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LASCIAMOCI AIUTARE DALLA POESIA

«La poesia è la madrelingua del genere umano” diceva il filosofo prussiano J.G. Hamann e non posso esimermi dal constatare quanto la crisi di questo genere letterario negli ultimi decenni abbia nociuto all’umanità. Un tempo la poesia era posta al centro della società, poi è stata marginalizzata, relegata a mero vezzo, a ghirigori dilettanteschi, estetica fine a se stessa.

Niente di più sbagliato. Perché non si tratta, appunto, di un semplice genere letterario. Ci sono versi che rappresentano la sintesi stessa della vita, di ciò che d’insondabile affrontiamo tutti i giorni, il mistero stesso alla base di tutto, spesso così sapientemente intuito da un verso.

Non a caso molti degli antichi poeti erano anche mistici: il grande Gialal al-Din Rumi, vissuto in Persia nel 1200 ne è l’esempio più calzante. I suoi versi sono raggi di luce nel buio, illuminano più di tanti discorsi e spesso, in momenti di difficoltà mi hanno indicato la strada. Come non ricordarne alcuni così celebri:
“Là fuori, oltre ciò che è giusto e a ciò che è sbagliato, esiste un campo immenso. Ci incontreremo lì”
“Questo è l’amore; volare verso un cielo segreto, far cadere cento veli in ogni momento. Prima lasciarsi andare alla vita. Infine, compiere un passo senza usare i piedi”

Il libanese Khalil Gibran era poeta, filosofo, aforista e pittore. Come non ricordare “Il giardino del Profeta” e come non ricordare gli insegnamenti di certi suoi versi:
“I vostri figli non sono i vostri figli. Sono i figli e le figlie della brama che la Vita ha di sé. Essi non provengono da voi, ma per tramite vostro, e benché stiano con voi non vi appartengono”
In poche righe, trovi strumenti per capire l’esistenza, in un’immagine, il senso del mistero che ci avvolge e che prima o poi attanaglia anche il più superficiale e distratto degli uomini.

Il poeta ha il dono d’intuire al di là delle nuvole create dalla mente. Talvolta neppure se ne rende conto, canalizza linguaggi non completamente suoi e rivela, suo malgrado. In questo senso penso che tutti i grandi poeti siano stati e siano ancora, a loro modo, connessi con la Sorgente della vita.

Mi pare un’evidenza rileggendo Arthur Rimbaud che non a caso diceva: “Scrivevo dei silenzi, delle notti, annotavo l’inesprimibile. Fissavo delle vertigini” ma anche Emily Dickinson, Giuseppe Ungaretti, C. P. Baudelaire con i loro versi sul Tempo, la Solitudine, l’Amore, il Destino, il Dolore, il Piacere possono ancora oggi farci sentire meno soli, meno “strani”, meno deboli, meno persi.

E da ciò che vedo sui Social tanto deprecati, seppur in forme mordi-e-fuggi, qualcosa si sta muovendo, il bisogno del verso consolatore riemerge, raggiunge anche i più digiuni di libri di poesia. Perché non c’è bisogno d’aver studiato per sentire, amare, immaginare, commuoverci. Questo è il regalo della poesia.

LA MORTE DI EZIO BOSSO E IL RITORNO ALLA NORMALITA’

Ha colpito tutti la morte di Ezio Bosso. L’artista era straordinario tanto quanto la persona – di famiglia umile, non certo nel giro aristocratico della musica – ma è la lezione dell’uomo che prevale, pensando a lui. Non basta essere malati di una malattia terribile, degenerativa, appunto – una che non solo non ti lascerà mai, ma peggiorerà sicuramente, torturandoti – bisogna aggiungere la gioia di un uomo che aveva trovato la sua passione di vita, aveva saputo coltivarla, meritarla, condividerla e appunto essere felice. Uno scandalo dunque, insopportabile! Quando l’esistenza viene onorata, dovrebbe essere lasciata libera di volare. E invece no, spesso s’abbrevia, si sacrifica, s’addensa in distillato d’anni contati.

Nonostante il dolore, le menomazioni fisiche, la difficoltà di esprimersi, Ezio Bosso sapeva essere gentile, disponibile, grato, umile e istrionico al tempo stesso. Questo colpisce in assoluto, se guardi le sue interviste, quella volontà di esistere, quell’entusiasmo nel conservare il bello e dimenticare il brutto.

Le sue parole sono cosi’ profonde e ispirate che stenti a crederle pronunciate da un uomo affascinante e giovane, condannato a soli 48 anni. E sembra proprio calzargli a pennello “La fine è il mio inizio” il titolo dell’ultimo libro di Tiziano Terzani, scritto pero’ da un vecchio, con lunga barba bianca da guru.

Ezio Bosso possedeva una spiritualità laica, applicata alla vita quotidiana che traduceva in comportamenti concreti, come quando diceva “di tenersi stretti i momenti felicivivendoli fino in fondo, usandoli “come maniglia per tirarti su quando non riesci ad alzarti”. C’era un’accoglienza silenziosa, quasi mistica, nel suo modo ‘arreso’ ma non vinto, di vivere la malattia, come un nuovo capitolo, o una nuova stanza dell’esistenza.

Ho spesso pensato, incontrando persone cosi’, a una verità spaventosa, che il dolore possa rendere alcuni di noi – i migliori – più profondi, più visionari, che accenda i loro occhi di maggiore splendore e renda la loro voce più dolce, intrisa di saggezza illuminante per gli altri.

E come stride, accanto ai ricordi del Maestro che si rincorrono sui social, la solita carrellata di notizie, notizuole, polemiche, protagonismi pretestuosi sul ritorno alla normalità (parola strana!) la Fase 2, 1, la 3! Andremo in spiaggia, come ci andremo… e tornerà la seconda ondata di contagi in autunno? Non è concluso maggio che già ci guastiamo ottobre. Sembra di finire di colpo in cantina, senza luce, dopo aver sostato un’ultima volta nel giardino interiore di Ezio Bosso.

E ci vergognamo un poco, ammettiamolo, di lamentarci di questo e di quello, e di chiederci il perché di tutte le cose che non vanno nella nostra vita. Inutili, tortuosi labirinti di pensiero che c’imbrattano i giorni di meschinerie, paure piccole, indolenzimenti mentali, privandoci dell’energia e della leggerezza che dovremmo invece serbare per le cicatrici del presente e del futuro.

Perché questo ci ricordano uomini come Ezio Bosso: il paradosso senza fine, che gli ostacoli sono insegnanti, il dolore, una scuola inevitabile. E mi piace dedicare al Maestro una frase di Khalil Gibran “Il dolore è troppo grande per regnare in piccoli cuori”.