GIUSEPPE VERRI: COME ESSERE ARTISTI OGGI?
Non lo immagineresti mai, quando lo vedi impastare quattro farine diverse per preparare la Maza, la sua famosa pizza nel forno a legna, o quando ti spiega come fa crescere il luppolo della sua birra artigianale, per trasformarsi, cinque minuti dopo, nel “re della brace” facendoti gustare una costata da far invidia alla forentina più verace. Ma poi, basta farsi un giro nei terreni attorno al casolare per accorgersi che il suo gettonatissimo agriturismo (il Casale della Mandria tel. 06 93748540) a mezz’ora da Roma, è in realtà un museo a cielo aperto, una fucina d’idee e un alveo di creatività allo stato puro perchè, oltre alle sue gigantesche sculture disseminate qua e là, possiede un piccolo rudimentale anfiteatro in legno dove organizza serate e spettacoli, un punto energetico dove si raduna un gruppo di appassionate di yoga (una grande statua della fertilità ne segnala il centro esatto) e campi di grano, olivi… in un guazzabuglio disordinato e allegro di attività.
Eh già, perchè come me, anche Giuseppe crede che “Tutto è possibile”.
D’altra parte lui ne è la dimostrazione vivente: la laurea in ingegneria era stata il suo destino fin da quando la madre lo aveva in grembo. Terzo di quattro figli, ma primo maschio di casa – “Gli amici mi chiedevano: quando nasce l’ingegnere?” racconta divertita mamma Verri che ancor oggi lo aiuta in cucina – quest’omone imponente dal sorriso aperto, fino a qualche anno fa, lavorava a Roma con giacca e cravatta.
“L’arte è sempre stata presente nella mia vita però, ad oggi avrò fatto più di 700 sculture” precisa. Fin da adolescente, l’amore per la natura e la scultura occupavano parte delle sue giornate e dei suoi sogni per il futuro. Più che di sogni, forse dovrei dire “visioni” perché in lui c’è una qualche veggenza, mescolata a ricordi dell’infanzia più remota. Mi fa pensare al desiderio di Picasso sul letto di morte di saper dipingere come un bambino: la gigantesca statua della figliolina Viola in mezzo ai papaveri; la mega-tromba; la porta glicine intitolata “Open” mi fanno ammirare la sfrontatezza monella di questo Oliver Twist con la barba.
Magnifiche – indizio di vero artista non sfuggito a critici d’arte e curatori – le sculture con materiale di recupero e in ferro “ Il bufalo” “La donna”… e i grandi totem disseminati in giardino, nei materiali più diversi, ad evocare mondi antichissimi, forme catalizzatrici d’energia e misteri insolubili.
D’altra parte siamo sui colli Albani, Lanuvio (l’antica Lanuvium, uno dei 30 populi della Lega Latina che nel 338 a. C. fu sconfitta da Roma) è a pochi passi da qui. E qualche kilometro appena ci separa dal sito archeologico del Santuario di Giunione Sospita, con la famosa grotta dove era custodito il serpente sacro alla dea, a cui, in primavera, venivano offerte focacce da giovani fanciulle. Sospetto che Giuseppe si sia propiziato i favori di tutti gli dei dell’Olimpo mentre divoro uno dei suoi memorabili carciofi, ma poi torno seria, perchè questa faccenda di vivere in luoghi tanto pregni di storia remota non può non intaccare l’ispirazione e la sensibilià di un artista come lui, prototipo vivente di una nuova, moderna stirpe di creativi a tutto tondo, duttili agli stimoli più diversi, ancorati al passato e alla realtà, senza snobismi, ma con un senso profondo d’eternità.
Rimaniamo in silenzio a respirare l’aria umida di pioggia, c’è una luce bellissima che sfugge alle nuvole scure, disegna i contorni dei pini ad ombrello – quelli che ti confermano che sì, ti trovi nel Lazio!! – e non c’è verso, torniamo a parlare d’energia. “Non so come… le cose che mi accadono, vengono a me, da sole. Le attiro”
Qualcosa vibra, lo so molto bene, e concordo: intercettare quell’invisibile legame che ci lega tutti, l’energia stessa che veicoliamo, dentro e fuori dal tempo, è la base d’ogni vera comunicazione possibile, nell’arte come nella vita.