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NIENTE AUGURI, MOLTO DI PIU’

Una preghiera e non un augurio; un proposito e non un desiderio; un’intenzione e non una promessa. In questa fine d’anno…

A TE, con affetto e gratitudine

– Che il bavaglio rafforzi il tuo pensiero, affinché raggiunga le cime degli alberi;
– Che il tuo silenzio sia più potente di ogni replica;
– Che ai tuoi piedi spuntino le ali della tua anima e tu possa raggiungere i confini estremi della tua vita;
– Che il mondo nuovo entri in empatia con te, perché tu non odi più nessuno, nemmeno te stesso;
– Che chi ti vuol male capisca che è inutile, tu sei inarrivabile, come la sorgente del sole;
– Che chi ti ama davvero, sappia, che ogni tua cellula ne avrà memoria, per sempre;
– Che il coraggio ti aiuti a colmare le lacune della vita e ti renda libero dal gioco subdolo dell’ombra;
– Che il sonno depuri la tua anima, quand’è stanca, e sciolga per te i dubbi amari;
– Che tu comprenda che i conti tornano sempre, ma la matematica dell’Universo esige cuori addestrati;
– Che la leggerezza e la gioia scendano su di te, come pioggia di stelle, perché se brillerai, il cielo, tutto, ne sarà inebriato e avrai fatto ciò che dovevi, in questa dimensione e nell’altra.

L’inifinito ti chiama, per andare sempre più lontano…scegli! L’anno non conta.

L’AUGURIO SPECIALE DEGLI ALBERI

Non possono certo mancare gli auguri in questa fine d’anno martoriata, ma preferisco affidarmi alla saggezza degli alberi per un auspicio saggio e un incoraggiamento sincero, con la speranza di raggiungere tutte e tutti, cari amici di blog, con la mia più completa gratitudine per quest’anno passato insieme.

E così, forti e delicati, il frassino, l’olmo e il salice ci invitano a rafforzare noi stessi indipendentemente dagli altri. Loro lo sanno, perché vivono spesso in luoghi impervi, al limitare d’argini e corsi d’acqua, perciò curiamoci da soli e contiamo, come loro, sulle nostre forze, insospettabili risorse quando la vita si fa difficile;

il noce approva e ci invita ad affrontare il non-detto con coraggio e determinazione, là s’annida la paura che ci paralizza. Una volta per tutte, allora, diciamoci la verità e la palma, col suo ciuffo scarmigliato, aggiunge un po’ di gioiosa follia al proposito, incitandoci ad essere fieri della nostra unicità e a osare, perché niente è prestabilito e tutto può cambiare se cerchiamo la nostra versione di felicità;

ulivo e quercia invitano alla resilienza, perché niente può essere fatto in un baleno, il nuovo dev’essere attratto con energie fresche e pure, e costruito passo dopo passo;

il pino sa che con l’impegno tutto è possibile e non bisogna avere sensi di colpa nel lasciare il vecchio che non ha più ragion d’essere;

e il pioppo s’arrabbia un po’ a sentirglielo dire, ma sa che ha ragione e ci vuol tempo per guarire le ferite e rinascere con l’entusiasmo della fanciullezza;

il ciliegio avvolge tutti con la sua bellezza fragile e pura e ci ricorda che chi ci ama davvero non strapperà i nostri fiori, li raccoglierà con cura, anzi, quando si staccheranno dal ramo e li amerà ancora di più quando galleggeranno sul filo dell’acqua, come ninfee in un quadro di Monet;

il bambù si commiata con un inchino flessuoso, ma sorride perché sa che non è un piegarsi servile, ma un gesto di pace, coraggio e intelligenza: unire la forza tranquilla del tiglio e la capacità del cipresso di perseguire i propri sogni fino in fondo, questo il suo consiglio e l’augurio degli alberi tutti…

Vi abbraccio. E… restate curiosi…!!

TUTTI I SEGRETI DI ANNE…

LE MIE PIANTE E IL SEGRETO PIU’ GRANDE  La recensione del Prof. Giovanni Incorvati

prof. di Filosofia del Diritto alla Sapienza di Roma, docente di Bioetica Univ. di Camerino

Il nuovo romanzo di Francesca, prosecuzione del suo precedente Cosa fanno le mie piante quando non ci sono, si presenta esattamente all’altezza delle promesse. La risposta al titolo della prima opera è al fondo del titolo della seconda. La figura centrale di Anne e quelle delle sue piante (tra cui le care Giò e Maria Juana, nel frattempo “defunte”) mantengono la loro posizione nel titolo, con in più l’arrivo tra di loro di due new entry. Ma nell’espressione “le mie piante” ci sono diverse interpretazioni dell’aggettivo “mie”, tra cui occorre distinguere: piante di chi esattamente? Nell’appartamento di Parigi esse continuano tutte a convivere insieme con il lascito di Julien, l’amato artista, compagno di Anne, scomparso tragicamente un anno prima. Dipinti da lui, alle pareti ci sono evidentemente i ritratti di Anne nelle sembianze di ciascuna di loro, e sia gli uni che le altre presenziano, come “testimoni oculari” o “immaginari”, alle nuove notti di Anne, quando la memoria di Julien vorrebbe colmare quei vuoti che continuamente si riaprono in lei.
Le potenzialità di una simile assemblea in miniatura rispetto a questo senso acuto della mancanza sono anche più profonde. Sotto il profilo formale della scrittura, vi corrisponde un’invenzione originalissima. Il cosiddetto “io narrante” non appare più singolare e compatto nella sua apparente identità con l’“io narrato”, come vorrebbe un’affermata consuetudine letteraria, ma tende a identificarsi con un soggetto collettivo a cui fa da portavoce. D’altra parte, l’“io narrato” di Anne impara a conoscere il proprio “sdoppiamento” e l’esistenza di un “terzo occhio”, di un “noi” più vasto, che ha, sì, il compito di prendere con le pinze le idee e i comportamenti di Anne, ma non si limita solo a questo.
In effetti, l’identificazione è non solo con le piante di appartamento, ma anche con gli alberi del mondo: sia con alcuni di quelli tra i più comuni nel paesaggio europeo, sia con altri assai diffusi in America Latina. Ad essi. nel titolo di ciascun capitolo, si accompagnano specie diverse di sensazioni. Al termine del viaggio dentro di sé, alla fine del primo capitolo dal titolo “Sentirsi il noce”, Anne abbraccia questo albero in segno di congedo. Ma, al suo ritorno dal viaggio nel Messico, dopo un lungo trascorrere dal frassino al bambù, al banano e alla palma, l’assemblea narrante la mette di fronte, come recita il titolo dell’ultimo capitolo, al “sentirsi la quercia” e a qualcosa di molto nuovo, al “sogno di costruire”, di abbracciare in grande.
Il climax è raggiunto esattamente al centro del viaggio in Messico e del romanzo stesso, con l’innesto, all’interno del racconto di quel paese e delle sue meraviglie, di un pezzo di realismo documentario à la Flaubert. È il reportage fedele, in parte già apparso sul blog dell’autrice, di un incontro avuto effettivamente da lei diversi mesi prima, che provoca un fulminante corto circuito con l’io narrante e con quello di Anne. Il racconto della visita a Gudelia, la curandera, esperta professionista del prendersi cura di sé e del mondo esterno attraverso antichissime strutture che li interconnettono, annulla immediatamente ogni distanza. All’improvviso i diversi segreti disseminati qua e là sul percorso del romanzo sembrano riunirsi in un punto in cui credi di riconoscere il segreto più grande. La scossa della scoperta ti raggiunge immediata e ti lascia lì, “strabiliato”.
Il flusso di corrente alternata si ristabilirà subito dopo, al rinnovarsi delle esperienze sentimentali di Anne, il cui quadro complessivo, secondo la diagnosi di Gudelia, “era un disastro”. L’abbraccio che conclude l’incontro con lei, con la prognosi dell’importanza crescente della segunda vista, del terzo occhio, avrà ricadute definitive anche in questo campo. La fugace figura messicana di Arnulfo, accompagnatore che è una sorta di “cavaliere inesistente”, farà eco alle persistenti, ma caduche controfigure parigine, quella di Jean, aduso a stringerla con mani “di ghiaccio”, e quella di Marc, evanescente manager in ars amatoria, di cui è solo un praticone. Questo preteso Apollo, sempre pronto a “passare” da Dafne” per strimpellare anche lui qualcosa sulle sue corde, e sempre “senza domande, senza risposte”, si rivela totalmente incapace di recarsela in braccio con vero desiderio. Lei infine si libera, si libra. Ha diritto al futuro.

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IL SEGRETO PIU’ GRANDE DI ANNE

Non sarà mai un Natale come gli altri, questo Natale, ma perché non trasformarlo in una nuova esperienza, a contatto con le piante delle nostre case addobbate a festa?

Se cominciassimo davvero a comunicare con loro, gli alberi e le piante ci farebbero capire quanto questo periodo dell’anno sia prezioso per la Natura, una sorta di laboratorio attivo per prepararsi alla stagione dei nuovi inizi.

L’invisibile energia della Madre Terra veglia su di noi ed è là, a nostra disposizione, in ogni momento della vita, come scopre Anne, la protagonista del mio nuovo romanzo, alle prese con nuove peripezie e scoperte sul mondo delle piante e della loro spiritualità.

E’ con l’augurio di un bellissimo viaggio iniziatico nella dolcezza della Natura, che invito tutte le mie lettrici e i miei lettori a visitarmi in Amazon.it per leggere la scheda del mio nuovo romanzo. Chi ha conosciuto Anne in “Cosa fanno le mie piante quando non ci sono” potrà seguirla nel nuovo e nei nuovi capitoli della sua vita,  fra nuovi amori e passioni, nelle terre di Francia, Italia e Messico. Per il link diretto clicca qui :

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Per un Natale di viaggi, anche solo con la fantasia…

Vi abbraccio! E aprite le ali!!!

COSA MANCA NEL MONDO? LA FIDUCIA

La fiducia è come l’amore – mi disse un tipo strano, in Mauritania, decenni fa – se non sai riconoscerla in te stesso, come fai a sperimentarla con gli altri? E’ come l’amore, se non lo hai mai provato, non sai darlo né riceverlo… capisci? Non te ne accorgi neppure che è entrato nella tua vita”

In questi giorni trafelati, mi è venuto in mente come un abbraccio, il vecchio Dihao. Chissà da quanto tempo non è più di questo mondo…Eppure ho pensato alla nostra conversazione, seduti sulla sabbia con un té in mano. Perché, come tutti, seguo le notizie e non credo più a niente. Nulla di cio’ che ascolto è stabile, nella mia mente.

I dati del Covid, in Italia, in Europa, le previsioni, i vaccini, le cure, quando finirà, dove, prima in Europa o in America Latina? Poi sento gli amici all’estero, altre versioni, quelle vissute da ciascuno…mi parlano in lingue diverse e muta anche la sostanza del messaggio, il pathos. L’economia non resisterà e giù ad argomentare, poi arriva l’ottimista, quello che ha investito nella green economy e speri abbia ragione. Ma forse non ci credi, perché i dati sull’inquinamento sono impressionanti e i governi hanno altro a cui pensare…Figuriamoci, se avevano altro a cui pensare prima, quando era il cancro a farci paura e la siccità, e l’invasione di cavallette e la xylella e i ghiacci che fondono !!! Poi ci sono le elezioni in USA, la conta dei voti, le accuse. Comunque vada, si continuerà a dubitare del vincitore e del vinto. E i poteri forti? La grande finanza…Il terrorismo islamico…certo, sempre in agguato, ma meno in pole position nelle nostre paure. Avete notato? Una paura che sgomita via l’altra. E noi, nel marasma, che dubitiamo di tutto.

Continueremo a dubitare, ormai non facciamo altro, anche a livello personale. Nei miei seminari (quelli che ho dovuto annullare SIGH! Pardon, rimandare!) faccio lavorare molto sulla FIDUCIA. E’ lei la grande assente delle nostre vite, è lei l’anello mancante nei nostri progetti, è lei la ”smorza-entusiasmo” dei nostri slanci, è lei che vacilla nelle relazioni personali, è lei che, mutando in fretta come un virus, ci fa fare quel costante passo indietro che la vita punisce, alla fine, come punisce i pavidi e gli ingrati.

Certo, si dirà, è sempre più difficile avere stima di chi ci governa, di chi incontriamo per lavoro e nella vita personale. Quante maschere ci sorridono tutti i giorni…Povertà culturale, furbizia, invidia, falsità minano i rapporti umani e noi, per preservarci, non possiamo che diffidare.

Ma, attenzione, siamo sicuri che sia la giusta soluzione? La perdita puo’ essere immensamente più grande della delusione per una fiducia mal riposta, se essa implica la rinuncia ai nostri sogni. E dal momento che il continuo flusso d’informazioni su cose e persone non puo’ salvarci, anzi, piuttosto, aggrava la nostra percezione fasulla della realtà, non resta che affidarci al vecchio Socrate: Conosci te stesso.

Soltanto quello che Gurdjieff definiva “il riconoscimento attivo della nostra coscienza” nella piena assunzione di cio’ che siamo, puo’ proteggerci dalla tentazione di non avere più fiducia. Accedere alla nostra verità più profonda, all’esistenza che comprendiamo, capire che solo nel perderci possiamo trovarci, che partecipiamo e diamo il nostro contributo comunque, non puo’ che farci salvaguardare la fiducia nella vita, nelle sue forze invisibili e in noi stessi.

Puntare ad una grandezza nuova. Ciascuno, nel suo piccolo, potrebbe davvero salvare il mondo perchè come dice bene Aldo Busi, riecheggiando un vecchio detto di Montaigne sulla bontà: “Non si ha fiducia negli altri perché essi se la meritano, ma perché merita di averla colui che la prova”
E allora partiamo da qui, da noi, per fare un lungo viaggio con gli altri, che comunque ci porterà al punto di partenza: noi stessi.

Mi fido di me?

Sono già al sicuro.

PS. Un abbraccio speciale a tutte/i le/gli iscritti al seminario di novembre a Roma. Grazie. Non è che un arrivederci!  

NON SEMBRA, MA STIAMO FACENDO LA RIVOLUZIONE!

Sì lo so: dici Rivoluzione e vedi barricate, bandiere che sventolano su statue decapitate e strade piene di folle urlanti…molto sudate!
Ma questo era prima, prima del nuovo mondo. E noi siamo già nel nuovo mondo! La rivoluzione è già in atto e il termine è appropriato, se ci riflettiamo bene, perchè ogni rivoluzione dell’umanità nella storia, per essere tale, è passata attraverso 3 tappe ben precise:

1) Il ridicolo
2) Il pericolo
3) L’evidente

E già, solo un paio d’anni fa i risvegliati erano un manipolo di agitati new age.

Parlavano di equilibrio naturale definitivamente compromesso, di manipolazione di popoli attraverso la paura e l’ignoranza, di abuso d’intelligenza artificiale, distruzione dei polmoni verdi del Pianeta, di elettrosmog e campi elettromagnetici, di conseguenze da scioglimento dei ghiacciai, crisi planetaria della globalizzazione economico-finanziaria senza regole, di pandemie da nuove malattie… Ridicolo! Appunto. I soliti catastrofisti con la fissa della Madre Terra!

Ma in poco tempo, i soliti catastrofisti si sono moltiplicati. Sempre più pericolosi per le classi dirigenti,

sono spesso giovani e si pongono domande sul senso di una vita fondata sul consumo sfrenato, su carriere che garantiscono solo l’ulcera, sullo sfruttamento esagerato delle risorse naturali, sulle possibili malattie da tecnologia invasiva, da inquinamento di falde acquifere e dell’aria. Soprattutto si chiedono se cio’ che leggono e ascoltano sia la verità e temono, temono per la propria libertà. Pericolosi, pericolosissimi, pretendono di ragionare con la loro testa!

E così ci stiamo arrivando. I risvegliati stanno facendo la rivoluzione, una rivoluzione silente beninteso, quasi invisibile, rispettosa delle regole, una rivoluzione per un cambiamento interiore, talvolta spirituale, di ritorno all’autenticità, a un mondo sano, quello delle piante, degli animali, di ritmi di vita possibili, nel tentativo di fare in tempo… a salvarci, a salvare le nuove generazioni.

Era evidente! – diranno in molti, fra poco, cercando di appropriarsi del mutamento – ovvio, non si poteva continuare così, a distruggere il pianeta, a mangiare porcherie, mentre le malattie autoimmuni aumentano, le popolazioni emigrano in massa e quando piove, mezzo mondo scruta il cielo e si chiede se la propria casa è a rischio, se deve fidarsi ad uscire, se i propri bambini non si beccheranno questo virus o un altro, semplicemente frequentando la scuola.

Ma il nuovo mondo, quello che ci sembrerà normale, acquisito (come quello del voto alle donne o dell’eguaglianza razziale) non lo avranno creato gli ultimi arrivati, gli opportunisti dell’ultima ora, il cambiamento vero è sempre il frutto dello sforzo di pochi coraggiosi, i ridicoli, le voci isolate e inascoltate, le suffraggette, i Gandhi e i Mandela… Non lo dimenticheremo, vero?!

EVENTO ANNULLATO! ENTRIAMO NELLA MAGIA DELLE PIANTE

Ci spiace informarvi che l’evento non avrà luogo a causa delle norme anti COVID-19

Le piante ci assomigliano, perché non dovrebbero rispondere alle nostre domande, specie in un momento cosi’ difficile per l’umanità?

Per capire, quale meraviglioso viaggio ci possano far fare, quali insegnamenti possiamo trarre dal loro modo di affrontare la vita, terro’ un workshop: ‘Entriamo nella magia delle piante’, domenica 8 novembre presso la sede di Harmonia Mundi a Roma.

Con tutte le cautele di distanziamento sociale e protezione, lavoreremo su noi stessi, sui 12 Insegnamenti e con gli alberi, comunicheremo con le nostre piantine, alternando momenti anche ludici ad approfondimenti e curiosità.
La guarigione del mondo passa attraverso un ritorno alla Natura che possiamo attuare da subito, nella nostra casa e a livello personale.

Per saperne di più e iscriversi: https://www.harmonia-mundi.it/eventi/entriamo-nella-magia-delle-piante_2020-11-08

Per l’occasione e in anteprima, possibilità di acquistare sul posto il nuovo romanzo “Le mie piante e il segreto più grande”

 

 

IL SENSO DELLA VITA: LA DOMANDA NASCOSTA IN OGNI DOMANDA

Il momento più interessante d’ogni conferenza è forse quello finale, il congedo. Anche in tempi di Covid, ci sono persone che restano, ti aspettano fuori per uno scambio più intimo, un saluto. Per me, è forse, la fase più gratificante, cio’ che m’insegna di più.

Sono molte le riflessioni, i dubbi che ci si scambia in questi momenti, nel tempo ho riscontrato cambiamenti profondi nelle persone che vengono ad ascoltarmi, esigenze nuove, paure antiche ed altre, frutto del mondo che abbiamo creato, un mondo ostile, inquinato, depresso.
Il disorientamento è frequente, ma la voglia di resistere con mezzi propri e introspezione aumenta. C’è sempre più diffusa l’intuizione di un invisibile che ci vive accanto, c’è l’idea che tutti i beni materiali di questo mondo non ci basteranno a sconfiggere i nostri démoni, c’è la domanda delle domande: sto dando un senso alla mia vita?

I grandi del passato ci vengono in auto: Picasso sosteneva che il senso è trovare il nostro dono e regalarlo (ma lui lo vendeva a peso d’oro!!!), Stevenson sosteneva che fosse l’essere capaci di diventare cio’ che siamo (ma chi siamo?? That’s the problem!) George Sand, donna pratica e saggia sintetizzava bene:”amare ed essere amati”. Freud dichiaro’ spesso di non aver mai trovato una risposta soddisfacente (e se non l’ha trovata lui, siamo messi male!!)

Io sono sommessamente d’accordo con Virginia Woolf: la grande rivelazione non arriva mai, ma al suo posto ci sono piccoli miracoli quotidiani.

Ma oltre a questo, tendo ad associare il senso della vita alla parola fiducia. Fidarsi di cio’ che si prova, che si costruisce, che si dà e si riceve, confidare nel fatto che ha un’utilità per qualcuno che a sua volta si fida di noi, questo è in profonda relazione, secondo me, con il senso della vita. Non a caso, la fiducia è spesso accompagnata dalla gioia, un buon segno – se posso dare un consiglio – che siete sulla buona strada

Purtroppo, è anche cio’ che spiega la penuria di senso, nella nostra società. La lista di quelli di cui ci fidiamo è spesso breve. In Australia, nella lingua degli Aranda, il termine tnakama significa la stessa cosa: chiamare per nome e fidarsi. Il problema della lista dunque è parzialmente risolto!!!

PERCHE’ ABBIAMO BISOGNO DI UN’ECOLOGIA COMPLETAMENTE NUOVA

C’è chi protesterà e porterà esempi virtuosi. Ma la verità è che la Terra è al collasso.

Ci sono inquinamenti definitivi di fiumi, aree del mondo invivibili; abbiamo creato un intero, nuovo continente di plastica; bruciamo foreste che non hanno il tempo di ricrescere; sfruttiamo risorse minerarie a un ritmo tale che le stiamo esaurendo; lo spreco dell’acqua non accenna a diminuire.

Eppure il messaggio ecologico non è recente. Movimenti di tutti i tipi sono nati già dagli anni settanta, Il Partito Verde d’Europa o Unione dei Partiti verdi europei è stato fondato nel 2004.

Se una sorta di disneyana sensibilizzazione è stata sparsa nel mondo, poco o nulla è stato fatto nella concretezza. A fronte di una tecnologia ormai da anni in grado di sostituire la plastica con similprodotti naturali e innocui, di riciclare l’acqua, di desalinizzare il mare dove necessario, di fornire energia pulita, di creare barriere vegetali alla progressiva desertificazione, al livello globale non si è cambiato senso di marcia. A riprova, oggi stiamo coprendo la Terra di mascherine non biodegradabili per salvarci la pellaccia dal Covid.

Allora, mi chiedo, cosa non ha funzionato? La risposta che constato nei miei seminari è sempre la stessa: il messaggio ecologico, contaminato dalla politica (perchè non si tratta d’essere di destra o di sinistra) non ha integrato la vera essenza del discorso, il segreto della vita.

Il 70% del nostro DNA è lo stesso di piante e animali, bruciare un bosco dovrebbe farci l’effetto di danneggiarci un rene. La sacralità della vita è la stessa, la sorgente della vita è la medesima. La Terra Madre si comporta come un organismo vivente costituito da materia, energia e spirito, le stesse componenti del corpo umano. La vita di una cellula, di qualsiasi cellula, è compromessa dall’inquinamento e tutte le forme di vita sono collegate. Il nostro sistema immunitario sta diminuendo d’efficacia. Inseguiamo vaccini, perché conosciamo la nostra debolezza, perché i nostri bambini non crescono più a contatto con la Natura, perché abbiamo perso sapienze antiche che trovavano rimedi nelle piante.

Qualcosa nella coscienza collettiva si sta smuovendo. È tardi, ma molto si può ancora salvare per almeno una buona fetta di future generazioni. Cosa aspettiamo? Ogni cambiamento comincia da se stessi, nei comportamenti individuali.

Irrisorio? No, l’effetto moltiplicatore è la chiave del cambiamento. Come dico sempre, se ognuno tenesse una piccola pianta sul balcone, domani, l’Italia, avrebbe un polmone verde in più, 60 milioni di piante nuove a filtrare l’aria che respiriamo.

QUELLO CHE LE PIANTE CI DICONO: DISPONIBILE ON-LINE

Magnifica accoglienza venerdi’ 11 settembre scorso per il mio primo incontro dedicato al mondo delle piante presso Harmonia Mundi a Roma.
Nel ringraziare Marina e Paolo, le due colonne portanti di questo centro olistico speciale, a due passi dal Colosseo, e il pubblico straordinariamente sensibile alla vastità dell’argomento trattato, desidero condividere il video della serata a disposizione da oggi nel canale You Tube di Harmonia Mundi.

Era un primo assaggio, in vista di un seminario interattivo di life strategies e percorso spirituale, una sorta di degustazione per comprendere l’immenso beneficio che possiamo trarre dal mondo delle piante, in termini di conoscenza, benessere, energia e spiritualità.
“Loro sanno…” come dico sempre, “…e cio’ che sanno è a nostra disposizione, è li’ per aiutarci ad affrontare i tempi difficili che stiamo vivendo, per permetterci di vivere in armonia con noi stessi e gli altri”

Per vedere il video, clicca qui :

 

QUELLO CHE LE PIANTE CI DICONO…

La Terra è un organismo pulsante, fatto di materia, energia e spirito. Ogni cosa vivente possiede questi elementi. E’ questo il punto di partenza della mia ricerca a tutto tondo sul mondo delle piante.

Attraverso uno workshop che alterna riflessione e ascolto a momenti interattivi e di meditazione collettiva, desidero aprire le coscienze ad un nuovo impegno ecologico, più coerente, spirituale e integrato alla nostra vita. Vi aspetto…

Venerdi’ 11 settembre
19h00 – 21h00
Harmonia Mundi
Via dei Santi Quattro,26
Roma 00184
(Prenotazione obbligatoria, distanze di sicurezza garantite, mascherina obbligatoria)

 

 

MESSAGGIO PER IL NOVILUNIO

Molte persone non sanno che il Novilunio è importante per il loro destino. È un portale energetico molto forte. Apre sempre a novità nella tua vita. Ma devi essere capace di notarle.
Può essere importante eliminare cose vecchie o cose simboliche di un tempo passato, da lasciar andare. Nello stesso modo, nuotare o immergersi nell’acqua, fare abluzioni per liberare corpo e mente, sarà benefico.
Il punto essenziale, tuttavia, è non abituarsi a fare le stesse cose, nello stesso modo. Non devi lamentarti se poi, non ti accade nulla.
Così, un giorno, mi disse una curandera. Aggiungendo che per Novilunio (e Plenilunio) s’intendono, da sempre, 2/3 giorni prima e 2/3 giorni dopo, la data esatta. E precisando altresì che nell’arco di un anno, ci sono noviluni e pleniluni più o meno determinanti e carichi d’energia.

Nella tradizione druida, ad ogni Novilunio, si organizzavano meditazioni collettive, accompagnate dalla “Musica del Vuoto” ottenuta con il flauto, in grado di portare benessere, visioni interiori e percezione della Coscienza Superiore. A queste occasioni, si credeva partecipassero anche i Maestri Segreti della luna, con lo scopo d’infondere nuove conoscenze a chi vi prendeva parte. I cinque giorni simboleggiavano il percorso interiore di ogni persona, il cosiddetto “Sentiero dell’Oro”. La Luna rappresentava il Passato, e apriva il suo portale per solarizzare l’umanità, attraverso l’operato di energie superiori.

Al di là della poesia, delle tradizioni celtiche, simili in tutto il mondo, è dolce pensare ad un continuo, possibile inizio: ogni mese, sta soltanto a noi, iniziare il movimento per cambiare.


E mi piacciono sempre i versi di Fernando Pessoa:

“Per essere grande, sii intero: non esagerare e non escludere niente di te. Sii tutto in ogni cosa. Metti tanto quanto sei, nel minimo che fai, come la Luna in ogni lago tutta risplende, perché in alto vive.”

SHINRIN-YOKU o BAGNO DI FORESTA: UN PRIMO ESERCIZIO FACILE DA FARE

Il Forest Bathing sta diventando di moda, e questo in genere mi preoccupa, perché la mediatizzazione spesso rima con banalizzazione. Ma il fondamento della scoperta giapponese è serio: la pianta è benefica a livello elettromagnetico per la salute dell’uomo.

Una passeggiata nella foresta per 3/4 ore è in grado di modificare i parametri principali del nostro organismo e abbassa lo stress, con effetti misurabili sul sistema ormonale. Tre giorni nel bosco con 10-12 ore di cammino alternato a stazionamento regalano un rafforzamento del sistema immunitario del 50% per un mese.

Questo perché gli alberi emettono campi elettromagnetici (più o meno potenti a seconda della grandezza del tronco) biologicamente affini a quelli umani, che quindi interagiscono con il nostro. Ogni pianta sembrerebbe avere una sua specificità e influire particolarmente su certi nostri organi. Il faggio per esempio è molto benefico per sistema nervoso, linfatico, ovaie e prostata.

Ma attenzione! Dal come si va nel bosco, dipende molto l’efficacia dello shinrin-yoku. Lasciamo a casa la musica per favore, la radiolina con le partite di pallone, le discussioni di famiglia. La disposizione d’animo di chi va nella foresta, dev’essere quella di un ospite rispettoso.

Ecco un esercizio facile e iniziale da fare, meglio se da soli, allontanandosi un po’ gli uni dagli altri:

Trova un luogo, uno spiazzo, una cima…scegli un albero, d’istinto. Non per forza il più bello, il più maestoso. Fai due o tre respirazioni profonde, in silenzio, ad occhi chiusi. Poi aprili e scegli il tuo albero. Avvicinati, osservalo, sulle fronde, l’ampiezza delle radici, le chiome. Lasciati osservare da lui. Siediti, poggiando la schiena sul suo tronco. Resta. In meditazione, se puoi, o in completo riposo. Lasciati venire tutti i pensieri, piano piano sentirai che rallentano.
Quando ti senti pronto, alzati. Poggia le mani sul tronco dell’albero. Chiudi gli occhi. Preparati al passo successivo: abbracciarlo con tutto te stesso. E’ un atto coraggioso, non sarà facile. Ti sentirai ridicolo, avrai il timore d’essere giudicato da possibili testimoni, ma se vinci la prima ritrosia, accadrà qualcosa di bello. Abbraccia il tronco dell’albero e chiudi gli occhi. Ti sentirai accolto – ad alcuni sembra di riabbracciare un padre o una madre o un essere caro che non c’è più, ad altri di riappacificarsi con qualcuno – poco a poco le tue barriere di difesa cadranno, ti lascerai andare alla pace o a un’emozione che ti opprimeva il cuore. Se vuoi, puoi affidare un pensiero, un dolore, una preoccupazione al tuo albero. Gli Aborigeni lo facevano durante tutta la vita. Avevano un loro albero e al momento della morte lo raggiungevano, quando era possibile venivano sepolti ai suoi piedi. Quando ti senti pronto a tornare alla tua vita, congedati, ringraziandolo.

Tu non lo sai, ma hai assorbito il campo magnetico del tuo albero e gli hai dato il tuo. Una piccola parte della sua pace e armonia è dentro di te. Fanne buon uso.

MISURINA,LE DOLOMITI E IL PREZZO PAGATO A CHERNOBYL

Il lago di Misurina è sempre stato uno scrigno nel cuore delle Dolomiti, lontano dal turismo di massa e dal vippame griffato. Di recente è spesso nominato in tv dallo scrittore Mauro Corona, ma la comunità che ci vive è rimasta la stessa.

Una cinquantina d’abitanti stabili (altri vivono fra il lago e Auronzo), devastata dieci/quindici anni fa da una vera e propria strage di morti per tumore.

Inspiegabile, in apparenza, perché non c’è luogo più sano al mondo! Il lo frequento da quarant’anni, d’inverno come d’estate, dopo la fuga familiare da una Cortina divenuta troppo città. Il lago di Misurina è talmente salubre che dal secolo scorso ospita un Centro di cura per l’asma, poche le costruzioni alberghiere e i ristoranti. Di notte posso andare nel bosco in pigiama!


Come mai allora, in questo Paradiso, quasi ogni famiglia ha perso qualcuno, anche giovane e giovanissimo?

La risposta la evochiamo spesso, quando salgo ai rifugi o incontro gli abitanti locali. Sospirando, evochiamo i mancati. La nube di Chernobyl nel 1986 ha preso in pieno il Nord-Est d’Italia senza che nessuno all’epoca desse un allarme davvero adeguato alla sua gravità. La radioattività ha agito silente nel tempo, causando, dieci-quindici anni dopo, cancri alla tiroide, polmone, cervello, mammella.

I vecchi ricordano sconsolati d’aver continuato a lavorare l’orto, bere l’acqua, mangiare l’insalata, raccogliere funghi.

“Ma le piante…” obietto.
“Non è colpa loro! C’hanno provato, sai? – mi rispondono spesso – i pini hanno assorbito il più possibile”

“Si’ le conifere hanno una grande capacità di stoccare ermeticamente veleni in una parte del loro tronco” confermo.
“Lo hanno fatto, sai, fin che hanno potuto, ma era troppo forte la radioattività. Hanno tenuto il più possibile per proteggerci, poi hanno dovuto mollare…”
“Già, e negli anni, la vita ha continuato ad evolversi, rinnovarsi, ricordando chi non ce l’ha fatta e ripartendo”

C’è sempre chi fra noi un po’ si commuove. Poi, lo sguardo si apre sui boschi, tutto è di nuovo sano, nuovo di zecca e qualcuno ripete:
“Non è colpa loro!”

TUTTI PAZZI PER LORO! LA BIOFILIA

Sembrerà relativo e minuscolo nella situazione mondiale che stiamo vivendo, di fronte a prospettive future sempre più catastrofiche, eppure sono certa che ha un peso. La percezione della realtà, sta cambiando. Eduard Wilson parla di biofilia sempre più diffusa, perché l’amore per la vita e la Natura è un’ esigenza neurologica dell’uomo.

Di recente, a una cena, un signore che conoscevo per la prima volta, mi ha raccontato che dovendosi assentare per due mesi, aveva affidato la sua pianta – appartenuta alla madre che non c’è più – a un amico, vicino di casa. Al suo ritorno, l’amico in questione tergiversava, cercando di persuaderlo a lasciargliela: “Guarda come sta bene qui!” diceva. Per il mio commensale pero’ quella pianta aveva un valore affettivo. Allora era andato a comprarne un’altra della stessa specie per il vicino e tutto contento, si era riportato a casa la sua. “Dalle un nome” mi ero limitata a consigliargli, pensando un secondo dopo che tutto questo, solo qualche anno fa, sarebbe stato impensabile.

Mia figlia in Martinica ha una grande kenzia che ha chiamato in mio onore Francesca. Appena comprata, era già molto bella, ma a distanza di sei, sette mesi è diventata magnifica. Tanto che un giorno, una signora in visita, se n’era talmente innamorata da chiederle se gliela voleva vendere. Mia figlia aveva risposto: “No, non la venderò mai! La prova, la chiamo per nome, Francesca” La signora, per nulla scandalizzata, aveva reagito perfettamente in linea con lei: “Capisco benissimo, la mia si chiama Monique”

In Asia, non avendo molto a disposizione, mi hanno insegnato a nutrire e riparare la mia pelle dal sole, con il gel ottenuto da una foglia di aloe vera. Molti dunque si tengono una di queste piante a casa. Oggi a Venezia, ALOA, la mia aloe vera, mi consente di fare una buona maschera per viso e capelli appena ne ho bisogno (bisogna prendere la foglia più esterna, quando ne spunta una piccola e nuova, al centro). La pelle è rigenerata, compatta e i capelli, specie le punte, hanno più consistenza.

Il riavvicinamento alla Natura, all’attività fisica è un fenomeno largamente riscontrato. Una nuova spiritualità, come esigenza di prestare attenzione a sé, agli altri esseri viventi – siano animali, piante, persone – si sta diffondendo silenziosamente.

Molte sono state le circostanze, in questi ultimi due anni, in cui gente “insospettabile” mi ha chiesto di provare a fare meditazione: spesso, senza accorgersi che già la fanno, in tanti modi, camminando nel parco, correndo, dipingendo, giardinando, nuotando e facendo yoga.

Sta cambiando il modo di nutrirsi, per lo meno cominciamo a porci le giuste domande e a usare nuovi vocaboli, per abbracciare un concetto più ampio di comunicazione. Soprattutto, forse, cominciamo a comprendere ciò che Leonardo da Vinci andava ripetendo: “Scruta la Natura, là c’è il tuo futuro”
Ancora poco, si dirà, ma avanziamo. Avanti tutta!

STATI DI COSCIENZA MODIFICATA: FORSE NON LO SAI MA LI HAI VISSUTI

Senza saperlo, li abbiamo vissuti tutti: in situazioni di pericolo estremo e di grande stress, le funzioni cerebrali si modificano.

La Neuroscienza ha monitorato come in queste condizioni, il naturale dominio dell’emisfero sinistro passi la palla al destro. O più esattamente, una parte del nostro cervello continua a lavorare la coscienza ordinaria e l’altra lavora come coscienza amplificata, capace d’attingere a una quantità maggiore d’informazioni.

La prima conseguenza di tutto ciò è la percezione diversa del tempo.

Il chirurgo che sta per operare vede già il sangue prima ancora d’incidere. Per la “legge delle catastrofi evitate”, mentre voliamo per aria, nel bel mezzo di un incidente, ad esempio, anticipiamo gli eventi al punto di vederci agire a rallentatore, modificando di fatto la percezione della realtà e del tempo in cui tutto avviene. In certi casi possiamo esercitare un controllo deliberato sulle attività in esecuzione al momento o siamo in grado di comunicare il nostro mentale ad altri.

Lo psicologo Hilgard sostiene che esistono nel nostro cervello una molteplicità di sistemi di controllo gerarchizzati e fluidi, coordinati dall’Ego. Nella transizione da un sistema all’altro si verifica uno stato di trans spontaneo e inconsapevole in cui viene ridotto il dominio dell’Ego e prevalgono percezioni più nascoste.
Ma cio’ non spiega tutto.

Un gruppo di scienziati canadesi qualche anno fa, monitoro’ il cervello di una nota shamana francese in stato di trans autoindotto, dimostrando che è possibile, anche senza l’uso di sostanze psicoattive o in particolari stati fisici alterati subiti (come il coma, il sonno profondo) raggiungere uno stato di coscienza modificata volontariamente. A livello neurologico fu chiaro che un cervello sano puo’ riprodurre stati apparentemente patologici e tornare dall’esplorazione perfettamente normale. La shamana entrò per ore in uno stato di super-coscienza e quando tornò in sé, era convinta fossero passati pochi minuti. Si potrebbe affermare che ciò avviene perché in trans si accede alla coscienza allo stato primario, la coscienza originaria, al di là delle stratificazioni operate dal principio di realtà, legato a necessità biologiche e culturali. La shamana era “tornata” con un flusso amplificato d’informazioni, la percezione di averle ricevute in pochissimo tempo, e la convinzione che modificando il comportamento del nostro cervello possiamo superare il modello attuale della realtà e coglierne un altro.

Il mistero dunque resta: cos’è il tempo? Esiste davvero un tempo quantico? Dovremmo abituarci a parlarne come di un luogo, una dimensione non disgiunta di tempo/spazio?

Di certo qualcosa sta cambiando, l’accesso a tante verità sta diventando possibile. A tutti. A tutti coloro che sono disposti ad accogliere l’inimmaginabile.

L’ARTE DEI DUE PUNTI: COME SMETTERE DI RIMUGINARE

Se dovessimo visualizzarci, dovremmo immaginare una mucca. Sì una mucca che rumina continuamente. Questa è la fine che fanno molti dei nostri pensieri. Vanno e tornano, indigeriti e indigesti, trasformati in un bolo apparentemente mutato, ma sempre gli stessi in realtà. Spesso ci convinciamo d’essere positivi, di credere nell’andare avanti, ma in verità emettiamo vibrazioni opposte. È normale, perché non è una questione di volontà.

È stato provato scientificamente che in meditazione, il campo elettromagnetico del cuore vibra più intensamente. Può accadere allora di accorgersi di cose, anche minime, intorno a noi, di entrare in contatto con altri piani di coscienza. Con la pratica, potrebbero arrivare visioni, sogni, intuizioni delle quali spesso non capiamo subito le connessioni. Se non hanno senso nel nostro mentale, non ha alcuna importanza, agiscono, forniscono riposo, distacco, la possibilità per il nostro inconscio di percorrere altre strade.

Molte persone rifiutano l’idea di fare meditazione per il suo carattere spirituale. Ma l’arte dei due punti si rimette al campo quantico. Chiudendo gli occhi, cercando di fissare due punti al tempo stesso, due mani parallele, due occhi…ci rimettiamo alla molteplicità del possibile.
Se hai un dubbio che ti rode, una decisione da prendere, può essere utile, chiedere, senza pilotare la risposta: Quale sarebbe lo scenario migliore per me?

Poi poniti in ascolto: siedi col busto eretto, i piedi aderenti al pavimento, rilassati, inspira, espira profondamente, poi calma il respiro e metti la tua attenzione sui due punti allo stesso tempo.

La prima cosa che accadrà, sarà che smetterai di pensare e rimuginare secondo i soliti schemi, poi arriverà il vuoto. Resta lì. All’inizio durerà poco, potrai avere l’impressione che non sia accaduto nulla. In realtà hai aperto un varco fra gli infiniti possibili. Con gratitudine, senza pregiudizi, accogli tutte le libertà del presente. Tutto è presente, tutto ciò di cui sei convinto, che sai, è il passato. Come puoi trovare nuove vie, se non esci dal sentiero battuto?

Ancora forse non lo sai, ma sei andato a connetterti con la frequenza di tutto ciò che esiste, le piante, la terra, l’universo, l’energia costante e incondizionata in continua evoluzione, che contribuiamo tutti a creare.

Nella libertà ci sono tutte le soluzioni, le illimitate possibilità del tempo. Viaggiarci attraverso, è già il dono della strada da percorrere.

 

P.S. Per chi vuole ancora sperimentare, sempre scaricabile gratis on-line su You tube:

 

 

CHI ERANO I LUNATICI? Gesù, gli Esseni

Domenica ci sarà luna piena. Da qualche tempo nei media, fra la gente, mi sembra di poter affermare che è aumentata l’attenzione per simili notizie. Niente di nuovo, fra l’altro. La tradizione vuole che nel plenilunio, si faccia il punto su cio’ che va o non va nella nostra vita, per chiudere, lasciar andare o riparare. Eccoci pronti poi, con la luna nuova, a ricominciare d’accapo.

Anticamente, in Israele, la luna nuova di primavera spingeva uomini e donne verso le propaggini del deserto per digiunare quaranta giorni e pregare in solitudine, nelle caverne. Venivano chiamati I lunatici, perché erano quasi sempre uomini, alcuni cercavano la guarigione dalla malattia, altri, colpiti da un lutto recente, volevano onorare il defunto oppure cercavano l’illuminazione, come gli Zeloti che intendevano mettere in pratica l’insegnamento di Isaia che ammoniva di preparare la via del Signore nel deserto.

Di rado c’erano donne, anche perché i luoghi erano impervi, pieni di serpenti e leopardi. Se c’erano, fuggivano la vergogna della sterilità – sempre vissuta come una colpa – terrorizzate dal pericolo d’essere ripudiate. Poteva capitare di veder occupare le caverne anche da un badu, un nomade dei deserti più a sud, riconoscibile dai capelli e la barba tinti con l’henné e dai bracciali d’argento ai polsi.

D’altra parte si trattava di un territorio di passaggio delle carovane che andavano a Gerusalemme e al mare di Jerico per commerciare ogni sorta di prodotto: vino, fichi, argento, rame, filati di lana, statuette, papiro, sale. Doveva esserci un’atmosfera affascinante, fra i bruni e i gialli assolati della terra aspra, fra rocce e cespugli di rovo, un mutuo riconoscersi a distanza, concedendosi qualche breve scambio in un miscuglio di lingue che probabilmente andavano dall’aramaico al greco.

E’ plausibile che in un contesto simile, alla debole luce del sottile arco di luna che segnava l’inizio del digiuno, ci sia stato anche Gesù, proveniente dalla Galilea.

E’ plausibile, anche perché vicino a Masada, verso la valle del Mar Morto c’erano gli insediamenti degli Esseni, comunità ebraiche di antichissima tradizione, delle quali potrebbe aver fatto parte Gesu’.

Si trattava di gruppi che vivevano in totale comunanza, predicando la non violenza (non sacrificavano animali come rabbini e farisei), lavorando e pregando, nutrendosi solo di vegetali, custodi di dottrine esoteriche gelosamente tramandate. Erano considerati medici e guaritori e dicevano di operare intercettando energie angeliche. La loro cultura affondava le radici in saperi lontani, dagli insegnamenti indiani dei Veda, al culto di Zarathustra, da quello dell’albero sacro dell’Illuminazione dei Buddhisti al monoteismo egizio di Aton.

Credevano nella reincarnazione, in virtù di un progetto dell’anima, nella capacità di creare la propria realtà, intervenendo su pensieri ed emozioni e sostituendoli con pace e compassione.

In un’epoca in cui le conoscenze scientifico-mediche erano scarse, gli Esseni credevano nella nozione d’integrità fra corpo-anima, fra corpo fisico e sottile e le terapie erano incentrate sul riequilibrio energetico fra materia e spiritualità.

Niente di più moderno, vero? Allora non offendiamoci più se ci danno dei lunatici, anzi, anche senza digiunare quaranta giorni, in questo week-end, possiamo dedicare un po’ di tempo a noi stessi e festeggiare la nuova luna con nuovi sogni e progetti.

CREARSI UN FREE SPACE PER SUPERARE QUESTA FASE DI STALLO

I media hanno festeggiato la fine del lockdown. I media! – preciso – perché la cosiddetta normalità è ben lontana ancora dalla vita vera della gente.

Al di là delle formule di rito infatti, molte persone mi hanno scritto rivelando un sentimento di grande frustrazione, malinconia, apatia. “Non è stata la gran festa d’opportunità che immaginavo” ”E adesso, cosa succede?” “Il ritrovarci, con quella persona, mi ha deluso”…

Non sono sorpresa. In questo momento le energie generali sembrano in stallo, sembra di vivere sospesi sulle nostre attese. Ci aspettavamo grandi soluzioni, in seguito a nostre grandi e piccole ri-soluzioni e invece…

Energeticamente invece passiamo attraverso continui up&down, fisicamente ciò si traduce peraltro in momenti di iperattività e in altri di grande spossatezza. Globalmente ci sono ritardi in tutti i campi. Molti di noi si sentono disillusi, siamo in attesa di eventi che devono accadere, che abbiamo invocato, ma non dipendono solo da noi. Di qui, un grande senso d’impotenza.

Cosa fare? La risposta non è facile. Perché non possiamo che passare attraverso l’accettazione. Non un’accettazione passiva e triste però. Dobbiamo darle una qualche ricchezza.

Un modo, può essere quello d’individuare un nostro free space, totalmente nostro, un concetto poco legato al tempo e allo spazio, o meglio legato, ma da un punto di vista energetico e spirituale.

Può essere rappresentato certo, da un interesse specifico: uno sport, la lettura, il giardinaggio, lo yoga, o da un talento: l’abilità manuale di fare oggetti, cucinare etc. Ma non solo. Il punto è nutrire lo spirito, la propria interiorità facendo queste cose.

Come? Si dirà. Grazie tante, ma come so che sto nutrendo la mia interiorità?
La risposta va cercata nella gratuità.

Non si tratta di dedicare il proprio tempo libero (free time e non free space) a questa o a quella attività per un risultato specifico (un record, un manicaretto, il premio “balcone fiorito dell’anno”…) ma di coglierne l’ispirazione, godendone almeno un momento in piena coscienza. Non m’interessa soltanto togliere il secco ai fiori delle mie piante per renderle magnifiche, ciò che è importante è fermarsi un attimo cogliendo la pace di un momento di contemplazione di noi stessi in ciò che stiamo facendo.

Chi può, faccia un esercizio di respirazione profonda, servirà a bloccare “la visione” di quel momento. Chi è più sensibile alla bellezza, si concentri sulla luce di quell’istante, il profumo, il suono sullo sfondo, una sensazione fisica.

I guru più esperti lo definirebbero “vivere un momento di eternità e l’eternità di un momento”. Più modestamente io cerco la benevolenza verso noi stessi. Benevolens, la voluntate benefica dei latini, attiva dunque, generatrice, perché “accorgersi” sospende il correre di quelle lancette d’orologio (che, con il loro giudizio, ci ossessionano) unendo benessere fisico, mentale, energetico.

Tutto in fondo è una forma di meditazione. Potremmo dire che si tratta di questo, ognuno lo fa a suo modo. “Meditare è osservare a fondo la natura delle cose” scrive il monaco vietnamita Thich Nhat Hanh in “Insegnamenti sull’amore”.

La pratica della consapevolezza è più alla nostra portata di quanto si possa pensare. E ci può aiutare, ci può aiutare in questo falso momento di normalità.

LASCIAMOCI AIUTARE DALLA POESIA

«La poesia è la madrelingua del genere umano” diceva il filosofo prussiano J.G. Hamann e non posso esimermi dal constatare quanto la crisi di questo genere letterario negli ultimi decenni abbia nociuto all’umanità. Un tempo la poesia era posta al centro della società, poi è stata marginalizzata, relegata a mero vezzo, a ghirigori dilettanteschi, estetica fine a se stessa.

Niente di più sbagliato. Perché non si tratta, appunto, di un semplice genere letterario. Ci sono versi che rappresentano la sintesi stessa della vita, di ciò che d’insondabile affrontiamo tutti i giorni, il mistero stesso alla base di tutto, spesso così sapientemente intuito da un verso.

Non a caso molti degli antichi poeti erano anche mistici: il grande Gialal al-Din Rumi, vissuto in Persia nel 1200 ne è l’esempio più calzante. I suoi versi sono raggi di luce nel buio, illuminano più di tanti discorsi e spesso, in momenti di difficoltà mi hanno indicato la strada. Come non ricordarne alcuni così celebri:
“Là fuori, oltre ciò che è giusto e a ciò che è sbagliato, esiste un campo immenso. Ci incontreremo lì”
“Questo è l’amore; volare verso un cielo segreto, far cadere cento veli in ogni momento. Prima lasciarsi andare alla vita. Infine, compiere un passo senza usare i piedi”

Il libanese Khalil Gibran era poeta, filosofo, aforista e pittore. Come non ricordare “Il giardino del Profeta” e come non ricordare gli insegnamenti di certi suoi versi:
“I vostri figli non sono i vostri figli. Sono i figli e le figlie della brama che la Vita ha di sé. Essi non provengono da voi, ma per tramite vostro, e benché stiano con voi non vi appartengono”
In poche righe, trovi strumenti per capire l’esistenza, in un’immagine, il senso del mistero che ci avvolge e che prima o poi attanaglia anche il più superficiale e distratto degli uomini.

Il poeta ha il dono d’intuire al di là delle nuvole create dalla mente. Talvolta neppure se ne rende conto, canalizza linguaggi non completamente suoi e rivela, suo malgrado. In questo senso penso che tutti i grandi poeti siano stati e siano ancora, a loro modo, connessi con la Sorgente della vita.

Mi pare un’evidenza rileggendo Arthur Rimbaud che non a caso diceva: “Scrivevo dei silenzi, delle notti, annotavo l’inesprimibile. Fissavo delle vertigini” ma anche Emily Dickinson, Giuseppe Ungaretti, C. P. Baudelaire con i loro versi sul Tempo, la Solitudine, l’Amore, il Destino, il Dolore, il Piacere possono ancora oggi farci sentire meno soli, meno “strani”, meno deboli, meno persi.

E da ciò che vedo sui Social tanto deprecati, seppur in forme mordi-e-fuggi, qualcosa si sta muovendo, il bisogno del verso consolatore riemerge, raggiunge anche i più digiuni di libri di poesia. Perché non c’è bisogno d’aver studiato per sentire, amare, immaginare, commuoverci. Questo è il regalo della poesia.

VENEZIA ANNO ZERO

Stamane, nel tragitto fino allo studio del mio commercialista, ho incontrato nell’ordine: un amico ristoratore, un antiquario, un barista, un agente immobiliare. Non parlavamo dalla fine di febbraio. Bilancio di questi mesi nelle conversazioni: depressione. Tutti coraggiosamente aperti. Nessuno all’ora attuale ha ricevuto gli aiuti finanziari promessi dal governo. Fanno fronte con i loro risparmi, ma fino a quando? Prospettive future: nefaste.

Nei discorsi certo traspare tutto l’affetto e la fierezza per la bellezza ritrovata della nostra città. L’acqua trasparente nei canali, i monumenti fruibili nella loro solitudine, le vie d’acqua percorribili, senza gli accalcamenti e gli schiamazzi del turismo di massa. Ma se spingiamo lo sguardo più in là, nel futuro breve, gli occhi si fanno tristi.

Eppure – ce lo diciamo, rianimandoci – questa potrebbe essere l’occasione di ripartire da zero. Si dice sempre che Venezia è senza tempo, ecco, questa potrebbe essere l’opportunità d’inventarci un nuovo calendario, con tutto da riscrivere per dirigere le risorse verso uno sviluppo reale della città, e soprattutto durevole.
“Bisognerebbe che chi l’amministra, ci abitasse! Tanto per cominciare” il solito annoso problema dei sindaci di terraferma. Non conoscono la vita quotidiana qui.

Ma c’è di più: si dovrebbero individuare le grandi direzioni da dare alla città e con quali modalità: l’arte (ma non solo con le Biennali)/ Il turismo (scoraggiando davvero quello mordi-e-fuggi con una serie di coraggiose limitazioni, anche pecuniarie/ Limitando le licenze per negozi di souvenirs e borse, spesso made in China e favorendo i commerci d’uso quotidiano)/l’ambiente e il problema dell’acqua alta (con un ripensamento totale dell’uso di Marghera e la sua bonifica/ le grandi navi etc)/ il mercato immobiliare (con un reale piano per la casa ai veneziani affinché il tessuto demografico locale non continui a depauperarsi)

Nessuno s’illude che una città come Venezia sia facile da amministrare. Ma ora, paradossalmente, abbiamo meno da perdere di prima, forse nulla da perdere… siamo in ginocchio. Perché non provare allora?
In questi giorni, il mare al Lido è trasparente. Poca gente, l’aria profuma di gelsomino e pino marittimo. Mi fa pensare a certe cartoline d’epoca, con signori e damine ben vestitite all’Hotel des Bains, all’Excelsior, o ai té musicali dell’hotel Hungaria.

Se ci provassimo tutti, a cambiare, tenere un decoro, anche personale, quando siamo a spasso per la città, imporlo nei luoghi di ritrovo, intervenendo fermamente quando vediamo una mancanza di rispetto qualsiasi: gente che sporca, che improvvisa picnic, che imbratta i muri, abbandona immondizie, mette i piedi in ammollo nei canali. Se cercassimo di privilegiare il mercato di Rialto e quelli rionali, i commerci locali, i ristoranti e le trattorie “nostri”, se educassimo i visitatori a fare altrettanto, rendendoli co-protagonisti del mondo che visitano e offrendo un turismo più colto (Perché te la devi meritare Venezia!), forse questa città rinascerebbe per l’ennesima volta.

Nietzsche considerava Venezia “un’immagine per gli uomini del futuro”. Profetico o amante del paradosso, è proprio cosi’ che dovremmo cominciare a pensarla.

Capovolgere la visione: non prezioso, agonizzante cimelio dell’antichità, ma scommessa per una città consapevole dei suoi tesori e a misura d’uomo contemporaneo.

Non, metà donna e metà pesce, come si suole dire, ma sirena incantatrice capace di sussurrare al viaggiatore più distratto che questo è il luogo della felicità.

TORNARE A VENEZIA

In treno continuavo a dirmi che tre mesi non sono molti. Ho sempre viaggiato tanto, i miei ritorni non sono neanche ritorni, ma tappe di un itinerario mai terminato, fra case, mondi, entourages cangianti.
Eppure questa volta era diverso. Ero emozionata. La mia assenza non era dipesa da mie decisioni di vagabondaggio, era stata imposta dalla quarantena, dalla minaccia del contagio.

Gli amici mi avevano raccontato i momenti bui, lieti che fossero alle spalle: “La città che vedrai si è riaperta!” mi dicevano. Così m’apprestavo a rincontrarla, la cara Venezia dei miei ricordi più recenti, (ma pur sempre invernali) nella sua veste più bella, a primavera inoltrata, quando si trasforma in una principessa da fiaba.

Bellissima lo è, forse ancora più di prima. La sua fragilità d’alto lignaggio ti s’impone, mentre cammini, fra pozze di sole, nei vicoli stretti, nei campielli semideserti, sulle rive taciturne del Canal Grande. L’impressione è di risveglio indolenzito, in una convalescenza protratta, perché la malattia è stata terribile e la debolezza è rimasta estrema.

I rumori della vita sembrano attutiti dallo scrupolo di disturbare la città appena rimessa in piedi: pochi i negozi, i bar e i ristoranti aperti, i gloriosi hotel terrazzati sono quasi tutti chiusi, niente gruppi di turisti intruppati dietro alla solita guida con bandierina. In Piazza San Marco, qualche coppia forestiera si guarda intorno perplessa. Un uomo s’avvicina alle porte chiuse del caffé Florian: “Questo è il più antico di Venezia!” dice alla moglie, che ha ben poco da guardare, perchè è tutto sprangato. Più in là ritrovo le vetrine di un vecchio negozio d’antan. Vende ancora gli abitini a punto smog che mi comprava la mamma, quelli da brava bambina. Tre ragazzi li guardano distratti, tutti presi dalla solita discussione dei visitatori: “Ci vivrei, non ci vivrei… per un po’ forse, città difficile…” Come se si potesse scegliere d’amare o non amare un sogno!

Si sente parlare veneziano, risalta la parlata molto più di prima. Ovunque c’è lavorio di manutenzione piccola. Qua e là, cambiamento d’insegne di negozi importanti, in Calle XXII Marzo, la passeggiata delle griffes. Su tutto plana un sospiro sommesso, la gente non sa se basterà a risollevarci, a riprendere la vita di prima. Gli imbarcaderi semivuoti sembrano escludere la freneticità cui eravamo abituati. Non si corre, non si grida, niente spintoni per saltare sul vaporino, niente calli intasate da crocieristi sbarcati in massa. Anche il mercato a Rialto è intimo, senza schiamazzi. Compro il pesce, i banchetti sono ricchi di prelibatezze, meno numerosi i fruttivendoli e i verdurai.

Tutto bello, si dirà. Finalmente, Venezia a misura d’uomo. Sì in parte. Ma come mi è già accaduto a Roma dove ho passato la mia quarantena, mi rendo conto che neanche questo è l’autentico volto di Venezia.

Perché la città siamo noi, noi abitanti, con il nostro frastuono e i difetti, fieri di mostrare casa nostra ai curiosi di mezzo mondo, gli ospiti.

E allora stona, anche qui, questo silenzio, questo isolamento da mascherina – se non addosso, almeno in tasca – questa malinconia da fine della festa. Proprio ora che la stagione è più bella, altane e balconi sono in fiore e il sole è caldo, ma non brucia.

PERCHE’ NIENTE POTRA’ MAI IMPEDIRCI DI VIAGGIARE

Come tanti, avendo tra l’altro famiglia all’estero, sto tentando di capire quando potremo riprendere i viaggi a medio e lungo raggio. È tutto collegato all’evolversi della pandemia naturalmente, ma – mi chiedo – in futuro, i governi, potranno davvero impedirci di spostarci?

Non mi riferisco alle esigenze di lavoro o alle tragedie di popoli interi, penso al nostro modo di vivere più profondo, al bisogno intimo di libertà di ciascuno di noi, alla nostra percezione, consapevoli o meno, d’essere in transito, sempre, nel breve o lungo arco dell’esistenza. L’essere umano è nato nomade, cacciatore-raccoglitore.

La prendo da lontano – qualcuno dirà – ma non poi così tanto. Il camminare nel mondo è parte del nostro DNA, integrato nella struttura cerebrale primitiva dell’uomo (“La mente non può separarsi dal viaggio” dice bene Pat Conroy).

C’è chi, come Jacques Attali nell’”Uomo nomade“ teorizza addirittura che la stanzialità non sia che una breve parentesi della storia umana. Se ha permesso egemonie, sfruttamento di risorse e creazione d’imperi, questi hanno finito sempre per non durare e implodere. Per non parlare del fatto che il nomadismo – lo si dimentica spesso – è sempre stato la forza innovatrice del mondo, l’origine delle grandi scoperte, una fondamentale forma d’economia e veicolo dei più grandi passi avanti dell’uomo.

Da ex insegnante di lingue poi, non posso trascurare il valore imprescindibile del linguaggio nello sviluppo cognitivo. La cultura poliglotta è di fatto un esercizio costante di nomadismo. Un nomadismo da fermi – mi piace ricordare – perché basta entrare nel brodo culturale di un’altra lingua, per indossare nuovi occhiali e vedere il mondo diverso, per fondersi “nell’altrove” assorbendone contenuti, abitudini, apprendimenti. Chi ha provato lo sa, persino quando amiamo in un’altra lingua, è un altro film!

Sarebbe radicato insomma, quell’horreur du domicile, citato da Bruce Chatwin in “Anatomia dell’irrequietezza” rubato a sua volta a un verso di Baudealaire (i nomadi sono spesso un po’ furfanti) poiché nel camminare, portandosi appresso più o meno cose e soprattutto il bagaglio di noi stessi, troviamo la strada dei nostri perché più profondi e nascosti.

Anche se il nomadismo per la maggior parte di noi si è evoluto in qualcosa di nuovo, di mordi-e-fuggi (purtroppo spesso superficiale) esiste ancora, e serve, serve, se accettiamo di diventare viaggiatori e renderci meno ciechi, permettendo alle esperienze di fare e disfare l’inventario delle nostre certezze. Soltanto se ci spostiamo, possiamo comprendere cosa ci appartiene e cosa no, cosa amiamo e cosa ci ama, come proseguire, se proseguire…

“Viaggio per viaggiare” diceva Robert Louis Stevenson, uno che se ne intendeva, e sono d’accordo con lui. Poco importa quanto lontano, l’essenziale sta nell’esplorare. Come se, davvero, riscoprissimo che quella è la nostra vera ragione d’essere, e il viaggio permettesse, sempre, a chiunque, di ristabilire l’armonia originale dell’universo, là dove siamo sempre stati liberi d’esistere nella semplicità, nella molteplicità, senza limiti.

GLI ICEBERG IN QUARANTENA

Ammettiamolo, c’è stata molta retorica sul ritrovarsi amoroso delle coppie confinate in casa. C’è chi ipotizzava perfino un futuro baby boom, a testimoniare della straordinaria opportunità di ricominciare, regalataci dal COVIT!

La realtà sembrerebbe meno rosea. Crisi latenti si sono acuite, la noia – non più evitabile – per alcuni si è convertita in discussioni continue, silenzio ostile, freddo glaciale. Per non parlare dei casi di violenza, aggravati dalla convivenza forzata, in tutta Europa. Attivate molte soluzioni d’aiuto ovunque: in Francia, ad esempio, se ci si sente in pericolo ed è troppo rischioso telefonare da casa, una frase in codice puo’ essere pronunciata in farmacia o al supermercato per chiedere aiuto.

In verità, l’allontanarsi di due persone è molto più che una questione geografica. Ed è cio’ che, paradossalmente ho voluto narrare nel racconto d’avventura Iceberg contro Iceberg 

https://www.amazon.it/Iceberg-contro-Francesca-Schaal-Zucchiatti/dp/1729403069/ref=sr_1_5?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&dchild=1&keywords=Francesca+Schaal&qid=1589030022&s=books&sr=1-5

dove la protagonista si sente tradita su differenti piani e si chiede: Cosa unisce davvero? Qual’è il valore di un percorso fatto insieme?

Ognuno di noi racconta la propria storia d’amore in modo diverso, perché l’ha vissuta e percepita fin dall’inizio in modo diverso, nutrendola delle proprie illusioni e delle proprie paure.

Spesso alla base di una crisi c’è un grande fraintendimento. Poi, certo, la vita complica col suo carico di prove, imprevisti, sorprese, responsabilità. In questo senso, l’evidente egoismo del protagonista maschile di Iceberg non è altro che puro analfabetismo sentimentale. Difficilmente sappiamo amare, se non siamo stati amati. Di qui, la vera questione: Come identificare l’amore? Come dare, senza perdersi, in quel dare? E siamo certi poi, di chiedere “vero amore” all’amore?

Il percorso della vita è individuale, non dovremmo mai dimenticarlo, per amore di noi stessi prima di tutto, rammentandoci con Novalis che “Libertà e amore sono una cosa sola”.

In questo forse consiste la crescita, implicita nell’esperienza, positiva o negativa che sia (ed è sempre un po’ tutte e due le cose). “L’amore è un insegnante migliore del dovere” diceva, non a caso, Einstein, la sua lezione, tuttavia, è spesso molto più severa. Per Joan, la protagonista di Iceberg è dura come un pezzo di ghiaccio, ma è anche il solo modo per uscire dal labirinto di una sofferenza antica e provare a respirare la brezza di un’avventura tutta nuova.

E quanto vorrei che la scrittrice ch’ero, allora (uno scrittore puo’ molto, anche se non tutto, per i suoi personaggi!) avesse concluso il racconto di Joan con parole analoghe a quelle di George Sand: “Io ho sofferto più volte, mi sono spesso ingannata, ma ho amato: sono io che ho vissuto e non un essere fittizio creato dal mio orgoglio e dalla mia noia”

(in vendita a Euro 3.99 su Amazon.it o sul sito Francesca Schaal Zucchiatti)

UN NUOVO MODO DI LEGGERE AL TEMPO DEL CORONA VIRUS

So già che molti lettori, quelli veri come me che divorano anche cinque/sei libri in un mese, avranno da obiettare. Il libro è un incontro anche tattile: la grammatura della carta, l’odore, la copertina (un tempo, anche per noi scrittori era un vanto averne una rigida!) e poi la possibilità di sottolineare, scribacchiarci a latere… in un rapporto quasi intimo. Un libro ti accompagna, per un po’ diventa quasi un diario. Una cosa tua.
Poi i tempi sono cambiati.

Abbiamo cominciato a viaggiare con bagagli microscopici. Nei voli law cost, come tanti, ho elaborato tecniche da spia per evitare di metterli nella valigina che ospita già a malapena un cambio e due mutande. Misteriose tasche interne che ti fanno assomigliare all’omino Michelin, volumi incastonati sotto le ascelle mentre passi il check in, false buste duty free con rivista esplicativa di come fare una tovaglia all’uncinetto mi hanno permesso il trasporto clandestino di una piccola scorta di libri in ogni parte del mondo. Ma ora il virus… cosi’ abile da insinuarsi anche fra le pieghe di un pacco postale, sembra averci momentaneamente fregati tutti.

È per questo che ho ceduto anch’io. Ho pensato di aprirmi all’e-book, sia come fruitore che come scrittore. In un istante lo compri ed è tuo, in tablet/cellulare/computer. E per dimostrare che comprendo che non è la stessa cosa, ho voluto offrire il mio romanzo a soli 2.99 Euro !!!

Mi piace pensare che nessuno rischierà la vita per recapitarlo e riceverlo; mi piace pensare che accompagnerà le giornate tutte uguali di qualcuno in questa quarantena sempre più lunga; mi piace pensare che forse la mia storia arriverà alla persona che senza saperlo l’attende, perché come scrive Gabrielle Zevin “Bisogna incontrare le storie al momento giusto (…) Questo è vero nei libri e anche nella vita”; mi piace pensare che un racconto d’amore, di piante e Natura possa distrarre dai bollettini plumbei dei tg e trasportarci già a domani, a quando vivremo tutto di persona e ancora meglio, meglio e di più… molto di più…

Buona lettura e buona vita !

AVERE PAURA NON E’ OBBLIGATORIO + Meditazione

In queste settimane è la parola più usata, viene indossata tutti i giorni come la famosa mascherina che dovrebbe proteggerci. Ma cos’è la paura? La conosciamo davvero?
A ben guardare la paura è soprattutto attesa, aspettazione del male. Per chi in questi giorni è chiuso in casa, magari asintomatico, è soprattutto anticipazione più o meno giustificata del peggio. È insidiosa la paura, difficile da gestire.

Il dolore si piange, si sopporta, occupa; la rabbia si urla, si sfoga, fuoriesce. La paura stagna, s’aggrappa, s’incrosta. Peggio, “Quel che temiamo più d’ogni cosa, ha una proterva tendenza a succedere realmente” diceva l’Adorno, e aveva ragione perché il nostro pensiero ha un potere creatore potentissimo, si autoalimenta, ci logora e poco a poco abbatte le nostre difese.

È imperativo perciò imparare a gestire la paura. Due le citazioni illuminanti che mi portano lontano:
“Si ha paura del disordine del proprio pensiero” (Guy de Maupassant). Cominciamo allora a mettere in fila ciò che ci preoccupa di più. Individuamo per ogni singola situazione, il margine d’azione che ci resta; là dove c’é una soluzione, anche solo parziale, agiamo, là dove non c’è, accettiamo che non ci sia;
“L’assenza di paura è il primo requisito della spiritualità” (Gandhi). Al di là di qualsiasi credo religioso, il riconoscimento della componente di fatalità nella nostra esistenza è già una forma di spiritualità. Non possediamo tutte le risposte, la vita resta un mistero. Affidarglisi con fiducia significa trovare un principio di pace e mettere a tacere, almeno per un po’, la paura. Per riuscirci bisogna rientrare in noi stessi però, riprendere domicilio nella casa del nostro corpo fisico ed eterico. Ed è un lavoro individuale, perché, come scriveva Carlos Castaneda “I paurosi tirano per i piedi chi è intento a volare, per riportarlo a terra. Nella meschinità, si sentono meglio se tutti strisciano“.

Voliamo allora, muoviamoci con quella parte di noi che può scalare montagne da fermo, in prigione. Incontrarlo può essere semplice, anche tramite una breve meditazione.

Io ne ho canalizzata una, Dimentica d’avere paura scaricabile gratuitamente su you tube https://www.youtube.com/watch?v=9jB_TSlh6R8.

 Il mio tentativo è sempre quello di introdurre a questa disciplina le persone più scettiche e non abituate, ma la scelta sul Web è vastissima e tutto è utile se giova e vi parla.

Fare a meno della paura si può, non perché sia facile, ma perché la paura non serve, non ha alcuna utilità.

Non è la paura che deve farci assumere stili di vita prudenti, è l’amore e il rispetto per gli altri.

Non è la paura che ci preserva dai pericoli della libertà, è il cercare quella libertà in profondità, in quella parte invulnerabile dentro di noi.

Non è la paura che innalza le nostre difese immunitarie, è il sentirci già a domani, quel domani in cui potremo riaprire le porte della nostra vita, magari con più coraggio, gioia e determinazione di prima.

DIARIO INTIMO DA UNA ROMA INIMMAGINABILE

Da settimane vivo la quarantena in un piccolo bilocale sui tetti, nel cuore di Roma. Un esiguo, prezioso poggiolo mi consente di bere il caffé del mattino seduta al sole. Davanti a me, i tetti dei palazzi intorno, le terrazze punteggiate dal verde delle piante che, incuranti del COVIT, sentono la primavera premere, e s’aprono.
Le campane delle cupole intorno si rincorrono, suonando con appuntamenti fissi e diversi. Alle 12, il cannone sul Gianicolo interrompe tutti con il solito BOUM. Il resto è silenzio, luce dorata e cinguettii di uccellini vispi, gabbiani maestosi, ma anche “vicini di casa in diretta”.

Stamattina, seduta col caffé in mano, ho ascoltato le news direttamente dal mio dirimpettaio un po’ duro d’orecchi. Dalla sua finestra spalancata uscivano le voci dei soliti giornalisti della tv e dei virologi di turno intervistati. “Sempre peggio!” impreca. “Su su non si butti giù – gli lancio – finirà !” ma temo di avergli annacquato la dose quotidiana di pessimismo cosmico.

Sulla grande terrazza a sinistra, un padre gioca con la figlioletta di due, tre anni. Bambina fortunata, parla a voce alta come fosse al parco, ripete certe frasi fatte che evidentemente ascolta in casa: “Ma vogliamo scherzare…??? Vogliamo scherzare?”. Sembra serena comunque. Non si puo’ dire altrettanto di una finestra sul vicolo. Là dentro una coppia sbrocca. Si rispondono male, con frasi secche. Penso a tutti quei ménage che reggevano in virtù di un lungo, blando guinzaglio reciproco… questa convivenza forzata obbligherà molti ad una presa di coscienza crudele. Ma anche utile forse: “C’è un vero NOI nella prigionia o solo un IO+TE?”. La verità fino in fondo finalmente. E poi quando si ricomincerà a vivere, forse una nuova fase davvero!


Al quarto piano, l’ultimo giro della lavatrice. Centrifuga che rimbomba in tutto il palazzo. Ecco, FINE, nell’aria s’insinua un vago odore d’ammorbidente.

Due strade più in là, un anziano signore pulisce vasi di piante lasciate a se stesse sulla terrazza condominiale. Parla a sua volta con un dirimpettaio, gentilmente, in buon italiano, ma ha un accento che riconosco subito, è francese. Poi pulisce il secco di un gelsomino. C’è anche pace in questa guerra. E mentre lo scrivo, un merlo gracchia.

Ieri, il momento più attivo della mia giornata è stato quando ho gettato l’immondizia sul Lungotevere. Durante quel breve giro di strade, ero frastornata, una comparsa in un quadro di De Chirico. Curiosamente un’appassionata di storia dell’arte come me, al cospetto di Palazzo Farnese, nel silenzio antico di via Giulia, non si sentiva affatto catapultata indietro nel Rinascimento, al contrario cio’ che spaventa di questo virus è il senso spettrale del futuro possibile che riesce a trasmettere, il sentirsi cioé, già nel domani delle nostre città, le nostre bellissime città, senza di noi.

 

LE PAROLE PROFETICHE DI SATPREM SULLA NOSTRA CRISI EVOLUTIVA

Satprem (1923-2007) è uno scrittore francese molto conosciuto. Esponente importante dello yoga di Sri Aurobindo e Mirra Alfassa (la grande mistica conosciuta come Mère) Bernard Enginger è un personaggio da romanzo.

Arrestato a vent’anni dalla Gestapo, per un anno e mezzo viene internato nel campo di Mauthausen. Ne esce vivo ma devastato. Dopo una serie innumerevole di viaggi, approda in India. Sarà qui che comincerà la sua avventura letteraria e spirituale, Mère gli darà il nome di Satprem “colui che ama veramente”. Nel 1977 fonda a Parigi l’Istituto di Ricerche Evolutive, nel 1989 scrive l’autobiografia “La Rivolta della Terra” dove fa il punto sulla situazione umana. In “Neanderthal guarda” (1999) invita gli uomini a risvegliarsi, a cercare la vera umanità.

“L’umanità sta soffocando (…) La nostra crisi è segno che l’Uomo deve cedere il passo ( …) Ma bisogna che gli uomini si trovino in una crisi fisica perchè cambino davvero” Parole profetiche di chi dagli anni ‘90 va dicendo che non si tratta di una crisi meramente morale, legata ai valori o alle diseguaglianze sociali, si tratta di una crisi evolutiva, che lui paragona addirittura al momento in cui i primi esseri viventi passarono da una respirazione bronchiale a quella polmonare.

Insomma “Tutto va a pezzi, dappertutto. Bisogna arrivare al momento in cui la coscienza viri in un’altra dimensione”. Sosteneva che quando si arriva al niente completo, allora qualcosa si muove anche nelle coscienze più chiuse, perchè l’uomo è un essere di transizione.

Ma preferisco tradurre le sue precise parole:

“Tutto è là, nei nostri cuori, ma è necessario che risveglino milioni di uomini che non ne possono più della loro prigione. Le mura devono essere distrutte da una nuova vibrazione che si sostituirà alla vibrazione mentale attuale. Questa prigione si sta già sbriciolando. La fine di uno stadio di evoluzione è generalmente caratterizzato da una recrudescenza di cio’ che deve assolutamente uscire. La terra sembra spaccarsi, le sue strutture sconvolgersi sotto il peso di mille circostanze, ogni giorno. Non è perchè siamo più immorali o non sufficientemente saggi, razionali o religiosi, ma perchè abbiamo finito d’essere “umani” (in questo modo), siamo in piena mutazione verso un mondo radicalmente diverso. Che si vagabondi per le strade in cerca di droghe, avventure, che si facciano scioperi, riforme, rivoluzioni, siamo – senza saperlo – in cerca dell’essere nuovo, in una crisi evolutiva che non ha comparazioni possibili”.

PER QUANDO SARA’ FINITA: QUALCHE LEZIONE-RICORDO DOPO IL CORONA

Finirà. O meglio, quando tutto si attenuerà, si comprenderà che dovremo conviverci, come quando vivi in Africa e malattie terribili si celano indisturbate in interi segmenti della tua quotidianità, senza turbarla troppo. Ma quando riprenderemo le nostre vite, per favore, non tuffiamoci dentro, come se non fosse successo nulla, sarebbe uno spreco non custodire qualche lezione-ricordo. Io ne ho 5:

ARIA PULITA E BELLEZZA. Rammentate com’erano le città quando eravamo bambini? Per giorni le abbiamo ritrovate. Il cielo terso, il rumore dei passi, l’acqua, il ticchettio della pioggia, l’odore del vento. A Roma, ad esempio. Se passeggi sui Fori Imperiali e intorno al Colosseo ti senti assorbito dal silenzio naturale delle vestigia antiche e i pini tutt’intorno sembrano testimoni vivi di quel passato. Dalla cima del Gianicolo, si colgono scorci di sconfinata bellezza leonardesca, senza macchine né pascoli di gente dietro ombrelli e bandierine agitate dalle guide. Succede tutti i giorni, in tutta Italia. E anche se fa male alla nostra economia – non arrabbiatevi, ne sto facendo le spese anch’io – almeno appuntiamoci questi ricordi al petto. Per dopo.

LIBERTA’ DI MOVIMENTO. Ho sempre detto a mia figlia: “Vai pure a vivere dove pensi sarai felice, io, un modo per raggiungerti lo trovero’ sempre, dovessi venirci a piedi, in dromedario o con una navetta spaziale” Invece mentivo. Ora so che non potrei mantenere quella promessa. Oggi, non mi lascerebbero raggiungerla, là dov’è. Semplicemente no. Come tanti, ho sempre dato per scontata la mia libertà di far fagotto. Odiando ogni forma di viaggio organizzato poi, ho sempre vagabondato per il mondo prendendo i miei rischi (miei appunto! Affaracci miei!), libera, fedele al motto di D.H. Lawrence “La vita è nostra per essere vissuta, non per essere risparmiata”. Ed ora, eccomi come tutti, trasformata in albero. Peggio. Non posso far volare via neanche una parte di me, affidandola alle api, agli uccelli, alle formiche…

VERI AMICI. Chi ci ha abbracciato ugualmente, pur con le dovute cautele? Chi ci ha scritto o chiamato per sapere come stavamo? Nelle situazioni difficili le persone che ci amano davvero hanno una luce visibile. Poi si spegnerà e tutte le conoscenze torneranno dello stesso colore, ma non dimentichiamoci quando i più erano al buio.

INCERTEZZA. “La vita è un’avventura audace o niente di niente” diceva la scrittrice attivista Helen Keller (peraltro sordo-cieca) con un piglio che mi appartiene. Veniamo al mondo per sperimentare e imparare. Nulla ci è garantito se non l’opportunità di amare ed essere amati. Meno lo facciamo più la vita si complica e inaridisce. “Vivono male quelli che pensano di vivere per sempre” e lo scriveva un drammaturgo come Publilio Siro al tempo di Cesare, quando chi nasceva aveva un’aspettativa di vita di 27 anni!

PAURA Esistere non è vivere, è come restare a bagnomaria nell’acqua bassa e annaspare. Non è nuotare. Se non nuoti, non vai al largo, non vedi e scopri nulla. “Il più grande errore che si puo’ fare nella vita è quello di avere sempre paura di farne uno”. Aveva ragione lo scrittore-filosofo americano Elbert Hubbard. Quando le cose si mettono male, quando siamo al capolinea, cominciamo a porci le giuste domande… ma dobbiamo proprio sfiorare quel limite? Per fortuna Il Corona virus non ha il potenziale distruttivo di epidemie terribili, è una grande, rara opportunità per decidere di tuffarci nella vita, accogliendone i rischi.

E’ stata, perchè siamo al dopo Corona appunto, perchè è finita l’emergenza, è passata. Per il momento. E solo questo conta.

OLTRE IL DELIRIO “CORONA VIRUS” RICORDA COS’E’ LA VITA

Vorrei provare a fare una riflessione un po’ diversa sul famigerato Corona virus.
In questa settimana, l’Italia tutta, il Veneto e la Lombardia in particolare, si sono scoperti vulnerabili. La parola che fa paura è CONTAGIO.
Tutti i giorni, naturalmente, si muore per i motivi più svariati: alla fine di lunghe malattie diagnosticate, per un’influenza, un infarto improvviso o per nessun motivo apparente – consunzione, se il corpo è vecchio e stanco – o casualità di un incidente.

I media – i famosi media che dovrebbero aggiornarci su tutto! – non dicono quanto sia aumentato nel mondo il numero dei suicidi.

Fra i 15 e i 29 anni, il suicidio è la seconda causa di morte. Ogni 40 secondi sul Pianeta qualcuno si toglie la vita (800.000 persone l’anno) per non parlare del fatto che l’11% degli under 12 del mondo (verosimilmente nei Paesi più Sviluppati) assume regolarmente psicofarmaci e i casi di autolesionismo fra gli adolescenti sono in aumento. Queste sono le vittime d’infelicità della società che abbiamo costruito!

La Malaria (dati Istituto Pasteur) è la prima causa di mortalità infantile in 91 Paesi del mondo con 216 milioni di casi e 445.000 decessi nel solo 2016.

Il Colera, una costante in molti Paesi che ho personalmente vissuto – senza fare vaccino perchè pieno di effetti collaterali invasivi ed evitabile in condizioni di vita decenti! – colpisce da 3 a 5 milioni d’individui in tutto il pianeta, uccidendo una media annua di 95.000 persone.

Ma le epidemie di casa nostra sono apocalittiche! E soprattutto introducono il SOSPETTO nelle nostre privilegiatissime piccole vite. Ci ricordano che la malattia potrebbe colpire ovunque, che potremmo riceverla con un bacio della zia, prendendo il treno, incrociando la persona sbagliata in ascensore, che magari ci sta pure sulle palle salutare.

Quando ero piccola, in Friuli, conobbi la precarietà da terremoto: l’idea era che non eravamo al sicuro da nessuna parte. Avevo nove/dieci anni e curiosamente di quel periodo, ricordo momenti di bella allegria, grandi mangiate conviviali e tutto un preoccuparsi degli altri, un dare e prendere notizie. Ricordo gente antipaticissima, sempre a dieta e di cattivo umore, tirchia, competitiva e criticona, diventata improvvisamente diversa, rilassata in certo modo, finalmente sgravata dal peso di esercitare il controllo su tutto e tutti.
Ecco, spero che la brutta faccenda del Corona virus (brutta, per chi sta male, per l’economia mondiale) abbia anche alcuni effetti positivi su tutte quelle persone angosciate per nulla, ossessionate da pensieri fissi: invidie, rivalità, rancori, frustrazioni e gelosie; gente che sciupa il tempo e se lo lascia guastare da piccinerie. Spero che gli Stati del mondo, scoprendosi vulnerabili e non protetti da armi e frontiere, ritrovino il bisogno e la necessità di unirsi e cooperare.

Auspico insomma che gli esseri umani ricordino che la vita è apprendimento, esperienza di durata non garantita e che per questo essa vada vissuta pienamente e umilmente senza rimandare a domani il progetto che sognamo, l’abbraccio che non diamo per orgoglio o timidezza, il coraggio di fare il regalo che ci costa…

Oso persino pensare che il senso di precarietà e fragilità di questi giorni ci possa portare attimi di felicità da assaporare fino in fondo. Perchè l’esistenza è un mistero e, come diceva Mahatma Gandhi, “La vita non è aspettare che passi la tempesta, ma imparare a danzare sotto la pioggia”.

CHI ERA SAI BABA?

Ci sono molti modi di comprare i libri e sono tutti buoni. Dall’ordine su Amazon, quando so cosa voglio (e spesso non trovo più nelle tanto osannate librerie che tengono sempre gli stessi autori e le insulsaggini d’attualità!) alle bancherelle, ai tradizionali punti vendita, anche second hand. Ciò che mi esalta, ad ogni modo, è lasciarmi trasportare dal Caso o piuttosto dal Destino (per me il Caso non esiste) perché i libri sono incontri, come le persone.
Ecco. Fu così che mi sono imbattuta in Sai Baba.

La foto sepia (di un piccolo libro in copia unica The incredible Sai Baba di Arthur Osborne) che lo ritrae in India, a Shirdi, luogo dove visse gran parte della sua vita, era ipnotizzante, un invito per me ad approfondire. Ma le fonti attendibili in Occidente sono rare, benché Sai Baba nel suo Paese sia considerato un Santo (Sai è santo in persiano e baba è padre in hindi) e il suo ritratto troneggi dappertutto sugli altarini dei devoti.

Di famiglia bramina e cultura indù, viveva poveramente in una Moschea fatiscente, ai piedi di un albero di Nim (che chiamava “the guru place”) perchè dava eguale validità a tutte le religioni, non prescriveva rituali e mantra, non approvava gli estremismi dell’ortodossia, non chiedeva ai suoi adepti di rinunciare al mondo o di vivere in povertà (come faceva Lui). Sosteneva che la Conoscenza Divina, deve essere realizzata non insegnata, che dobbiamo liberarci dal giogo della dualità che ci tiene in scacco e ci impedisce l’accesso ad uno stato Superiore di Coscienza.

Mi è piaciuto subito.

Prima ancora che il devoto gli esponesse il suo problema, Lui dimostrava di sapere i suoi pensieri, il passato recente e remoto, il presente e il futuro. Compì una quantità di prodigi e miracolose guarigioni ma precisava: “Posso fare soltanto ciò che il Fachiro (così chiamava Dio con notevole sens of humor) mi ordina”. E talvolta quindi era costretto a dire ai diretti interessati che la morte di un loro caro era per il meglio “perché quell’anima ha bisogno di un altro corpo per fare il lavoro cui é chiamata”.

La prima cosa che colpiva di lui erano gli occhi – dicono numerose testimonianze – avevano un tale potere di penetrazione che non potevi sostenere il suo sguardo a lungo. Ma non si divertiva ad abusarne o a fare il guru. Tutt’altro. Il suo messaggio era semplice: “Resta con me e stai tranquillo. Io farò il resto” diceva, perché la nostra continua attività mentale (“Il cavallo impetuoso dell’Ego”) con le sue autoconsapevolezze e autoaffermazioni è un impedimento. Tutto ciò che dobbiamo fare è astenerci dall’ostruirlo, avere fede e lasciarlo agire “internamente e segretamente”.

Sai Baba non entrava in trance, non ne aveva bisogno, era costantemente connesso a Prema, l’Amore Divino e diceva di attrarre a sé le persone in sogno, con visioni e percorsi vari, al di là dei confini spazio-temporali. “Attiro a me la mia gente da lontano in molti modi. Sono io che la cerco e la porto a me; non viene spontaneamente. Anche se sono lontani migliaia di miglia, io li attiro a me come uccelli con una corda legata alla zampa”.

Non so, se quel giorno, alla libreria, io sia stata l’uccellino che Sai Baba ha inteso tirare per la zampa. Ma ho voluto condividere questo incontro con le qualche migliaia di persone che ogni settimana seguono il mio blog, sentendo un grande calore nelle parole di questo Padre Spirituale, così simile a Gesù: “Dovunque voi siate, pensate a me e io sarò con voi”. Tali esempi di vita, al di là d’ogni credo, sono fonte d’ispirazione e incoraggiamento magnifico e profondo, anche se non ci è dato di comprendere tutto:
“Io do alle persone ciò che vogliono nella speranza che cominceranno a desiderare ciò che io voglio dar loro veramente”.

P.S. Prima di pubblicare quest’articolo, of course, ho chiesto il permesso a Sai Baba!

LA MUSICA A 432Hz FA BENE. PAROLA DI PINK FLOYD!

Premessa: si può meditare ovunque, in mezzo al traffico, al cinema, a cena (specie se i commensali sono noiosi!). In genere però è più facile e rapido aiutarsi creando un’atmosfera adatta con dell’incenso, una candela, della musica soprattutto. Sulla scelta di quest’ultima, ognuno ha le sue preferenze naturalmente, per la mia meditazione dell’albero (https://www.youtube.com/watch?v=TMyofTe3U1g ) io ho usato una musica a 432Hz, quella che è più in risonanza con le frequenze alla base del nostro organismo.

La musica che normalmente ascoltiamo è a 440 Hz, spesso mal sopportata anche dalle nostre piante. Non è il massimo neanche per le nostre cellule, comporta molte disarmonie (non a caso fu imposta e utilizzata nella Germania nazista da Goebbels come strumento di controllo mentale delle masse).

Accordando il LA a 432Hz (è chiamata infatti accordatura naturale o aurea perchè si rifà alla proporzione aurea, la base della Natura) la musica prodotta entra in risonanza con le frequenze d’armonia dei processi biochimici del nostro corpo. Modificando impercettibilmente la respirazione, il battito del cuore, la sudorazione, la pressione sanguigna, le onde cerebrali e la risposta neuro-endocrina in generale, avvia un processo di riequilibrio e guarigione. Con questa musica si liberano morfine naturali, adrenalina e dopamina. Insomma, oltre a dare al suono un carattere più chiaro e caldo, la musica regolata su 432Hz si propaga nel corpo e nella natura stimolando il fluire dell’energia. Se fate la prova, la sensazione di una maggiore vibrazione interiore è chiaramente percettibile.

Oggi se ne parla come di una novità, ma è tutt’altro che una novità. Il diapason di Verdi era accordato sulla frequenza 432Hz, e anche Mozart la conosceva bene. I mantra, antiche formule spirituali specie nella tradizione indiana e tibetana, riequilibrano i due emisferi cerebrali a questa frequenza.
Non solo: grandi musicisti di oggi – quelli veri! – hanno composto musiche con questa intonazione: i Pink Floyd (Wish you were here ne è un esempio https://www.youtube.com/watch?v=IXdNnw99-Ic) Mick Jagger, Ludovico Einaudi, Emiliano Toso, il chitarrista Enzo Crotti e molti altri.

Il grande veggente Gustavo Rol, acclamato dai potenti del mondo, spiegando come nacquero i suoi poteri, disse: “Ho scoperto la tremenda legge che lega il colore verde, la quinta musicale ed il calore…” intendendo come elemento occulto basilare della vita, la frequenza di suono di 8Hz (ritmo dell’onda Alfa del cervello, livello ideale della Risonanza Schuman della terra, il codice della vita insomma) alla base del processo dei 432Hz, la chiave, secondo Rol per sfruttare al massimo il cervello umano e la sua creatività.
Allora… Buon ascolto!

QUELLO CHE LE PIANTE CI DICONO… Roma 6 Marzo

Francesca Schaal Zucchiatti
QUELLO CHE LE PIANTE CI DICONO…
Workshop interattivo e meditazione dell’albero
ROMA 6 marzo 2020 ore 19.00 – 21.00
LIBRERIA HARMONIA MUNDI

via dei Santi Quattro,26A http://www.harmonia-mundi.it

Prenotazione obbligatoria – in regalo ad ogni partecipante il romanzo
“Cosa fanno le mie piante quando non ci sono”

“Se solo potessero parlare, chissà cosa ci racconterebbero” sento spesso dire, ma non è esatto. Le piante ci parlano già, comunicano già con noi e fra di loro, prendono continue decisioni per il bene comune, soffrono e gioiscono, partecipano alle nostre gioie e alle nostre pene e ci possono insegnare come vivere…

Attraverso mille curiosità scientifiche e non, visitando il racconto di cosmogonie antiche legate alla Madre Terra, esploreremo alcune delle 12 Regole di vita delle piante, insegnamenti saggi, pervasi di spiritualità ma applicabili anche alle nostre scelte di vita quotidiana. Riconoscendo ed affidandoci al nostro “personale albero” impareremo a comprendere il legame straordinario e profondo che ci lega al mondo vegetale, a quello dei boschi e delle foreste, ma anche a quello più comune che vive con noi tutti i giorni, nelle nostre case, nelle nostre città.

E sarà più facile allora, eseguire la meditazione dell’albero ( https://www.youtube.com/watch?v=TMyofTe3U1g ) in modo collettivo, lasciando che il nostro respiro accolga, nel rallentamento, la serenità delle piante, liberandoci dalle emozioni e dall’aggressività che dominano il nostro Ego e inaugurando così un modo consapevole di vivere – in coscienza piena – con gli esseri viventi più antichi e saggi del Pianeta.
Vi lascio con una sura del Corano che mi ha fatto molto riflettere. Attraverso la bocca del Profeta così recita:

Noi abbiamo proposto il nostro segreto al cielo,
alla terra e alle montagne;
tutti hanno rifiutato di farsene carico; hanno tremato all’idea di riceverlo.
L’Uomo l’ha accettato. È un incosciente e un violento. (33,72)

 

 

https://www.harmonia-mundi.it/eventi/quello-che-le-piante-ci-dicono_2020-03-06%20prenotazione%20obbligatoria

VIRUS, MEGAFUOCHI, MARI MALATI: LA NATURA RISPONDE

La Natura, diceva Giacomo Leopardi, è crudele. In realtà la Natura non è né buona né cattiva, semplicemente fa il necessario.
Sa farlo con durezza però. Questo sì! Prepariamoci.

Ero all’estero, qualche settimana fa, oltreoceano, quando giornali e tv internazionali hanno cominciato a parlare di uno strano virus cinese. A me è scattato subito un allarme rosso : “Ecco – dissi a mia figlia – … e i megafuochi”. I fuochi? Il parallelo la sorprese.

Sì, i tragici fuochi in Australia, di proporzioni bibliche (8 milioni di ettari andati in fumo, come dire l’intera Austria), grido di una Natura al collasso, di una fauna disperata. Gli eucalipti, cibo e casa preferiti dei coala e dei piccoli mammiferi del bush (il topo australiano, un tipo di pipistrello, la volpe volante, e i marsupiali con abitudini arboricole), fra i pochi alberi in quella terra in grado di raggiungere dimensioni tali da garantire un fitto sottobosco, sono irrimediabilmente perduti. (Ci vogliono 30/40 anni perché una foresta si ricostruisca in buone condizioni).

Il Corona Virus sembrerebbe provenire dai serpenti che lo avrebbero ricevuto dai pipistrelli (il virus necessita di mammiferi per il proprio ciclo biologico). Sembrerebbe, perché non ci sono certezze. Ma poco importa. Tanto basta ad una breve riflessione.

I serpenti ad esempio sono diventati una realtà in Asia dove è sempre più facile imbattersi su alcuni pericolosi esemplari, anche al di fuori dei mercati, nelle città. A forza di devastare i loro habitat naturali ed “esclusivi”, animali del genere moltiplicano i contatti con specie domestiche e con l’uomo. Tutto si tiene purtroppo. All’origine c’è sempre la nostra scelleratezza, la miopia dello sfruttamento del suolo. Le culture intensive, con i relativi incendi indotti dagli uomini, hanno spostato gli habitat di molti animali. I rettili possiedono una straordinaria capacità di salvarsi dalle fiamme, ma poi se vogliono sopravvivere devono lasciare il suolo devastato dall’incendio perché incapace di nutrirli.

Esattamente come l’innalzamento della temperatura nei mari e l’inquinamento hanno costretto alla migrazione intere specie tropicali e a pericolosi avvicinamenti alla terraferma dove il rischio di trangugiare plastiche e veleni chimici è molto più alto.

Ma anche per noi la vita si fa più difficile! Ad esempio, la presenza del serpente d’acqua dal ventre giallo – molto velenoso! (il suo morso provoca paralisi neuromuscolare e danni irreparabili ai reni) – già molto diffuso in mari ad almeno 18°C, è notevolmente aumentata nell’Oceano Pacifico orientale e nei mari caraibici (qui sopra fotografato con una semplice portatile a poca distanza dalla riva) in zone dove in genere se ne avvistavano pochi esemplari.

Cosa stiamo facendo? Ce ne rendiamo conto? Di certo c’è molto interesse a minimizzare. È sempre avvenuto – si dirà – un naturale adattamento di cio’ che vive sulla Terra e il Corona virus è meno mortale di Ebola e di tanti altri!… Ma qui non c’è nulla di naturale! E la Natura ci sta avvertendo che non provvederà come al solito ad accomodare, anche se l’energia delle care, sagge piante rispunta caparbia dalle ceneri e la bellezza si manifesta ovunque… È bene saperlo. Malgrado tutto, la Terra Madre non ci salverà: è una buona madre, appunto, e ci sta mettendo di fronte alle nostre responsabilità.

SULLA MEDITAZIONE: LE VOSTRE DOMANDE…

È meraviglioso constatare quanto il concetto e, in molti casi, la pratica della meditazione siano entrati a far parte della nostra cultura. Ringrazio di cuore chi mi ha scritto e/o sperimentato LA MIA MEDITAZIONE DELL’ALBERO. Più si entra in questo mondo più si moltiplicano le domande e le curiosità sull’argomento. Difficile, naturalmente, nella brevità di un articolo di blog rispondere in modo approfondito. (Per questo posso solo invitare chi sarà a Roma il 6 Marzo a partecipare all’evento che terro’ alla Libreria Harmonia Mundi alle ore 19.00 http://www.harmonia-mundi.it/eventi/quello-che-le-piante-ci-dicono_2020-03-06   (prenotazione obbligatoria)

Tuttavia proverò a rispondere a qualche quesito proponendo alcuni elementi di riflessione:

La meditazione si fonda sul concetto che il corpo e lo spirito siano inseparabili.

Per curare l’uno è necessario curare l’altro. Nel 1979 Jon Kabat-Zinn decise di laicizzare la meditazione buddista per farla entrare nel mondo della medicina, in ospedale. Di qui il grande successo della pratica negli Stati Uniti, la cosiddetta Mindfulness con effetti misurati concretamente in termini di riduzione dello stress, cura della depressione e del dolore. L’associazione della tecnica semplice allo yoga, alle pratiche di body scan, debriefing etc. hanno dato risultati eccezionali confermati da studi tra l’altro sull’amigdala, la zona del cervello responsabile del comportamento impulsivo e della paura.

Personalmente, tuttavia, sono d’accordo con chi ricorda come lo sviluppo personale implichi un risveglio spirituale, proprio per realizzare quella completezza in grado di garantire il nostro equilibrio psicosomatico. Una filosofia di vita insomma che abbracci la “grande Vita” con “la nostra piccola Vita” in un Tutto che abbia un senso. Per questo dico:

“L’energia si trasmette per vibrazione e si misura in frequenza vibratoria. Siediti o distenditi. Respira. Escludi tutto il rumore, scarica il tuo sistema di pensiero e la tua energia, sospendili. E allora vedrai che subentra la conoscenza liquida, o l’accesso alla coscienza eterna dell’universo fuori dallo spazio e dal tempo, una coscienza che è al tempo stesso coscienza di sé”

Ma attenzione! La meditazione non è un lavoro d’introspezione. Per questo ci concentriamo sulla respirazione, per restare ancorati alla realtà. Per questo la meditazione non risolve i nostri problemi. Essa crea le condizioni di chiarezza, di silenzio, di limpidezza, tali da permetterci di “guardare le cose come sono e con benevolenza”.
In un certo senso questa è la base, il punto di partenza da cui si diramano i vari tipi di meditazione che alcuni di voi hanno evocato nei loro messaggi. Pratiche zen, d’ipnosi regressive, autoipnosi, di visita dei campi akashi, meditazioni per entrare in contatto con angeli, esseri di luce, guide o defunti sono alcune della tante forme assunte per aprire canali di comunicazioni ancestrali e invisibili.
La meditazione con le piante o nella foresta come il shinrin-yoku, molto praticato in Giappone, ha la funzione di riconnetterci con la sacralità della Natura, la sua profonda spiritualità nella semplicità. Restituire alla Terra il ruolo di Madre significa ridare alla nostra vita le giuste proporzioni, il modo migliore per me, di realizzare ciò che il poeta mistico Rumi scriveva in versi:

Il mio occhio viene da un altro universo.
Un mondo da questo lato, uno dall’altro: io siedo sulla soglia.

photos by courtesy of Victoria Schaal

IL GIOCO,L’AMORE,LA FOLLIA: IL TEMA DEL CARNEVALE DI VENEZIA

Sarà che quest’anno le date includono San Valentino, sarà perché da mesi Venezia, nei media, è associata a tutto meno che a gioia, divertimento e passeggiate romantiche mano nella mano (a meno di non avere un solido riparo sulla testa e stivali da pescatore molto sexi!) quest’anno il tema del Carnevale (8/2 – 25/2) sarà “Il gioco, L’amore, La follia”.

E davvero mi sembra un’ottima idea, storicamente molto pertinente, visto che nei secoli Venezia è stata il luogo “del licenzioso tutto possibile” con il suo lunghissimo Carnevale che iniziava ad ottobre per finire con la Quaresima (Il primo documento ufficiale che dichiarò il Carnevale una Festa pubblica risale al 1296!).

I più moralisti forse storceranno il naso, ma io trovo che queste tre parole siano edificanti, sane e raccomandabili a tutti, quanto una cura di vitamine e sali minerali. Perché diciamocelo, chi non ha qualche carenza in merito?!

Il gioco (non quello d’azzardo) è poco presente persino nella vita dei nostri bambini! Troppo occupati a fare i Grandi, per inventarsi il Tempo e perderlo, la vera essenza del gioco. E noi adulti… abbiamo dimenticato il senso della vanità delle cose, la gioia effimera del vivere. “Il gioco è la medicina più grande” diceva, non il leader dei Rolling Stones, ma il saggio Lao Tse. E più piccante, mi piace citare Mark Twain “Giocare consiste in qualsiasi cosa il corpo non sia obbligato a fare” Giochiamo allora in questo 2020, in barba ai problemi d’ogni ordine e grado, giochiamo… servirà a non prenderci troppo sul serio, altra ricetta sicura del buon vivere;
– Il gioco non esclude L’Amore. Tutt’altro! Non c’è amore profondo senza gioia condivisa, leggerezza e sorriso. Chi ha detto che per provare amore vero bisogna grondare sangue e lacrime dalla mattina alla sera? Sono d’accordo con Chaplin: “Chi non ride mai, non è una persona seria” Chi ha detto poi che il gioco della seduzione non sia anche amore? “Due cose ci salvano nella vita – scrive opportunamente il giornalista-scrittore Tarum Tejpalamare e ridere. Se ne avete una, va bene. Se le avete tutte e due, siete invincibili”.
– Quanto alla Follia, col tempo è diventata la mia parola favorita! Sì ci vuole tempo, perché nessuno ce la insegna. E invece è stata e sempre sarà il motore di ricerca della razza umana.
“Tutti i migliori sono matti!” spiega il padre alla piccola Alice nel Paese delle Meraviglie. Buttare la maschera (le maschere! Spesso ne possiediamo più d’una) e diventare il “sognatore sveglio” di Freud è l’insegnamento più utile che si possa dare alle nuove generazioni. Di recente, girellando per l’isola della Martinica, sono incappata in una strada dove mi piacerebbe tanto abitare: rue Pourquoi pas. Il caso vuole sia la risposta automatica che do a mia figlia quando mi confida perplessa un qualche progetto! Perché no? Frequentiamolo un po’ dunque l’homo demens che c’è in noi, da lui vengono le idee più coraggiose.

Buon Carnevale allora a tutti i veneziani stanchi, avviliti e spoetizzati, con l’auspicio che la nostra città ridiventi per noi e per i forestieri un racconto di fate, l’inizio di una libertà ritrovata, la possibilità di vedere il mondo da un punto di vista diverso, quello dei nostri sogni, del Gioco, dell’Amore e della Follia visionaria. Perché a tutti, proprio a tutti è capitato un giorno di pensare come William Shakespeare:
“Nascondi chi sono, e aiutami a trovare la maschera più adatta alle mie intenzioni”

2020 ANNO DEL TOPO, MA NOI NON SIAMO TOPI, PURTROPPO…

Per l’oroscopo cinese il 25 gennaio comincia l’anno del Topo di Metallo.

Una storiella che mi hanno raccontato in Asia racconta che tutti gli animali più belli e importanti erano stati convocati per simboleggiare i 12 simboli dell’oroscopo. Il topo ovviamente era stato escluso. Ma ebbe l’idea di riferire l’indirizzo sbagliato al gatto e così si presento’ al suo posto e divenne uno dei segni zodiacali.

E non uno qualsiasi! Ma il primo! Ad indicare dunque l’inizio di un nuovo ciclo dell’umanità, ricco d’opportunità e di potenziali grandi cambiamenti. Naturalmente starà a noi uomini farne buon uso e prendere le giuste direzioni, cosa poco scontata a giudicare dalle nefandezze cui assistiamo dalla fine dell’anno scorso: i megafuochi ovunque nel mondo, il crescendo delle conflittualità internazionali, la stupidità nelle politiche nazionali dei singoli Paesi… a voler metter il naso e approfondire c’è di che cominciare ad avere il mal di pancia. Ma speriamo che tutto cambi dal magico 25 gennaio. Speriamo di diventare un po’ topi !

 

Eh sì, TOPI! Einstein diceva che se i ratti fossero più grandi sarebbero i padroni del mondo. Infatti pare che abbiano il più veloce ciclo riproduttivo di qualunque altro animale del pianeta. Quindici/diciotto ore dopo aver partorito una cucciolata, la femmina è di nuovo ricettiva e torna feconda. Una vera active female!

I nidi sono molto complessi, comprendono tante camere, un magazzino per il cibo, una latrina. I ratti spesso si dedicano a lavori di ammordenamento della tana, scavano nuove gallerie.
Possiedono un’ottima memoria e sono considerati fra i pochi animali (come loro solo alcuni primati e i delfini) metacognitivi, possiedono cioé la percezione del sé. Sono in grado di percepire gli ultrasuoni e hanno un olfatto prodigioso.

Sono anche molto responsabili nelle relazioni interpersonali: infatti non uccidono mai nessuno della propria famiglia! Cosa che ha fatto dire al nostro bravo Einstein: “L’uomo ha inventato la bomba atomica, ma nessun topo al mondo costruirebbe una trappola per topi”

Insomma, non sarebbe male quest’anno diventare un po’ TOPO ! E a chi torce il naso inorridito al solo pensiero delle pantegane, ricordo che l’anno scorso non stavamo messi tanto meglio… era l’anno del PORCO!

FINE DI UN CICLO DI 7 ANNI, CON L’AUGURIO DI…

Con il 2019 si chiude un ciclo di 7 anni, cominciato nel 2012, per molti di noi un anno chiave, di cambiamenti visibili e invisibili. Le civiltà più antiche, dalle precolombiane alle egizie pensavano che il tempo della vita fosse diviso in cicli settennali di trasformazione. Il Sufismo, corrente mistica islamica, suddivideva in cicli di 7 anni i 4 Tempi della vita umana: Il Tempo della Crescita (7-14-21-28) il Tempo della Stabilità, come realizzazione personale e ricerca di equilibrio (28-56) il Tempo della Prosperità, dall’amore di sé a quello per gli altri (56-84) e l’ultimo ( 84-112), Il Tempo della Saggezza o della libertà dell’anima.

La medicina moderna ha confermato il nostro rinnovo cellulare (ad eccezione di quello del sistema nervoso) ogni 7 anni e anche la psicologia individua in fasi di 7 anni il nostro percorso di crisi e rigenerazione. Niente di sorprendente in fondo, se pensiamo a quanto spesso il numero 7 compare: 7 sono i chakra; 7 gli organi del corpo umano; 7 i colori dell’arcobaleno; 7 le note musicali; 7 i giorni della Creazione; 7 i peccati capitali e gli Arcangeli; 7 le divinità secondo la Cabala Ebraica; 7 il numero della completezza per il Buddhismo; 7 gli attributi di Allah; 7 i cicli dei pitagorici.

Chiudere un ciclo e iniziarne un altro è estremamente stimolante, ma lasciare andare un periodo della nostra vita non è mai facile. Approfitto dell’occasione dunque per inviare qui sotto la mia personalissima lista di auguri, a voi tutti l’invito d’aggiungere voci all’elenco ”con l’augurio di”:

– Di uscire dal girone infernale e chiuso del tempo (che non esiste)
– Di accettare ciò che non puoi cambiare
– Di ridere sulla vita ad occhi aperti
– Di fregartene di ciò che penseranno/diranno/faranno…
– Di trovare una casa nel cuore di qualcuno
– Di capire il segreto della vita (che non è mai stato nascosto)
– Di attrarre ciò che vuoi davvero
– Di provare gratitudine per quello che hai già
– Di scoprire la libertà nell’amore per l’altro
– Di suscitare un piccolo sorriso in tutti quelli che incontri
– Di sognare in grande, oltre la paura
– Di partire anche soltanto con la fantasia in un altrove tutto per te…

Nel 2020 tout est possible! è il momento di vibrare alto! Vi abbraccio!

PER L’ANNO PROSSIMO: CHIEDI LA LUNA!

È la fine dell’anno. Tempo di propositi e speranze. E puntuale l’orologio mediatico e semplificatore di un certo tipo di comunicazione pseudo-esoterica ripropone suggerimenti in versione new age, come la Legge dell’Attrazione. Ma certo in una versione talmente banalizzata da risultare francamente incomprensibile. Ci viene detto infatti, che basta desiderare fortemente qualcosa perché si realizzi. Il campo quantico ricreerebbe la realtà invocata.

Obiezione logica e invincibile, come un teorema: se A esprime il desiderio opposto di B, per uno dei due la legge non funzionerà.
Chiaro. Evidente. L’Ego non può condizionare il campo quantico.

Allora facciamo un passo indietro. L’Universo vibra costantemente, nel vuoto del quantum le onde elettromagnetiche sono in continuo movimento. La legge di risonanza regge l’Universo. Esattamente come nella chimica, una tale vibrazione ha un tale effetto e degli effetti modificatori. Il campo quantico quindi risponde a come siamo, alle energie che emettiamo. Quindi, se pensiamo, sentiamo che una cosa è possibile, non la determiniamo, ma vibriamo alla buona frequenza per intercettarla fra le possibili evoluzioni di quella situazione.

La richiesta – se vogliamo chiamarla così – dev’essere fatta dunque in un stato di coscienza alterato (tipico della meditazione profonda ad esempio), per non limitarsi ad emettere un semplice desiderio (frutto dell’Ego), ma per provare l’emozione di quella realtà, anticiparla come già avvenuta.
In altre parole, si tratta di stimolare l’immaginazione ma un’immaginazione senza confini, perché siamo capaci di censurarci persino quando sognamo. Dobbiamo fare dei nostri sogni una scelta agita, non un desiderio!
E come sempre i poeti ci arrivano prima, con la scorciatoia dell’intuizione magica.

 

“Dimentica la sicurezza. Vivi dove temi di vivere.
Distruggi la tua reputazione. Sii famoso.”
(Gialal al-Din Rumi)

A VENEZIA È LA SPERANZA CHE RISCHIA DI AFFONDARE!

In questi giorni, la grande cassa di risonanza mediatica del dopo alluvione del 12 novembre, ricomposta in una sbadata partecipazione alle recenti, parziali prove del Mose, ha salutato l’esito del Referendum sull’autonomia di Venezia – peraltro ignorato e boicottato – con un’asciutta presa d’atto che le cose sono andate come matematicamente previsto: la città resta legata mani e piedi a Mestre e alla Terraferma.

Pochi – si dirà – i Veneziani “di VeneziaVenezia” che hanno votato e giù a dire che ce la cerchiamo la decadenza della nostra città! Ma ai miei cari lettori che non sanno com’è viverci e a quelli che lo sanno fin troppo bene, io dico che invece li capisco, eccome!

Abitando Venezia da decenni, pur non essendoci nata, sento profondamente il senso di sfiducia e di abbattimento dei miei concittadini.

Spossati da quindici giorni consecutivi di acqua alta durante i quali hanno pulito senza sosta dopo ogni allagamento e subìto l’ennesima ondata e ripulito – perché il tempo incalza e i turisti di Natale arrivano e il salso si radica su tutto e il suo tanfo pure – dopo le promesse, la sfilata dei politici con gli stivali, i selfie divertiti di gente che non sa neppure quali monumenti visita, i Veneziani non ne possono più, non credono più, non sanno più cosa sperare, chi ascoltare. È questo l’affondamento più pericoloso della città!

Lo svilimento che ti prende in quest’arrabattarsi delle istituzioni, del grottesco corteo dei profeti di sventura, dei cosiddetti esperti “del senno del poi”, degli stranieri con le soluzioni di altri Paesi ben lontani dalla nostra laguna, è diventato parte della vita quotidiana di calli e campielli, un chiacchiericcio lontano, sussurrato, come una nebbia che ogni tanto si dirada.
Che fare? Se non resistere, riparare i danni, vivere, aiutarsi, commuoversi ogni volta che succede…


La speranza, l’utopia, sarebbe togliere Venezia all’inerzia e all’ipocrisia tutta italiana delle soluzioni univoche e miopi, ai “soliti” con le mani in pasta, trasformandola in un luogo protetto, super partes, con uno statuto speciale, internazionale che ne faccia un gioiello e una responsabilità di tutti… ma forse, questo, lo auspicavano anche gli abitanti di Atlantide.

CONSIGLI UTILI PER EVITARE UN NATALE DEL CACTUS

Fra poco inizia il solito delirio. Lo sappiamo. Inutile negarlo. Ogni anno cerchiamo di fare gli spavaldi e convincerci che questa volta ce la prenderemo comoda, praticando un nobile distacco dalla retorica delle palle e delle luminarie ipnotizzanti, delle gioiose musichette sfonda-timpani, della neve falsa e delle letterine a Babbo Natale da fingere di spedire in Lapponia. Ci diciamo che sapremo resistere alle tentazioni culinarie del menu pantagruelico: i tortellini naviganti nelle torbide acque del brodo, la pasta al forno, incandescente tradizione familiare (perché dev’essere gustata calda!) che ti asfalta la lingua e il palato fino al 2022, i volatili ben pasciuti sacrificati nel pentolone da druido della nonna, i torroni spacca-denti e i panettoni strozza-fiato.

Pochi ce la faranno, quelli che riusciranno a lasciare il Paese in tempo, con aerei, treni e auto veloci. Poi ci contenderemo i mezzi di fortuna rimasti, le scialuppe di Costa Crociere, le smart, le bici, i monopattini elettrici, i bus, i più temerari s’inventeranno un Camino de Santiago de Compostela sulla tangenziale o il raccordo anulare per lasciare le città dove s’annidano i parenti più numerosi.
Io invece, cari amici, voglio chiudere questo magnifico anno di blog, con un solo consiglio: LIBRI!!! La più economica, salutare, veloce, sicura via di fuga dalla realtà! Ecco qualche idea:

Per l’amico aspirante cantante, che sogna di andare a X-factor e San Remo nello stesso anno: Non far rumore di Mauro Sperandio sarà di sprone;
Alla cugina che ha appena divorziato: Le corna stanno bene su tutto di Giulia de Lellis darà conforto, vedrete!
Alla zitella di famiglia un classico: Il piacere di Gabriele D’Annunzio, sperando che non sia troppo tardi;
Per lo zio afflitto atavicamente dalle emorroidi: Non c’é niente che fa male così di Amabile Giusti darà finalmente la giusta considerazione al suo calvario;
Per il figlio che non si schioda dal divano dei genitori: Parti da dove sei di Pema Chödrön;
Allo scrittore di nicchia come me: Libri scomparsi nel nulla… e altri che scompariranno presto di Simone Berni raddoppierà la fiducia in se stesso;
All’amica cara che ti augura sempre… il peggio: Invidia il prossimo tuo di John Niven farà l’effetto di autobiografia;
All’ultra settantenne pessimista cronico che-tanto-ha-già-vissuto: La fine del mondo prima dell’alba di Inio Asano, da scartare preferibilmente dopo la mezzanotte;
Ai fanatici del sushi, che ti svangano le palle con il ricordo dei ciliegi in fiore: Dio odia il Giappone. Romanzo d’amore e fine del mondo di Douglas Coupland farà rivalutare un buon panino al salame;

E arrivati a questo punto, certo, visto che siete stati così generosi con tutti, perché non premiarvi cercando rifugio nel mondo delle mie adorate piante?
Cosa fanno le mie piante quando non ci sono:  https://amzn.to/2KQWSET  

of course, un ever green è il caso di dirlo! Da assaporare con un eccellente vino in bollicine…

P.S. A parte gli scherzi…

BUONE FESTE, LEGGENDO, SEMPRE…
PERCHE C’E ALMENO UNA FRASE CHE TI ASPETTA IN OGNI LIBRO CHE SCEGLI !!!

SUI GIOVANI? QUANTE IDIOZIE…

Passano per essere lobotomizzati dal cellulare, incapaci d’avere rapporti diretti e franchi fra loro, di credere nell’amore, passano per essere lavativi, pigri, sovrappeso nella media, dediti all’alcool, alle droghe fin da giovanissimi. Una generazione digitale, ignorante, indifferente, data per persa in certe città e zone del mondo, votata al nulla.

“Non vorrei avere vent’anni oggi!” diceva un signore in treno l’altro giorno. Eccome se vorrebbe, bugiardo! avrei voluto rispondergli. Certo, “il guaio è che il futuro non è più quello di una volta! per dirla alla Paul Valery. Ero seccata, molto seccata… e avrei continuato sullo stesso tono:
Caro signore, il punto invece è che bisognerebbe vergognarsi d’essere un adulto!
Uno di quelli che gli lascia il pianeta al collasso;
Uno di quelli che si ricordano dei diritti umani e dei dittatori solo quando gli conviene;
Uno di quelli che fin dalla più tenera età gli ha impedito una vita sana per restare magri naturalmente e non ammalarsi;
Uno di quelli che li tratta come amici o unico scopo della propria vita, da legare a sé ad infinitum;
Uno di quelli che non rispetta i patti e non mantiene le promesse;
Uno di quelli che gli ha rubato il tempo per annoiarsi e trovare la strada della propria creatività;
Uno di quelli che gli ha dimostrato che i matrimoni per la vita non durano;
Uno di quelli che ha preferito dire sempre Sì invece che prendersi la briga di giustificare un No;
Uno di quelli che gli ha boicottato la possibilità di costruire un futuro economico migliore del proprio;
Uno di quelli che gli ha offerto una scuola mediocre che nutre e appassiona solo quando hai la fortuna d’incappare in un insegnante colto e meritevole;

E loro? I GIOVANI di cui tanto si parla… tolto il pugno di mele guaste, i rammolliti (e mai solo per colpa loro) la maggioranza silenziosa cosa fa?

Loro in questi giorni aiutano a pulire Venezia; Loro studiano al Conservatorio; Loro lasciano il Paese per trovare lavoro e realizzarsi; Loro fanno i pendolari in treni puzzolenti per seguire l’Università; Loro ascoltano e sopportano i genitori infelici; Loro mangiano quello che c’è; Loro s’innamorano – eccome! – e soffrono come noi e i nostri nonni; Loro mantengono amicizie vive attraverso i social, malgrado la promiscuità dei rapporti umani; Loro cercano lavori e lavoretti per sbarcare il lunario, anche se sono laureati; Loro vivono ancora a casa dei genitori perchè non se lo possono permettere di spiccare il volo; Loro rischiano la vita per manifestare a Hong Kong e in America Latina; Loro raccolgono la plastica sulle spiagge e sugli argini dei fiumi; Loro cercano di capire chi possono votare senza essere regolarmente traditi; Loro cercano consistenza in un mondo che si sbriciola come un biscotto, ed esempi, ESEMPI in cui credere…

Basta idiozie sui giovani! E a chi cita l’ultimo best-seller di Jonathan Safran Foer che consiglia di smettere di procreare del tutto se si vuole salvare la Terra, io dico: “Sparati tu!”

Scompaiamo noi che non ne siamo stati degni, viziati, insicuri, saccenti, spoetizzati, indolenti, possessivi, pessimisti, bugiardi adulti da poco. Si salvino solo coloro che sanno farsi da parte, aiutandoli, incitando il loro entusiasmo, perché la vita vince sempre e chi non si perde per strada ce la può fare a riallacciare quella fantastica connessione sempre possibile con la felicità.

E allora, scusate il disordine ragazzi! E ricordate le parole dei più saggi:
“Porterai su di te tutte le cose, perché tutte le cose possono cambiare” (Sri Aurobindo)

CHI NON VIVE VENEZIA NON SA

Ne ho sentite tante in questi giorni su Venezia, povera icona di bellezza, emblema della caducità della nostra civiltà, trofeo kitsch per coppiette internazionali, grande nave alla deriva fra le navi crociera.
Quante ne ho sentite su cosa bisognerebbe fare, cosa si sarebbe potuto fare, non si doveva fare, cosa faremo o non faremo, cosa si potrà fare…
Ma in realtà, sono pochi quelli che sanno davvero cos’è vivere Venezia,

che conoscono l’angoscia delle sirene, mentre sei a letto e conti le note per sapere se casa tua andrà sotto;
sono pochi quelli che sanno come ci si sente fieri di questa città quando, certe notti tiepide si svuota di un po’ di turisti infestanti e ritrova la classe di uno scrigno di diamanti in mezzo al mare;
sono pochi quelli che sanno cosa significa portare i bambini all’asilo e fare la spesa, andare al mercato e in ufficio, accompagnare qualcuno in ospedale, un cane dal veterinario, traslocare, trasportare le piante, fare tutto questo a piedi, camminare con la pioggia e il vento, al caldo afoso con i turisti che ti stritolano in vaporetto, tirare il trolley, scendere dai ponti con il carrozzino, pulire i pianoterra dopo l’alta marea, percorrere i sestrieri per incontrare gli amici, sfidare la nebbia d’autunno, festeggiare il Redentore, mettere un cero per proteggere la famiglia alla Madonna della Salute, bersi uno spritz fra amici a fine giornata, il tutto senza macchina, moto, bicicletta, il tutto come un tempo, a piedi, in barca, incrociando lo sguardo di chi incontri nelle calli, agli imbarcaderi, in Palazzo, sui ponti…

sono pochi quelli che sanno come, per tutto cio’ che ho appena descritto, ci si senta fratelli nell’avversità, anche se non si è mai stati amici, anche se ci si diceva a malapena buongiorno, quando arriva una brutta piena, i veneziani si rialzano tutti insieme a pulire, sistemare e riprendere la vita;
perchè sono pochi quelli sanno che non puoi semplicemente parlarne come di una qualsiasi bella città. Venezia è una tentazione, un privilegio, uno sbaglio. Venezia è la vita che non ti garantisce nulla ma ricomincia sempre e ti offre tutto, purché tu sappia avere il coraggio di crederci.

INTELLIGENZA EMOTIVA CONTRO INTELLIGENZA ARTIFICIALE

L’intelligenza artificiale mi fa paura. Perché, come tutti, la frequento già, ma non la conosco, o meglio, non la riconosco. E cio’ che non è facilmente identificabile diventa pericoloso, espandendosi.
Qualcosa di più ho capito dell’intelligenza emotiva, che possiamo stimolare tutti, in noi stessi, con grandi vantaggi. Si tratta pero’ d’essere disposti ad apririci alla coscienza intuitiva, direttamente legata alle nostre percezioni extrasensoriali. Intendiamoci, lo facciamo già, spesso senza rendercene conto.

Avviene ogni volta che tappiamo le orecchie alla coscienza analitica – altrimenti detta Ego o “the mental” – durante la meditazione profonda, il sonno, le esperienze mistiche, l’anestesia generale o il coma. La coscienza intuitiva funziona come un emettore-recettore di dati impercettibili, dati che la nostra intelligenza emotiva puo’ far propri per elaborare forme di comprensione empatiche, profonde, energeticamente alte.

 

Roba da guru, dirà qualcuno. Non esattamente. La scienza ci sta arrivando.

Il mentale ha sede nel cervello, la coscienza intuitiva è collegata al cuore, l’organo che genera il più forte campo magnetico di tutto il corpo, un campo magnetico 5000 volte più intenso di quello emesso dal cervello. Chi dunque dovrebbe influenzare le nostre azioni?

E ancora: da studi recenti, sembrerebbe che il campo magnetico del cuore possa estendersi da 2/3 metri fino a diversi kilometri di distanza dal corpo fisico. Insomma l’intelligenza emotiva trae le sue competenze dalla capacità innata (ma poco frequentata) dell’uomo di connettersi con altre coscienze intuitive, indipendentemente dai rapporti dei rispettivi Ego.

Possiamo creare ponti, inviare amore e compassione, intercettare paure, reticenze, sogni, inganni, comunicare energeticamente con persone lontane, perché tutti attingiamo alla medesima sorgente: quella che Jung chiamava “memoria collettiva”, una dimensione più alta dove tutto si trova connesso a tutto.

Cominciamo a frequentarla dunque, sarà lei a proteggerci dall’intelligenza artificiale, se come dicono, un giorno questa prenderà il sopravvento. E nel frattempo ci saremo goduti la scoperta e l’incontro con il nostro “io interiore”, la vera intelligenza di ogni essere umano.

LE DONNE, IL CLITORIDE E IL PREMIO NOBEL

C’è un libro che fa discutere in Francia, scritto da una storica e sociologa dell’Università di Ginevra, Delphine Gardey. S’intitola “Politique du clitoris” e traccia il primo studio storico, scientifico e politico di quest’organo femminile, il clitorideun’appendice inutile alla riproduzione ma molto utile al piacere della donna! – e quindi, nel corso dei secoli, considerato simbolo da affermare o combattere nel quadro della progressiva affermazione delle donne nella società.

“Una curiosità!” ha lanciato qualcuno – un uomo! – nel corso di un pranzo a Parigi, qualche giorno fa. Ma neanche tanto, ho precisato io, se perfino oggi, nella nostra scanzonata e disinibita società multiculturale, il clitoride viene disegnato col gesso fuori dalle università, esibito nelle manifestazioni femministe come simbolo del diritto al piacere sessuale della donna, fuori da ogni repressione e controllo maschile.

Ricordo che per più di un secolo, dal 1800 in poi, la masturbazione femminile era considerata sindrome di follia e isteria, e ancora negli anni ’20 e ‘30 del 1900 chirurghi reputati praticavano la clitoridectomia, completa di ablazione delle piccole labbra.

Quando ci indignamo sulle pratiche ancor oggi vigenti in molti Paesi dell’Africa o dell’Asia dovremmo ricordarci che la sessualità femminile è sempre stata ostaggio del controllo e del dominio maschile, anche nella nostra evoluta società. Non stupisce dunque, che oggi, proprio in virtù del nuovo multiculturalismo, il simbolo del clitoride torni fuori, e venga esibito come una provocazione che sciocca più di qualcuno. Tra parentesi, se sciocca, se rivolta, vuol dire che in qualche modo è ancora d’attualità.

Conoscere se stesse, il proprio corpo, i suoi desideri mette in causa la propria identità, la consapevolezza del proprio valore e dunque è una faccenda anche politica! Significa affermare che le donne possiedono una personalità completa, dove la testa fa i conti con il corpo e le sue esigenze, i suoi organi, tanto quanto gli uomini.
E siccome non credo alle coincidenze, ma al filo sottile che lega i pensieri, come tracce di riflessioni profonde, non ho potuto fare a meno di soffermarmi sul trafiletto di un giornale comprato all’areoporto per sconfiggere il solito ritardo del mio aereo, che riportava questo semplice dato:

Dal 1901, data della creazione del Premio Nobel, sono state ricompensate (in tutte le categorie) solo 53 donne a fronte di 866 uomini, premiati dalla prestigiosa Accademia.

Allora chiariamoci bene: la struttura cerebrale di partenza non è unica: il cervello maschile e quello femminile sono diversi per natura (come ricorda opportunamente Louann Brizendine nel bel libro “Il cervello delle donne”) esattamente come sono diversi i nostri corpi, fatti per essere complementari. È bene ricordare tutto questo, specie alle nuove generazioni, ribadendo tuttavia –  soprattutto per i più distratti lassù in Svezia! – che comunque, uomini e donne hanno lo stesso numero di cellule cerebrali.

AMBIENTE=NATURA+SPIRITO

Si parla spesso di crisi di valori, disamore per la vita, abbandono delle grandi religioni monoteiste, tramonto delle idologie, degrado delle relazioni umane, materialismo…tutto vero, sebbene non siano sempre condivisibili le analisi che ne individuano le cause. Tutto fisiologico anche, in una società che corre, evolve, procede, inciampa, facendo i suoi sbagli.

Ciò che sorprende però è l’assoluta, sostanziale cecità dei potenti di fronte ai problemi ambientali. Un’ottusità, non soltanto figlia dell’avidità, della sete di potere, ma anche frutto di profonda ignoranza, quasi un non rendersi conto che, oltre all’oggettivo rischio d’estinzione della nostra civiltà, sono i bisogni intimi dei singoli individui ad essere cambiati.

Ci sono voluti i mega incendi di quest’estate perché il Papa invocasse il rispetto della Natura (peraltro con enfasi diversa a seconda che si tratti di fuochi di Bolsonaro o di Maduro!) appellandosi tuttavia a un Dio Creatore sempre posto in alto, da qualche parte, a guardarci da spettatore. Dall’altra parte i giovani di tutto il mondo scendono in piazza “contro i cambiamenti climatici” come fossero la scelta di qualcuno.

Io non sono totalmente d’accordo: i cambiamenti climatici sono anche parte dell’evoluzione della Terra, un organismo vivo, pulsante, cosciente (“respira come un essere umano, dicono i miei amici sciamani, e segue il proprio ciclo di vita”) messo a dura prova, certo, dall’azione scellerata dell’uomo.

E il problema è proprio questo: non riconosciamo più alla Terra Madre la valenza spirituale che tutte le grandi civiltà del passato le accordavano. Se non ripartiamo dalla sacralità della Natura nel suo complesso e nelle sue singole componenti – piante, animali, pietre – ciascuna con un proprio spirito come affermava Gustavo Rol, nessun movimento ambientalista, per quanto agguerrito e ben nutrito dalla paura, riuscirà davvero a cambiare il nostro modo di vivere sul Pianeta.


Se non riconosciamo nel singolo albero la manifestazione piena della matrice stessa dell’Universo, non scatterà la molla dell’Amore, il vero motore di questa rivoluzione. Ma ciò significa tornare anche a un modello di spiritualità individuale, libera, sganciata da dogmi, filtri e gerarchie ecclesiastiche, una religione del cuore che rispetti e ponga sullo stesso piano, corpo, mente, energia, spirito.

Accedere a un livello di coscienza superiore, questo ci riallineerà al movimento del cuore della Terra e modificherà davvero il nostro modo di vivere.

PERCHE’ CI FACCIAMO DEL MALE

Lo scrittore Amitav Ghosh parla dell’attuale crisi culturale della nostra società come di crisi della capacità di credere. Io direi che la faccenda è ancora più seria: sembriamo affetti da autolesionismo collettivo, sensibili all’ebbrezza di una fine che sentiamo avvicinarsi. Un po’ come l’attrazione del baratro per chi soffre di vertigini.

L’Istituto Pio XII sul lago di Misurina (Auronzo) di proprietà della distratta curia di Parma, un’eccellenza italiana nella cura dell’asma, minaccia di chiudere a fine anno per mancanza di pazienti/fondi regionali/buco di bilancio a sei zeri, secondo il solito balletto di notizie poco verificabili dal comune cittadino.

L’indignazione è stata corale, anche grazie all’intervento dello scrittore Mauro Corona e al piccolo contributo del Comitato Save Misurina (http://www.save-misurina.com/ (visita pagina FB) ma la vera domanda è: si farà qualcosa? Riusciremo ad evitare l’ennesimo, assurdo autogol italiano?

Nel nostro Paese, 1 bambino su 10 soffre d’asma. Viste le condizioni climatiche e d’inquinamento del Pianeta si prevede che l’asma sarà una malattia infantile in costante crescita. Centri come Misurina e Davos in Svizzera saranno preziosi. Sempre di più.

Invece, ancora una volta, lo scempio ci viene presentato come una triste fatalità: nessuna responsabilità di amministratori, preti, autorità. Il solito rimbalzo di accuse, promesse e… si vedrà.

Posto che i messaggi di suicidio si dovrebbero scrivere una volta sola, se non altro per un fatto d’educazione e di logica, non potremmo evitare di annunciare la sistematica distruzione, giorno dopo giorno, pezzo dopo pezzo, di quel poco di buono che ancora resiste e si batte in questo Paese, sia pure depresso, moribondo, barcollante sul ciglio del burrone?


Una petizione on line (disponibile anche su pag. Fb save Misurina), un tentativo di scrivere al Papa… appelli al Governatore… La gente, quella vera, vuole tentarle tutte prima di gettare la spugna. Perché qualcuno ci sta suicidando, con brevi, reiterati messaggi di cordoglio.

IL CONTAPASSI,LO SCIOGLIMENTO DELLE CAMERE E DEI GHIACCIAI

Ieri una signora seduta su una panchina contava tutta fiera i passi che aveva “coraggiosamente” compiuto intorno al Lago di Misurina. Io stavo leggendo dello scioglimento delle Camere e dei ghiacci, dell’Amazzonia, il polmone del mondo, drammaticamente in fiamme, scuotendo la testa disperata. La scena mi sembrava surreale.

courtesy by Victoria Schaal

Hill with trees about to burn in red, orange wildfire (V.Schaal)

Io non voglio contare i passi. È terribile tener conto dell’avanzare. Specie quando è illusorio. Quale malefica forza ci spinge a tenere la contabilità di tutto ciò che facciamo, diamo, riceviamo?

Signora, l’energia va spesa, il corpo usato, il cervello impiegato, il cuore donato, l’anima coltivata. Il tempo rielabora e comunque divora, allora perchè contare?

La combustione triste dei nostri giorni (contati, quelli Sì!) sembra la foresta amazzonica che brucia. Nessuno ci restituirà quei passi, ma non vanno nemmeno contati, sono stati un piccolo viaggio. Memorizziamo quello, invece della cifra delle calorie spese, delle scarpe consumate. Impariamo invece a distinguere la gravità irrimediabile di ciò che ci accade intorno.

 

Signora, conti le stelle, conti i governi “del cambiamento” che si susseguono senza una minima visione di futuro, conti gli alberi che non ci sono più, l’ossigeno che diminuisce, conti i ghiacciai che scompaiono, che i nostri figli e nipoti non vedranno mai, conti il tempo che ha perso a contare… e a far finta che è una bella giornata soltanto perchè lei ha bruciato le calorie di una fetta di torta.