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DIMENTICA DI AVERE PAURA

«Dimentica di avere paura… » è l’incipit di un breve poema che scrissi in francese (il titolo originale è “Oublie que tu as peur”) anni fa per una piccola rivista di poesia contemporanea. Compare anche nel mio romanzo “Cosa fanno le mie piante quando non ci sono” non perché abbia uno speciale valore letterario, ma perché mi è venuta in mente spesso in questi anni, sia in riferimento a me stessa, sia leggendo le mail che m’inviano i lettori e le lettrici più affezionati/e (che ringrazio affettuosamente)

La paura è il grande scoglio della nostra vita. Molte filosofie orientali vi accostano la rabbia, ma credo che anche questa sia figlia della paura. È lei, la matrice che condiziona costantemente le nostre emozioni, ciò che diciamo, le decisioni che prendiamo o non prendiamo. Pensare di evitarla è illusorio, ce la portiamo dentro, ce l’hanno inculcata, l’abbiamo ereditata, fabbricata noi stessi. Insomma c’è. E per dirla con Sofocle: “Per chi ha paura, tutto fruscia”

Ma così come sentire il dolore è inevitabile, ma soffrire, intrattenedolo, è una scelta, anche contro la paura possiamo fare qualcosa: possiamo decidere di dimenticarla. Magari solo un po’, il tempo di tuffarci nell’acqua fredda, cancellare un numero di telefono o usarlo, cambiare strada, inghiottire una medicina amara ma benefica, partire, osare…

“Dimentica di avere paura” e fai quella cosa che senti e ti preme, là all’apice dello stomaco. Da domani potrai riprendere la tua dose di paura, vibrare come il pioppo tremulo al vento. Ma intanto l’avrai fatto, avrai provato, deciso, saltato, ingoiato, osato… insomma, vissuto.

Una leggenda racconta che i primi Cristiani intimarono all’alto e fiero pioppo d’inchinarsi di fronte alla croce di Gesù. L’albero rifiutò e Dio lo condannò a tremare per l’eternità. Io penso invece che Dio lo stimò talmente tanto da rendere le sue foglie simili a festosi coriandoli capaci di sussurrare il segreto della vita se sfiorati dal vento: “tutto cio’ che vuoi è dall’altra parte della paura” (Jack Canfield)

BIBLIOTECA LA VIGNA 21 NOV. VICENZA: L’AMBIENTALISMO DEL CUORE E DELLA CONOSCENZA

È stato un bell’incontro quello organizzato dalla Biblioteca La Vigna di Vicenza, importante centro di riferimento mondiale per le ricerche ampelografiche (dal greco antico ampelòs= Vite) e di studio dell’agricoltura, l’occasione per me, non soltanto di presentare il mio romanzo “Cosa fanno le mie piante quando non ci sono” ma anche d’incontrare lettori aperti alle più ampie visioni del mondo della Natura.

Ha rinfrancato le mie speranze infatti il constatare, una volta di più, la straordinaria vivezza di un fermento nuovo nel campo dell’ambientalismo: la consapevolezza della necessità d’imparare chi sono questi straordinari esseri viventi che chiamiamo piante e come da 500 milioni d’anni hanno saputo resistere ed evolversi sul nostro pianeta. 

Nella settimana in cui gli Organismi delle Nazioni Unite rinnovavano agli Stati l’appello a ridurre le emissioni di gas inquinanti, lanciando l’allarme di un effetto serra sempre più fuori controllo;

nell’anno in cui la Nasa ha ufficialmente rivelato che la risonanza Schumann (il cosiddetto battito interno della Terra) è drammaticaticamente aumentata fino a provocare una prima riduzione del campo magnetico terrestre, rendendoci fra l’altro anche molto più vulnerabili alle radiazioni solari;

nel mese in cui un tornado più consono al Centro-Est degli Stati Uniti che all’altopiano di Asiago, falciava decine di migliaia di abeti rossi, mi sono ritrovata a parlare d’intelligenza delle piante, scoperte scientifiche, soluzioni legate alla biodiversità e soprattutto della possibilità concreta anche per noi, di comunicare con loro e vivere meglio.

Poteva sembrare fuori tema, raccontare una storia romanzata in cui la protagonista dà un nome alle proprie piante, condivide con loro i momenti felici e difficili della sua vita, e invece il pubblico ha seguito, consapevole che un nuovo modo d’abbracciare il nostro impegno “verde” passa anche di qui, dalla loro piena integrazione nel nostro quotidiano. Perché conoscere come le piante comunichino fra loro in modalità simili al nostro Internet, sapere come da millenni trovino soluzioni naturali e formulino alleanze di mutuo soccorso per ovviare ai pericoli più diversi, significa davvero fare qualcosa per salvare il nostro mondo dalla catastrofe.

Non si tratta di scatenare rivoluzioni cruente o di tornare all’età della pietra, ma piuttosto di restituire alla terra impoverita da decenni di sfruttamento, pesticidi, ormoni, la sua naturale ricchezza (nel suolo è custodita l’80% della biomassa) riattivando l’antico equilibrio vitale, fatto di repellenti e anticrittogamici naturali, cicli di crescita compatibili con le necessità della pianta, biodiversità.

È un cammino lungo. Certi errori, commessi fin dagli anni ’60 hanno avuto conseguenze in parte irreversibili, ma molto si può ancora fare. La nuova militanza ambientalista, però, dev’essere consapevole, di buon senso e costante nel tempo. A nulla serve l’impegno di qualche mese per la salvaguardia di questo o quell’animale, se non abbiamo acquisito sane abitudini di vita nel modo in cui facciamo la spesa, ci occupiamo dei nostri rifiuti, accudiamo gli alberi delle nostre città e le piante nelle nostre case,  nella maniera in cui nutriamo noi stessi e i nostri figli.

Il buon senso passa attraverso la conoscenza e il cuore. L’umiltà di capire che la salvezza è possibile soltanto grazie all’osservazione di come si comportano loro, le piante, e all’apprendimento degli insegnamenti che da sempre silenziosamente sussurrano all’uomo.