatia, sembra una malattia della pelle, di quelle gravi, da cortisone!

Un po’ meglio il suo destino in Turchia dove la chiamano il fiore di Ataturk, quindi badate bene di offrirla a chi non disdegna le riforme radicali attuate dal fondatore della Repubblica fra il 1923 e il ’38!

Nessun rischio nel definirla prosaicamente Winter Rose come nei Paesi anglossassoni, ma onestamente chi vorrebbe essere chiamato come un surrogato, una sostituta della regina dei fiori, la titolare della Nazionale, assente per infortunio da raffreddamento?

Mi resta la magra consolazione di offrirla in Italia dove almeno non corro rischi: per il periodo dell’avvento è lei e solo lei la Stella. Buon Natale allora, Euphorbia pulcherrima!

BIBLIOTECA LA VIGNA 21 NOV. VICENZA: L’AMBIENTALISMO DEL CUORE E DELLA CONOSCENZA

È stato un bell’incontro quello organizzato dalla Biblioteca La Vigna di Vicenza, importante centro di riferimento mondiale per le ricerche ampelografiche (dal greco antico ampelòs= Vite) e di studio dell’agricoltura, l’occasione per me, non soltanto di presentare il mio romanzo “Cosa fanno le mie piante quando non ci sono” ma anche d’incontrare lettori aperti alle più ampie visioni del mondo della Natura.

Ha rinfrancato le mie speranze infatti il constatare, una volta di più, la straordinaria vivezza di un fermento nuovo nel campo dell’ambientalismo: la consapevolezza della necessità d’imparare chi sono questi straordinari esseri viventi che chiamiamo piante e come da 500 milioni d’anni hanno saputo resistere ed evolversi sul nostro pianeta. 

Nella settimana in cui gli Organismi delle Nazioni Unite rinnovavano agli Stati l’appello a ridurre le emissioni di gas inquinanti, lanciando l’allarme di un effetto serra sempre più fuori controllo;

nell’anno in cui la Nasa ha ufficialmente rivelato che la risonanza Schumann (il cosiddetto battito interno della Terra) è drammaticaticamente aumentata fino a provocare una prima riduzione del campo magnetico terrestre, rendendoci fra l’altro anche molto più vulnerabili alle radiazioni solari;

nel mese in cui un tornado più consono al Centro-Est degli Stati Uniti che all’altopiano di Asiago, falciava decine di migliaia di abeti rossi, mi sono ritrovata a parlare d’intelligenza delle piante, scoperte scientifiche, soluzioni legate alla biodiversità e soprattutto della possibilità concreta anche per noi, di comunicare con loro e vivere meglio.

Poteva sembrare fuori tema, raccontare una storia romanzata in cui la protagonista dà un nome alle proprie piante, condivide con loro i momenti felici e difficili della sua vita, e invece il pubblico ha seguito, consapevole che un nuovo modo d’abbracciare il nostro impegno “verde” passa anche di qui, dalla loro piena integrazione nel nostro quotidiano. Perché conoscere come le piante comunichino fra loro in modalità simili al nostro Internet, sapere come da millenni trovino soluzioni naturali e formulino alleanze di mutuo soccorso per ovviare ai pericoli più diversi, significa davvero fare qualcosa per salvare il nostro mondo dalla catastrofe.

Non si tratta di scatenare rivoluzioni cruente o di tornare all’età della pietra, ma piuttosto di restituire alla terra impoverita da decenni di sfruttamento, pesticidi, ormoni, la sua naturale ricchezza (nel suolo è custodita l’80% della biomassa) riattivando l’antico equilibrio vitale, fatto di repellenti e anticrittogamici naturali, cicli di crescita compatibili con le necessità della pianta, biodiversità.

È un cammino lungo. Certi errori, commessi fin dagli anni ’60 hanno avuto conseguenze in parte irreversibili, ma molto si può ancora fare. La nuova militanza ambientalista, però, dev’essere consapevole, di buon senso e costante nel tempo. A nulla serve l’impegno di qualche mese per la salvaguardia di questo o quell’animale, se non abbiamo acquisito sane abitudini di vita nel modo in cui facciamo la spesa, ci occupiamo dei nostri rifiuti, accudiamo gli alberi delle nostre città e le piante nelle nostre case,  nella maniera in cui nutriamo noi stessi e i nostri figli.

Il buon senso passa attraverso la conoscenza e il cuore. L’umiltà di capire che la salvezza è possibile soltanto grazie all’osservazione di come si comportano loro, le piante, e all’apprendimento degli insegnamenti che da sempre silenziosamente sussurrano all’uomo.      

 

AMARE COMPLICATO: NE VALE LA PENA?

Mi concedo un piccolo spazio più personale in questo blog, ispirata da una mail di un’amica lettrice (quanti lo desiderino possono sempre scrivermi a fsz@francescazucchiatti.com ), che avendo letto “Cosa fanno le mie piante quando non ci sono” si è molto riconosciuta, a suo dire, nel personaggio della protagonista Anne, inciampata in un amore complicato per un pittore: l’affascinante Julien.

Premetto a G. la mia assoluta convinzione che nessun incontro nella vita sia casuale e quindi inutile. Ogni persona sulla nostra strada rappresenta una tappa del nostro percorso, indipendentemente dai tempi e dalla forma in cui questo contatto avviene. La mappa della nostra personale geografia è in qualche modo prestabilita, opportunamente concepita per noi.

Tuttavia, quando c’è di mezzo l’amore la faccenda si complica. L’impatto è serio, sublime, dirompente, tragico, contraddittorio, e destinato a trasformarci per sempre. La personalità dell’artista poi, è nota per essere multiforme, instabile, fluttuante. Occupandomi d’arte da molti anni, come giornalista e curatrice di Mostre, posso dire che non si tratta di un cliché. La sensibilità, la capacità percettiva extra-ordinaria dell’artista hanno il loro risvolto amaro nell’affinata lamina di malinconia che in genere lo persegue nella vita. Il dubbio, la ricerca costante di stimoli e la necessità di rispondere à se davanti a sé, rendono il percorso d’amore complesso e difficile.

Il Julien del mio romanzo è perennemente in preda a un gran traffico di pensieri. Per lui, come scrisse Fromm “la felicità è uno stato d’intensa attività interiore”. Nella continua aspirazione ad una vita diversa, trascina Anne in una corsa infinita fra i sogni. Ma cio’ paradossalmente implica anche un sacrificio della vitalità, come se talvolta la sua personalità si ritrovasse murata in una perenne attesa di qualcuno o qualcosa capace di rianimarlo e permettergli di trovare un suo centro.

In questo continuo esplodere e implodere di sé, Julien dà segni sconnessi e disordinati d’amore e di distacco, di passione e d’immaturità. Per Anne sono lancinanti ferite e picchi d’estasi. E presto si rende conto che la sostanza del loro amore è una materia crollante, terreno friabile sotto ai piedi. Che fare?

Da figlia di poeta, appassionata di letteratura, Anne non si fa troppe illusioni sulla destinazione di quel rapporto, ma decide di viverlo. “Occorre fare un salto nell’oggettività – sembra suggerile Simone de Beauvoiruscire dall’avvolgimento di sé in sé”. La fatica di quella strana vita con lui verrà ricompensata dai momenti perfetti. Fra gli uni e gli altri, infiniti crepacci.

Ma non basta, il destino, quello Grande, l’aspetta all’incrocio, più improbabile che mai e magico, nel suo unico, potente insieme.

Che dirti G. ? Ne valeva la pena? Ne vale la pena? Qualcuno un giorno mi disse che i veri amori hanno sempre una grande lacuna. Allora forse non resta che amare l’imperfezione e scambiare le cicatrici per ricordi felici.

A 100 anni dalla I Guerra Mondiale, la paura e il dolore

È d’attualità all’approssimarsi dei primi giorni novembrini, evocare fatti, date, testimonianze del primo conflitto mondiale. L’inutile, assurda carneficina che si concluse un secolo fa è un presente vivo fra le montagne dolomitiche che frequento dalla mia primissima infanzia. Lascio quindi a storici e letterati di pregio il dar conto degli avvenimenti. 

Io quest’estate sono andata alla ricerca della paura, IL SENTIMENTO sviscerato in centinaia di lettere e diari dall’uno e dall’altro fronte, come è facile intuire se si sale al Monte Piana, qui chiamato Monte Pianto, geograficamente separato da un semplice vallo, al Monte Piano, all’epoca in mano austriaca.

Guerra di trincea, ci hanno insegnato a scuola e qui di trincee ne puoi visitare ancora tante, a difesa di posizioni continuamente conquistate e perse in un territorio aspro e brullo, reso ostile dal freddo, dal vento, dalla neve, dalle asperità geografiche, dall’equipaggiamento scarso e inadeguato, dalle armi (lanciamine, granate, mortai, gas ) – quelle sì – sempre più moderne e distruttive, anticipazione delle sofisticatezze belliche del futuro prossimo.

Mai conflitto è stato tanto umiliante, vissuto come assurdo da uomini chiamati a scavare infinite gallerie che ancor oggi ti inghiottono come un animale e ti sprofondano nell’oscurità di pensieri terribili. Mi è facile evocare visioni di uomini con muli e asini carichi, trascinati fin quassù in sentieri stretti e scivolosi, al rischio costante di finire di sotto, risucchiati da burroni tanto profondi da non vederne la fine.

18000 saranno i morti soltanto qui, la maggior parte vinti non tanto dalle armi, quanto dagli stenti, il gelo, le malattie, i crolli e le frane o perché precipitati negli anfratti più aguzzi della montagna.

Mi concentro in silenzio di fronte al legno sopravvissuto delle baracche abbandonate, al filo spinato degli avamposti dove si consumava la guerra dei nervi e dell’attesa, dinanzi ai cimeli ritrovati dappertutto nelle trincee: gamelle, lattine, granate, mortai, la triste supremazia delle cose sulla vita umana. Assorbita in una sorta di meditazione, scivolo sulle pietre e il fango, pregni di tutta la sciagura del mondo, della nostalgia indicibile provata da quella moltitudine di uomini, frastornati dalla fatica e dalla paura, coraggiosi senza retorica, provenienti dagli angoli più remoti della penisola, spesso incapaci di capirsi nella stessa lingua italiana, accumunati dall’attesa di una morte probabile.

Il senso distorto della Prima Guerra Mondiale è tutto nel lamento che ancora qui si ascolta. Il dolore, come l’amore, non scompare. La traccia resta nel tempo-non tempo che qui non avanza, non supera, non dimentica – malgrado i turisti, le targhe commemorative, la campana della pace e il sole che fa capolino fra le nubi – ma tutto assorbe e restituisce, vive e rivive contemporaneamente.

E in questa chiesa a cielo aperto di vite sprecate riecheggia dentro di me quella terribile citazione di A.S.Puskin, tratta dall’Eugenij Onegin (IV, XVI) I sogni e gli anni non hanno ritorno; non rinnoverò la mia anima”

 

Letture consigliate: 

A.S.Puskin, Eugenij Onegin, disponibile qui

Gianni Gallian e G. SegatoFotografia e rimembranza. L’Italia nella Grande Guerra. 4 novembre 2018 Anniversario del Centenariodisponibile qui

Cinzia Rando e L. Terranera, La Grande Guerra… raccontata ai bambini 100 anni dopo, disponibile qui

Per i nostalgici, ricordo anche l’epico film di Monicelli, La Grande Guerra con Gassman e Sordi, disponibile qui.

LO SCULTORE G.M.POTENZA E L’ARTE D’ESSERE FELICE

E’ difficile tratteggiare in poche righe il ritratto di un artista vero, i blog sono uno strumento di divulgazione efficace ma, si sa, concedono poco spazio. Tuttavia credo che il Maestro Gianmaria Potenza non se ne offuscherà troppo, è raro trovare un artista tanto in linea con il nostro tempo, tanto in armonia con un se stesso costruito in decenni d’attività, attraversando gran parte del ‘900 e un ventennio del nuovo millennio con la propria arte.

Il suo volto è un riassunto perfetto della sua personalità: un incrocio fra il Michelangelo ritratto sulle vecchie banconote da 50.000 Lire e la maschera bonaria di un Geppetto che, in pace con se stesso e il mondo, crede in un bambino di nome Pinocchio. Sarà perché questo enfant prodige (nipote di razza di ben due zii, uno pittore, l’altro scultore) è stato sempre un artista imprenditore (ha fondato La Murrina punta di diamante nell’arte del vetro), uno che con la dissolutezza dell’artiste maudit non ha mai avuto a che fare. Sveglia presto, duro lavoro quotidiano con i materiali più diversi, una compagna di vita, conosciuta giovanissimo, purtroppo recentemente scomparsa, Madama Rossana, la sua intelligenza tutta racchiusa nella frase che amava ripetere: ”Dietro un grande uomo, c’è una (grande) donna stanca”.

Gli incontri decisivi della sua biografia – con l’architetto Marini a Venezia, con Joe Ponti a Milano – sono arrivati come un dolce naturale divenire della vita, perché “Ho sempre creduto nel futuro – dice – tutti i giorni mi sveglio allegro”. Liberando la figura dell’ARTISTA dalla retorica dei falsi miti e cliché, Potenza ha costruito pezzo per pezzo la sua arte, che ora vorrebbe racchiudere in un piccolo Museo per la posterità, accanto alla casa di fiaba dove è nato e vissuto nel cuore di Dorsoduro a Venezia. “Mi considero un artista del ‘500. Sono stato protetto dai miei committenti, architetti, Banche, Cantieri Navali…” afferma col piglio dell’uomo d’affari che è stato sempre, da quando prese in mano anche le redini dell’impresa di famiglia.

Sul mondo dei galleristi surfiamo insieme, con un sospiro mesto. Ma non c’è la minima rassegnazione nella sua analisi: guai a usare le derive negative della nostra società per giustificare l’abbandono dei propri sogni e progetti! Ci sono tante opportunità per i giovani, ma devono essere decisi, generosi, capaci d’attaccarsi al dente della ruota della fortuna, perché passa – è sicuro – e porta il nome di ognuno di noi.

Le sue parole, senti che sono autentiche:

“Io cerco l’emozione, lavoro con il cuore”

il segreto di Pulcinella di qualsiasi successo in fondo. Guardo il paravento che dipinse quando aveva dodici anni, evoco Matisse, Miro’ “Ma io non sapevo neanche chi fossero a quell’età” precisa; stesso scambio di fronte a certe sue sculture lucide e dorate “Pomodoro!” l’inutile esercizio di trovare paralleli nel mondo dell’arte  “Lo stimo – aggiunge – ma c’è differenza fra me e lui”.

Natura, Architettura, fonti costanti d’ispirazione, Venezia come Bisanzio, evocata dai suoi mosaici, ma i simboli  ripetuti ossessivamente come geroglifici sono il retaggio di reminiscienze ancor più primitive, vaste, oscure o marziane. La sua opera da decenni viaggia nel mondo, è internazionale, indecifrabile, contemporanea, antichissima. I suoi gufi porta-fortuna ci fissano dalle mensole del suo atelier.

La lunga, vaporosa barba bianca  ne accompagna il sorriso, gli occhi s’accendono quando confida:

“Ho partecipato a un concorso. Sono arrivato tra i sei finalisti! Aspetto risposte…”

Sorrido anch’io pensando a tutte le volte che ha esposto le sue opere alla Biennale di Venezia, ai riconoscimenti inanellati, alle consacrazioni di Istanbul, Hong Kong, New York e in Russia, in Lituania e negli Emirati Arabi…

Ma è il futuro ad interessarlo, un’altra sfida lo attende e una prossima Mostra a febbraio… E in quell’entusiasmo di fanciullo che ha già varcato la soglia della grande età, scopro la via della vera Saggezza e l’eterno segreto della Felicità.

(http://Gianmaria Potenza “Alfabeti sconosciuti e linguaggi simbolici” Editoriale Giorgio Mondadori)

STOP ALL’AMBIENTALISMO ASSURDO!

Mi è proprio piaciuta la parola scritta a lettere cubitali nello spazio conferenze del Flormart di Padova lo scorso 20 settembre: Innovation.

Innovazione, rinnovamento… da invocare in tutti i modi, in tutte le salse (anche nella mia, cucinata con gli ingredienti del romanzo “Cosa fanno le mie piante quando non ci sono” presentato in quell’occasione) da modulare in una pluralità di voci che andavano dal campo prettamente commerciale del vivaismo (vera vocazione della Fiera) a quello dell’architettura, dall’arte alla cultura.

Rinnovamento quindi, anche del concetto stesso d’impegno ambientalista. Basta con le battaglie inutili e contraddittorie. Basta con l’ecologia insulsa e di facciata. Basta con la passione verde fanatica, gridata e modaiola. Basta alla violenza verbale e talvolta fisica nei confronti di questo o quello stile di vita. Basta all’ecologia inutilmente costosa e controproducente, infantilmente legata ad un passato irrecuperabile.

Il mondo è cambiato, demograficamente esploso, profondamente inquinato, desertificato, illuminato 24h su 24h, immerso nel rumore costante, soffocato dai rifiuti, ma anche tecnologicamente avanzato, capillarmente connesso, velocizzato in tutti gli aspetti della sua vita.

Il punto dunque è un altro: CONOSCERE, studiare le potenzialità e le qualità naturali dell’universo vegetale, l’unico presente sulla terra da 750 milioni d’anni, l’unico sopravvissuto a cataclismi epocali, alterazioni elettromagnetiche, stravolgimenti climatici. E la scienza sta approfondendo finalmente, ponendosi le domande giuste, studiando come vivono le piante, anche le più comuni. Oggi si è finalmente capito quanto le culture tradizionali, le spiritualità più libere e il buon senso vanno ripetendo da secoli: tutto ciò che esiste pulsa, emette energia. Gaia, la terra, si comporta come un immenso circuito elettrico. L’Universo è fatto della stessa sostanza.

Le piante comunicano fra loro e con noi, alleandosi, proteggendosi reciprocamente, garantendo (almeno fin’ora) che l’ecosistema regga ai sussulti dei cambiamenti provocati dall’incuria e dall’ignoranza dell’uomo. Ma è ora di prendere coscienza che un nuovo modo di rispettare l’ambiente deve imporsi su scelte impulsive e utililitaristiche.

Tutto si tiene, e il mozzicone di sigaretta gettata distrattamente nel fiume o in mare finirà per uccidere la balena, quella stessa balena che attivisti militanti (spesso sponsorizzati da forze economiche tutt’altro che limpide) strappano col clamore di campagne mediatiche ad uno dei tanti pescherecci giapponesi. Tutto è utile – si dirà – certo! Ma cos’è più utile fare? Cosa possiamo fare adesso?

Il rispetto per l’ambiente comincia dalla nostra casa, la nostra strada, piazza, città. Esattamente come ogni cambiamento vero inizia da noi stessi, dalla nostra famiglia, il nostro entourage.

Il mondo è un organismo unico, tutto ciò che vive, pulsa, è connesso. Soltanto l’esempio quotidiano, il gesto virtuoso reiterato nel tempo, l’adozione di un nuovo stile di vita potranno fare la differenza e dare una chance di salvezza alla nostra vita sulla Terra. Basterà? Non lo so. PROVIAMOCI! 

 

Ultima Chiamata: Biglietto gratis per FLORMART – Padova Fiere

Giovedì 20 prendetevi il pomeriggio libero!

Vi invito tutti alla presentazione del mio nuovo libro “Cosa fanno le mie piante quando non ci sono” al Flormart di Padova!

Ingresso gratis se vi iscrivete all’evento qui: https://flormart.it/it-IT/events/presentazione-del-libro-cosa-fanno-le-mie-piante-quando-non-ci-sono

Annotatevi: Giovedì 20 settembre alle ore 16 Flormart Padova Fiere Padiglione 15 Arena Laurus. Ingresso Libero previa iscrizione. 

Libri disponibili all’evento!

Pubblicare indipendente oggi in Italia…che idea!?

La domanda è d’obbligo. E allora perché non affrontarla nell’articolo d’esordio di questo blog? Immagino la diffidenza, la curiosità e la perplessità di molti. Perché pubblicare indipendente oggi in Italia?

Cominciamo a scorporare il quesito: perché innanzitutto aprirsi al self publishing?

Premetto che ho conosciuto più o meno tutto: il premio letterario, la conseguente pubblicazione con un grande gruppo; i Saloni del libro; i piccoli editori; le rassegne letterarie di nicchia; gli incontri con l’autore in provincia e nella grande città, l’horror vacui di fronte ad una platea di tre persone (compreso l’impiegato comunale che ha le chiavi della sala! ) e il folto pubblico delle manifestazioni con radio, tv e valletta abbronzata.

Mi sono fidata e affidata. Ringrazio tutti quelli con cui ho lavorato BENE, BENINO e MENO BENE. Il punto però è un altro: il mondo è cambiato. I lettori sono ovunque, si spostano, viaggiano, si trasferiscono. Chi legge oggi è spesso come me, itinerante, plurilingue, s’informa on-line, appartiene contemporaneamente a più mondi, più comunità, ha figli, fidanzati all’estero, amici lontani.  Che lo voglia o meno, è connesso costantemente a differenti realtà. Le sue curiosità nascono e muoiono in fretta per i più svariati motivi, tali e tante sono le opportunità di conoscenza che lo bombardano quotidianamente.

Di fronte ad una società globalizzata e frenetica, liquida per dirla alla Bauman, l’editoria invece tende a muoversi ancora entro i soliti binari dei media e di distribuzione del passato, privilegiando i territori letterari conosciuti piuttosto che la scoperta di nuove voci. Il povero libraio non è in condizione di seguire tutto “il pubblicato”, né riesce a dare il giusto spazio di tempo e di vetrina ai libri che continuamente vedono la luce (i tempi delle rese agli editori si sono ristretti per non rischiare l’onere dell’invenduto). I giornali tendono a reiterare le recensioni dei best sellers. I premi letterari minori cercano nel nome dei vincitori un’occasione di pubblicità (quando dovrebbe essere il contrario! ). I riconoscimenti più importanti sono contesi (specie in Italia ) dai grossi editori ridotti ad un numero talmente esiguo da sfiorare l’oligopolio.

Pur essendo anch’io romanticamente legata all’idea del volume da sfogliare fra le quattro mura della mia libreria di fiducia (luogo che peraltro ho già perso nelle mie città di riferimento per lasciar posto a negozi di souvenir e rivenditori di telefoni ) valuto positivamente l’opportunità che ci è data oggi dai social media: la vetrina virtuale ci avvicina al mondo dei libri – di tutti i libri, senza esclusione né limiti di tempo! – e consente ponti e opportunità facilmente intuibili da chiunque.

So che gli Italiani sono più riluttanti di altri popoli ad affidarsi agli acquisti on-line e proprio per questo motivo, volevo essere fra i primi autori che aprono questa nuova strada fatta di libertà e pari opportunità per tutti.

Perché questo è l’altro punto nodale della questione, la seconda parte della nostra domanda iniziale:  perché pubblicare indipendente, in Italia?

Finalmente un autore oggi può esprimersi e confrontarsi direttamente con il pubblico: sarà lui e soltanto lui a decretare il buon esito del suo lavoro. E ciò a prescindere dal fatto d’essere un genio della letteratura, d’avere fortuna o un agente che lavora al proprio fianco, o conoscenze nel mondo dei media e della politica, di possedere privilegi di varia natura o d’appartenere a quel certo giro d’intellettuali e professionisti della scrittura che spesso s’onorano reciprocamente di recensioni e ospitate televisive. Certo la competizione resta impari, siamo dei Davide di fronte ai Golia dell’editoria tradizionale, ma la via è aperta. Nulla sarà più come prima.

E più d’ogni altra cosa, confido che forme di collaborazione e passa-parola on-line consentiranno di veicolare, al di là del titolo di un libro, anche tematiche d’interesse globale. Che il mio “Cosa fanno le mie piante quando non ci sono” possa stimolare ad esempio, l’interesse dei miei lettori anche per saggi scientifici e più ostici  sul mondo segreto delle piante e la loro intelligenza, sarebbe per me, fonte di grande soddisfazione. Il lato romantico e pasionario di un mondo descritto sempre come l’arida e gretta palestra di colossi finanziari.

 

La 7Gold intervista Francesca Schaal Zucchiatti

Francesca parla del suo nuovo libro in un’intervista televisiva esclusiva! Guardala qui online!

Intervista con Fabrizio Stelluto per 7Gold TV. (9 luglio 2018) Si ringrazia Asterisco.net

Conferenza di Francesca Schaal Zucchiatti a Padova

GIOVEDI’ 21 GIUGNO p.v. DALLE ORE 19.00 ca.

CIRCOLO DI CAMPAGNA “WIGWAM”, AD ARZERELLO DI PIOVE DI SACCO (PADOVA)
(in via Porto,8)

 


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ANDREA CECCATO
Dirigente Credit Agricole per illustrare 
i programmi dell’istituto di credito francese per il  Nordest

VANNI ANTONI
Direttore Istituto Gas Ionizzati al C.N.R. di Padova per parlare delle sperimentazioni sull’ applicazione del plasma alle coltivazioni

FRANCESCA SCHAAL ZUCCHIATI
Scrittrice, per presentare il suo libro 
“Cosa fanno le mie piante quando non ci sono?”

FABRIZIO DALLA LIBERA
Coltivatore di bambù per divulgare 
le molteplici opportunità di utilizzo di questa pianta

Il Presidente

(Fabrizio Stelluto)

Presentazione del nuovo libro al Lions Club di Ginevra

Omero Tarquini, Il Passato et the Future: mostra curata da Francesca Schaal

OMERO TARQUINI
“Il passato et the future”
Mostra a Roma il 7 Marzo 2018
Galleria Valerio Turchi
Via Margutta 91, Roma

Curatrice: Francesca Schaal Zucchiatti

 

Una Mostra diversa. Per una sola sera. Un viaggio, con la macchina del tempo dalle origini della scultura alla ricerca delle tracce del passato nell’opera di uno dei nostri più eclettici giovani scultori d’arte contemporanea.

Wanted in Rome: Omero Tarquini by Francesca Schaal

“For one night only. A journey in a time machine, starting with the origins of sculpture in search of traces from the past via the work of one of our most eclectic young contemporary sculptors. Omero Tarquini, a polyhedral Anglo-Italian artist, exhibits some of his most successful pieces – bodies and faces moulded in terracotta – among the ancient Roman masterpieces in Valerio Turchi’s Gallery on Via Margutta in Rome. The modernity of his severed and enduring busts, with imperfect but harmonious proportions, reveal a profound study of classical Greco-Roman sculpture, a sure assimilation of the studies of the great Polykleitos; the internalisation of the concepts of proportion between opposites are neutralised completing Pythagoras. The rest is a very modern drama, of faces and bodies in tension, candid but not innocent, plays of light and shadow, intentional incompleteness, left to the empathy of the observer.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Divine Liberty 5
A fundamental role in the works of Omero is that of the unavoidable digital imprint. Not only an unequivocal signature, but an extremely important conceptual element. An infallible criterion of personal identification as well as at the same time a common denominator of all human beings, the imprint distinguishes and unites: already part of our technological life, it is a virtual and cold element, but also tangible contact with material, touch and truth from each us. Art is a train, it can only run along the tracks required of the future. Contemporary sculpture filters reality, overcomes the past and gives us back the image of humanity today and tomorrow. But “all that is left is pure” the artist explains, “it’s the research of emotions through beauty” he adds, all coming from a man who has increasingly become an unfathomable enigma for himself.” Open, for one night only, from 18.00 on March 7th.

Mai Senza Scrivere: video intervista esclusiva

La scrittrice Francesca Zucchiatti Schaal confida come vive la scrittura in un’intervista esclusiva!

 

 

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Prometeo – Nu 139 – settembre 2017

Ricca anche la sezione delle rubriche. Mentre Francesca Schaal ci racconta Jheronimus Bosch e Gian-Luca Baldi l’ultimo anno di vita di Mozart (il 1791), Giovanna Flamini compie una ricognizione sulla postura eretta, una caratteristica umana molto meno scontata di quanto si creda e comunque un autentico capolavoro ingegneristico naturale. (..)

Link

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Un’interessante nuova chiave di lettura delle opere di Jheronimus Boch, eclettico, misterioso pittore del XVI sec. nell’articolo “Jherominuc Boch, amato, dimenticato, osannato e un po’ veneziano” eccezionalmente disponibile per i lettori del sito. (Francesca Schaal)

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Prometeo – 13 aprile 2017

È in edicola Prometeo, il trimestrale di scienze e storia diretto da Valerio Castronovo.

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Su Prometeo in edicola è ampia anche l’offerta di riflessioni sulla storia antica. Valeria Andò ci racconta come i lavori domestici nell’Atene classica richiamassero una sapienza che, certo metaforicamente, poteva costituire un valido esempio per risolvere i problemi della polis. Francesca Schaal si mette invece sulle tracce della Mesopotamia – e in particolar modo sulla genesi della scrittura – grazie a una mostra dedicata, a Venezia nella sede di Palazzo Loredan. Inizia proprio con Babilonesi ed Egizi la carrellata storica, a cura di Gabriella Piroli, che ricostruisce la figura del collezionista come personaggio emblematico in grado di sopravvivere e risalire tutti i secoli fino a giungere alle applicazioni artistico-digitali di oggi. E Maria Grazia Pelaia compie una passeggiata nel tempo e nella geografia per presentare come il concetto di natura sia stato interpretato, vissuto e anche modificato dalle differenti culture umane.

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Prometeo – Settembre 2016

L’iconografico del numero, curato da Pepa Sparti, è dedicato ai Guggenheim – zio e nipote – e alla loro straordinaria collezione, a cui Palazzo Strozzi di Firenze ha recentemente dedicato un’esposizione intitolata “Da Kandisky a Pollock”. Prometeo offre ai lettori la riproduzione di ben dieci tavole. Ma non è l’unico contributo pittorico del numero. Attraverso Benedetta Gentile del Carretto e Francesca Schaal sono riportati rispettivamente alcuni acquerelli di Pietro Santi Bartoli e le tele di Romaine Brooks.

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Prometeo – Luglio 2015

Da menzionare altri quattro interessanti contributi.
Maria Grazia Pelaia rilegge titoli e strategie di mercato della microeditoria italiana;

Francesca Schaal ci accompagna tra le immagini delle nozze di Maria de’ Medici

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Prometeo – dicembre 2013

Altri contributi: la scrittrice Francesca Schaal presenta la figura geniale di un artista poliedrico come Gaspare Manos, mentre Anna Chiarloni, docente di letteratura tedesca a Torino, torna sul concetto di identità nazionale con un intervento denso di riferimenti e citazioni: è una carrellata di spunti critici, che focalizza il tema proprio a partire dalla riunificazione delle due Germanie e dalle innumerevoli contraddizioni che segnano la vocazione a “essere europei” nello scenario del mercato globale.

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9 dicembre 2004 Il Gazzettino on line (LIBRI)

Mamme e bambini, storie di indigesta infelicità veneziana

Se avete intenzione di comperare “Il problema del mese di aprile” di Francesca Zucchiatti – Schaal (Robin Biblioteca del Vascello) un’avvertenza è necessaria: in questo libro non succede niente, come a Venezia, la città in cui si svolge il racconto. O meglio, sembra che non avvenga nulla tanto è minima la vicenda, comune, per nulla interessante a ben vedere, ma in realtà in quelle poche pagine tutto il mondo è messo sottosopra, rivoltato come un guanto. (…)
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24/09/2003 IL GAZZETTINO

Nuovo libro della Zucchiatti

“In un posto qualunque all’ora indicata” é il titolo del nuovo libro di Francesca Zucchiatti-Schaal, ce a dicembre sarà presentato officialmente a Roma, ma é già approdato nelle librerie. Francesca, 37 anni, figlia dell’avvocato Gian Caro Zucchiatti, dopo il giallo “Una dolce fine in Costa Azzurraé, nel 2001 si é aggiudicata il prestigioso premio La Prairie, con il romanzo “Una musica nella notte”, edito da Sonzongno. La scrittrice pordenonese (che pero’ vive tra Venezia e Parigi) insegnante e traduttrice, ha pubblicato questo suo ultimo lavoro con la casa editrice Robin-Bdv.

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22/06/2001 Il Giorno di Milano

La scrittura, una sua passione,

La scrittura, una sua passione, nemmeno tanto segreta: il primo romanzo «Una dolce fine in Costa Azzurra» è già stato pubblicato da Editrice Nuovi Autori, un piccolo editore milanese. «Una prova. Chi ama scrivere tenta tutte le strade. Ma è terribilmente difficile trovare editori disposti a leggere opere di esordienti», dice Francesca Zucchiatti Schaal, 35 anni, di Pordenone, una laurea in Scienze politiche, traduttrice e interprete per alcuni anni a Parigi al Centre de Langue et Culture Italienne, che divide la sua vita tra Venezia e la capitale francese. «Ho l’impressione che, oggi, prima di tutto ci si deve rendere graditi, rispondere ai canoni del momento e il saper scrivere, o cantare, o suonare venga solamente dopo».

Come ha saputo del concorso La Prairie?
«Una mia amica mi ha dato il trafiletto del mensile “Elle”, dove si parlava del premio e ho subito spedito il mio breve romanzo. Almeno, ho pensato sarà letto dalla giuria.»

E pensava di vincere?
«A dire il vero, non mi ricordavo nemmeno più di aver partecipato e, quando mi è arrivata la comunicazione, sono rimasta molto sorpresa e ovviamente molto contenta.»
Lei, che ora vive tra Venezia e Parigi, come mai ha scelto Milano per ambientare il suo romanzo?

«E’ una scelta legata ai personaggi e alla trama del libro. Conosco, purtroppo, il Centro Tumori perché in tanti ci abbiamo accompagnato parenti o amici e anche un po’ la città per le mie scorribande giovanili. E poi Milano, con la sua dimensione ancora provinciale, direi, dove forte è la divisione tra chi conta e chi è nessuno, con la sua spietata selezione secondo i criteri della visibilità e vendibilità, si prestava a fare da sfondo alla storia di Silvia di umili origini e di grandi ambizioni e del dottor Bern, emblema del successo con carriera, Porsche e attico.»

Anche Silvia, la protagonista, è attratta da quei modelli e prova invidia, rabbia, sino a vendicarsi…

«La mia protagonista è una ragazza con tutte le contraddizioni dei giovani d’oggi. Non è un’eroina positiva. La salva l’aver operato scelte appassionate e perseguite sino in fondo. Non mi piace una vita che ti sguscia tra le mani, alla quale non sai imprimere alcun segno che parli di te. Purtroppo, è proprio questo che manca alla mia generazione.»

In che senso?
«Chi oggi ha dai 30 ai 40 anni mi pare che non abbia un sogno per cui vivere. Non mi riferisco a utopie collettive, come quelle di cambiare il sistema, tanto in voga nel ’68. No. I miei coetanei non mostrano di possedere obiettivi privati scelti in modo consapevole, si lasciano vivere, accettano passivamente di seguire le orme dei padri, perché è più semplice, sono timorosi dello scacco. E si svegliano da questo torpore, solo se accade qualcosa di molto grave.»

Tornando al suo romanzo, perché ha scelto la struttura del giallo?
«E’ una struttura a me più congeniale, più vicina alla mia sensibilità. Anche se è difficile da costruire e fa parte, ancora, di un genere minore. E poi, perché la violenza è latente nel mondo in cui viviamo e cova in ciascuno di noi. Mi piace scoprirla anche nella gente comune. Amo la misteriosa connessione degli eventi. Niente è casuale. Ogni incontro ha un senso: sta a noi decifrarlo. E osservare e scrivere come si compongono, scompongono e interrompono le vite, spesso a causa di gesti, sentimenti tenebrosi, violenze, è molto interessante per me.»

Quali sono i suoi autori preferiti?
«I lirici greci, che continuo a leggere e rileggere e poi Balzac, Dostoevskij e tutti gli autori russi. Mi ha affascinato Cassola e il suo modo di montare i dialoghi, oppure Chatwin. Ma quello che mi piace di più è andare per bancarelle a cercarmi scrittori sconosciuti.»

di Francesca Amoni

Racconti di Francesca Zucchiatti

  • Biondo Veneziano
    Una sceneggiatura di Francesca Zucchiatti Schaal

    Un intrigo che coinvolge il mondo del Festival del cinema a Venezia. Tra i vicoli della più affascinante città del mondo e i saloni dei più sontuosi palazzi s’annidano odi, rancori e segreti. Qualcuno ucciderà…

  • Il volto vero di un uomo

    Pubblicato in “Confidenze” (giugno 2004)

  • Iceberg Contro Iceberg
  • La sfida
  • Uno Spazio Tutto Per Me

Poesia di Francesca Zucchiatti

DIO

Giochiamo – disse-
Io creo, tu distruggi
Io inizio, tu finisci
Io congedo, tu ricominci
Il Sale lo metto io
E il soffio…
Il Dubbio é tuo
Cosi’ pure la paura
Il Tempo, lui s’inventa da solo
E tanto non concede che l’Eternità.

PENSIERO MODERNO

Filosofia cactus
Spine gratuite
Pungiti un poco !
La forma di un dito
O é un gesto ?
Toccare, capire
The cactus philosophy
Poliglotta, informale
La più gettonata

CONSEGUENZE

Immagina il domino
Il lungo serpente
In bilico, in piedi
Tu sposti un pezzetto
E tutto s’appoggia
Cade
E propaga una sola sventura
Fermare la corsa
Ti duoli adesso
Del pezzo in quel punto
Del tuo cambiamento
Rifletterci prima,
Cosa passata,
Manutenzione gratuita di un gratuito pensiero
Urla, scappa
E’ un tuo disonore
Le dimensioni
La probabilità
Il riscatto del domino
E non lamentarti…
Se l’unico ancora a giocare
E’ il serpente beffardo

COMMIATO

Ci parlo, l’ascolto,
La tocco, l’abbraccio
Senza un lamento
Lei sa che io so…
Conosco l’inquilino
Codardo e malvagio
Il passaggio meschino fra il Sonno e la veglia
Il sorriso tirato
Da zampette di grillo
La calma apparente
Mare in attesa
L’allegria forzata
Del prigioniero in catene
La stringo e capisco…
Lei non sa che un po’é già partita
Ma in sogno io sento che mi ha lasciato la mano.

CAMBIAMENTO

Puntavo a capire
Spiegazioni e misure
Scientifico il numero
La parola non morde
Ma ritrovandomi scalza
Ho incontrato una strega
E non più risoluta
Ho scoperto, appagata,
Di averne bisogno
Di un incantesimo al giorno.

NEVE

Le sere gelate d’inverno
Quando sospira umanamente il vento
Scende
Lenta e paziente
Enormi spazi caduti nell’oblio
Nel bianco, freddo accadimento
Enormi pensieri per una parola sola
Occorre tempo ad ogni fiocco sepolto
Occorre silenzio alla dispersione
Poca la sostanza
Di un canto cosi’ antico
Grande l’emozione della Natura
Mentre stupisce sia possibile tanta limpida costanza.

LA PIAZZA DEL PAESE

Cupa, l’indifferenza dei vecchi
Fiacchi, sulle seggiole di ferro
A che serve alzarsi…
Fino alla fontana
Son due passi
Già troppo
Gli ultimi strappi
E un vago spavento…

Biografia

Francesca Zucchiatti: breve biografia

Con un’educazione cosmopolita, una Laurea in Scienze Politiche Diritto Internazionale a Firenze – perché un lungo soggiorno in Mauritania, preludio di una grande passione per l’Africa, le aveva acceso la speranza nelle ONG Internazionali – Francesca lavora in Francia come giornalista e P.R. a Nizza e a Parigi presso le Camere di Commercio francese e italiana, dove scrive e cura pubblicazioni sull’immigrazione oltralpe.

Spirito irrequieto, alla perenne ricerca di stimoli è insegnante e traduttrice presso il Centre de Langue et Culture italienne a Parigi dove si sposa e mette al mondo una figlia fantastica:

“La maternità – dirà – è l’unico momento in cui la vita ha smesso d’essere un mistero insolubile”.

Nel 1997 si trasferisce a Venezia dove finalmente si dedica alla passione dello scrivere. Studia le tecniche del romanzo noir e nel 2000 pubblica un giallo Una dolce fine in Costa Azzurra (Editori Riuniti Milano), ma il suo primo traguardo arriva col romanzo breve Una musica nella notte che nel 2001 le varrà il Premio Letterario Racconti di Donna (Sonzogno Ed.) Seguiranno In un posto qualunque all’ora indicata (Robin Biblioteca del Vascello Ed. 2003) Il problema del mese di aprile, uno dei romanzi più apprezzati dai suoi lettori più giovani (Robin Biblioteca del Vascello Editore 2004).

Per vivere a Venezia lavora nel turismo creando una sua piccola società, ma la scrittura continua ad essere il potente, ineluttabile richiamo della sua vita – nel 2010 pubblica un noir sperimentale in francese La couleur de l’encre (Mokeddem Editions Paris) tradotto poi in italiano per Morlacchi Ed. Il colore dell’inchiostro (2014) – mentre la passione per l’arte, da sempre parte della sua formazione, la porta ad esplorare il mondo della creatività figurativa. Dal 2012 si dedica anche a organizzare Mostre di artisti contemporanei a Venezia, Ginevra e Roma, a curare cataloghi, scrivendo testi critici e collaborando con varie riviste, in particolare il magazine Prometeo (Mondadori).

Intanto continuano le conferenze sui temi più diversi e i viaggi: in Messico soprattutto e in Asia dove, durante lunghi soggiorni, approfondisce l’interesse per archeologia e antropologia, filosofie alternative, temi legati alla spiritualità e coltiva la sua smodata passione per l’intelligenza delle piante.

La sperimentazione è fondamentale per l’autrice. «… il leitmotiv della mia vita – afferma instancabilmente – non posso scrivere sempre lo stesso libro, non posso navigare lungo gli stessi orizzonti. Tutto è incontro e conoscenza, infinite possibilità d’essere »