LA PIGRIZIA? IL VERO MALE DEL NOSTRO TEMPO

 

Oggi si parla molto di PAURA. E finalmente! Aggiungo io. La paura è il nutrimento quotidiano dell’uomo del nostro tempo e… dei bambini, gli uomini e le donne di domani. E’ il modo più sicuro ed efficace per esercitare un controllo sul nostro prossimo... paura dell’ignoto, del futuro, del diverso, dell’abbandono, del rifiuto, del giudizio, della morte. Ridotti a galleggiare in questo brodo mentale, ci agitiamo come topi da laboratorio, inermi, stanchi e impantanati nell’illusione di un avanzamento.

Tuttavia trovo che non si parli mai abbastanza della PIGRIZIA. Stadi più o meno avanzati di apatia sono la base della maggior parte delle nevrosi di cui soffriamo. Garantiscono una sicura incapacità a guidare se stessi, un moltiplicarsi di attitudini di dipendenza, una perdita di stima di sé. Inizialmente in dosi omeopatiche, la pigrizia tende ad allargarsi come una macchia d’olio silente.

Cellule killer attaccano le cellule sane del fare e tu non te ne accorgi. Ti racconti che tanto, quando servirà, saprai metterti d’impegno, ma non è cosi’. Per essere forti nelle grandi cose, bisogna essere forti nelle piccole. Per agire devi essere abituato a non procastinare e cedere. Per correre la maratona devi allenarti. E anche solo per camminare, devi metterci il cervello. La pigrizia, come la paura, tende ad accaparrarselo, paralizzandolo.

Chiariamoci: non si tratta di esercitare la nostra creatività ad ogni passo della vita, solo in pochi ci riescono e abbiamo il sacrosanto diritto di riposarci quando siamo scarichi. Si tratta di combattere la tentazione della pigrizia – uno dei volti della rinuncia – con i piccoli, costanti passi del Fare.

Il grande filosofo occultista G.I.Gurdjieff paradossalmente dava consigli molto pratici in tal senso: “Fissa la tua attenzione su te stesso, sii cosciente in ogni momento di quello che pensi, senti, desideri e fai (…) Finisci sempre quello che hai cominciato (…) Fai quello che stai facendo il meglio possibile (…) Ordina cio’ che hai disordinato (…) Stila progetti di lavoro e realizzali (…) Sii puntuale (…) Mantieni le promesse (…) Non ti lamentare (…) Sviluppa la tua fantasia (…) Se sei in dubbio fra il fare e il non fare, corri il rischio e fa.

Personalmente, tutto cio’ mi risuona dentro con molta chiarezza. Spesso, sentendomi in preda ai dubbi, qualche saggio incontrato nel mondo – e certo non per caso! – mi ha esortato, dicendo: ”Hai fatto del tuo meglio? Si’?? Tutto, proprio tutto quello che potevi? Allora adesso non pensarci più. Andrà come deve andare”

Ma la prima domanda è sempre la stessa: hai fatto? Questo verbo FARE torna e ritorna, implacabile. Perchè, insito nel concetto stesso del fare, c’è un senso di volontà, resistenza, coraggio, una dinamicità comunque benefica. “Non è importante cio’ che fate – diceva Brancusi è importante la condizione mentale con cui lo fate”
Qualunque sia il tuo agire, determinerà delle conseguenze, nuove carte da giocare, porte chiuse, porte aperte, tentativi, fallimenti. Lo dico a chi mi ha scritto, che forse si riconoscerà, lo dico a chi qualche volta ci ha pensato su… e poi, il grande paradosso è che una volta fatto, hai dato, e a quel punto, te la puoi persino giocare a testa o croce: succederà quel che succederà, di che ti preoccupi?