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COSA MANCA NEL MONDO? LA FIDUCIA

La fiducia è come l’amore – mi disse un tipo strano, in Mauritania, decenni fa – se non sai riconoscerla in te stesso, come fai a sperimentarla con gli altri? E’ come l’amore, se non lo hai mai provato, non sai darlo né riceverlo… capisci? Non te ne accorgi neppure che è entrato nella tua vita”

In questi giorni trafelati, mi è venuto in mente come un abbraccio, il vecchio Dihao. Chissà da quanto tempo non è più di questo mondo…Eppure ho pensato alla nostra conversazione, seduti sulla sabbia con un té in mano. Perché, come tutti, seguo le notizie e non credo più a niente. Nulla di cio’ che ascolto è stabile, nella mia mente.

I dati del Covid, in Italia, in Europa, le previsioni, i vaccini, le cure, quando finirà, dove, prima in Europa o in America Latina? Poi sento gli amici all’estero, altre versioni, quelle vissute da ciascuno…mi parlano in lingue diverse e muta anche la sostanza del messaggio, il pathos. L’economia non resisterà e giù ad argomentare, poi arriva l’ottimista, quello che ha investito nella green economy e speri abbia ragione. Ma forse non ci credi, perché i dati sull’inquinamento sono impressionanti e i governi hanno altro a cui pensare…Figuriamoci, se avevano altro a cui pensare prima, quando era il cancro a farci paura e la siccità, e l’invasione di cavallette e la xylella e i ghiacci che fondono !!! Poi ci sono le elezioni in USA, la conta dei voti, le accuse. Comunque vada, si continuerà a dubitare del vincitore e del vinto. E i poteri forti? La grande finanza…Il terrorismo islamico…certo, sempre in agguato, ma meno in pole position nelle nostre paure. Avete notato? Una paura che sgomita via l’altra. E noi, nel marasma, che dubitiamo di tutto.

Continueremo a dubitare, ormai non facciamo altro, anche a livello personale. Nei miei seminari (quelli che ho dovuto annullare SIGH! Pardon, rimandare!) faccio lavorare molto sulla FIDUCIA. E’ lei la grande assente delle nostre vite, è lei l’anello mancante nei nostri progetti, è lei la ”smorza-entusiasmo” dei nostri slanci, è lei che vacilla nelle relazioni personali, è lei che, mutando in fretta come un virus, ci fa fare quel costante passo indietro che la vita punisce, alla fine, come punisce i pavidi e gli ingrati.

Certo, si dirà, è sempre più difficile avere stima di chi ci governa, di chi incontriamo per lavoro e nella vita personale. Quante maschere ci sorridono tutti i giorni…Povertà culturale, furbizia, invidia, falsità minano i rapporti umani e noi, per preservarci, non possiamo che diffidare.

Ma, attenzione, siamo sicuri che sia la giusta soluzione? La perdita puo’ essere immensamente più grande della delusione per una fiducia mal riposta, se essa implica la rinuncia ai nostri sogni. E dal momento che il continuo flusso d’informazioni su cose e persone non puo’ salvarci, anzi, piuttosto, aggrava la nostra percezione fasulla della realtà, non resta che affidarci al vecchio Socrate: Conosci te stesso.

Soltanto quello che Gurdjieff definiva “il riconoscimento attivo della nostra coscienza” nella piena assunzione di cio’ che siamo, puo’ proteggerci dalla tentazione di non avere più fiducia. Accedere alla nostra verità più profonda, all’esistenza che comprendiamo, capire che solo nel perderci possiamo trovarci, che partecipiamo e diamo il nostro contributo comunque, non puo’ che farci salvaguardare la fiducia nella vita, nelle sue forze invisibili e in noi stessi.

Puntare ad una grandezza nuova. Ciascuno, nel suo piccolo, potrebbe davvero salvare il mondo perchè come dice bene Aldo Busi, riecheggiando un vecchio detto di Montaigne sulla bontà: “Non si ha fiducia negli altri perché essi se la meritano, ma perché merita di averla colui che la prova”
E allora partiamo da qui, da noi, per fare un lungo viaggio con gli altri, che comunque ci porterà al punto di partenza: noi stessi.

Mi fido di me?

Sono già al sicuro.

PS. Un abbraccio speciale a tutte/i le/gli iscritti al seminario di novembre a Roma. Grazie. Non è che un arrivederci!  

AVERE PAURA NON E’ OBBLIGATORIO + Meditazione

In queste settimane è la parola più usata, viene indossata tutti i giorni come la famosa mascherina che dovrebbe proteggerci. Ma cos’è la paura? La conosciamo davvero?
A ben guardare la paura è soprattutto attesa, aspettazione del male. Per chi in questi giorni è chiuso in casa, magari asintomatico, è soprattutto anticipazione più o meno giustificata del peggio. È insidiosa la paura, difficile da gestire.

Il dolore si piange, si sopporta, occupa; la rabbia si urla, si sfoga, fuoriesce. La paura stagna, s’aggrappa, s’incrosta. Peggio, “Quel che temiamo più d’ogni cosa, ha una proterva tendenza a succedere realmente” diceva l’Adorno, e aveva ragione perché il nostro pensiero ha un potere creatore potentissimo, si autoalimenta, ci logora e poco a poco abbatte le nostre difese.

È imperativo perciò imparare a gestire la paura. Due le citazioni illuminanti che mi portano lontano:
“Si ha paura del disordine del proprio pensiero” (Guy de Maupassant). Cominciamo allora a mettere in fila ciò che ci preoccupa di più. Individuamo per ogni singola situazione, il margine d’azione che ci resta; là dove c’é una soluzione, anche solo parziale, agiamo, là dove non c’è, accettiamo che non ci sia;
“L’assenza di paura è il primo requisito della spiritualità” (Gandhi). Al di là di qualsiasi credo religioso, il riconoscimento della componente di fatalità nella nostra esistenza è già una forma di spiritualità. Non possediamo tutte le risposte, la vita resta un mistero. Affidarglisi con fiducia significa trovare un principio di pace e mettere a tacere, almeno per un po’, la paura. Per riuscirci bisogna rientrare in noi stessi però, riprendere domicilio nella casa del nostro corpo fisico ed eterico. Ed è un lavoro individuale, perché, come scriveva Carlos Castaneda “I paurosi tirano per i piedi chi è intento a volare, per riportarlo a terra. Nella meschinità, si sentono meglio se tutti strisciano“.

Voliamo allora, muoviamoci con quella parte di noi che può scalare montagne da fermo, in prigione. Incontrarlo può essere semplice, anche tramite una breve meditazione.

Io ne ho canalizzata una, Dimentica d’avere paura scaricabile gratuitamente su you tube https://www.youtube.com/watch?v=9jB_TSlh6R8.

 Il mio tentativo è sempre quello di introdurre a questa disciplina le persone più scettiche e non abituate, ma la scelta sul Web è vastissima e tutto è utile se giova e vi parla.

Fare a meno della paura si può, non perché sia facile, ma perché la paura non serve, non ha alcuna utilità.

Non è la paura che deve farci assumere stili di vita prudenti, è l’amore e il rispetto per gli altri.

Non è la paura che ci preserva dai pericoli della libertà, è il cercare quella libertà in profondità, in quella parte invulnerabile dentro di noi.

Non è la paura che innalza le nostre difese immunitarie, è il sentirci già a domani, quel domani in cui potremo riaprire le porte della nostra vita, magari con più coraggio, gioia e determinazione di prima.

DIMENTICA DI AVERE PAURA

«Dimentica di avere paura… » è l’incipit di un breve poema che scrissi in francese (il titolo originale è “Oublie que tu as peur”) anni fa per una piccola rivista di poesia contemporanea. Compare anche nel mio romanzo “Cosa fanno le mie piante quando non ci sono” non perché abbia uno speciale valore letterario, ma perché mi è venuta in mente spesso in questi anni, sia in riferimento a me stessa, sia leggendo le mail che m’inviano i lettori e le lettrici più affezionati/e (che ringrazio affettuosamente)

La paura è il grande scoglio della nostra vita. Molte filosofie orientali vi accostano la rabbia, ma credo che anche questa sia figlia della paura. È lei, la matrice che condiziona costantemente le nostre emozioni, ciò che diciamo, le decisioni che prendiamo o non prendiamo. Pensare di evitarla è illusorio, ce la portiamo dentro, ce l’hanno inculcata, l’abbiamo ereditata, fabbricata noi stessi. Insomma c’è. E per dirla con Sofocle: “Per chi ha paura, tutto fruscia”

Ma così come sentire il dolore è inevitabile, ma soffrire, intrattenedolo, è una scelta, anche contro la paura possiamo fare qualcosa: possiamo decidere di dimenticarla. Magari solo un po’, il tempo di tuffarci nell’acqua fredda, cancellare un numero di telefono o usarlo, cambiare strada, inghiottire una medicina amara ma benefica, partire, osare…

“Dimentica di avere paura” e fai quella cosa che senti e ti preme, là all’apice dello stomaco. Da domani potrai riprendere la tua dose di paura, vibrare come il pioppo tremulo al vento. Ma intanto l’avrai fatto, avrai provato, deciso, saltato, ingoiato, osato… insomma, vissuto.

Una leggenda racconta che i primi Cristiani intimarono all’alto e fiero pioppo d’inchinarsi di fronte alla croce di Gesù. L’albero rifiutò e Dio lo condannò a tremare per l’eternità. Io penso invece che Dio lo stimò talmente tanto da rendere le sue foglie simili a festosi coriandoli capaci di sussurrare il segreto della vita se sfiorati dal vento: “tutto cio’ che vuoi è dall’altra parte della paura” (Jack Canfield)

A 100 anni dalla I Guerra Mondiale, la paura e il dolore

È d’attualità all’approssimarsi dei primi giorni novembrini, evocare fatti, date, testimonianze del primo conflitto mondiale. L’inutile, assurda carneficina che si concluse un secolo fa è un presente vivo fra le montagne dolomitiche che frequento dalla mia primissima infanzia. Lascio quindi a storici e letterati di pregio il dar conto degli avvenimenti. 

Io quest’estate sono andata alla ricerca della paura, IL SENTIMENTO sviscerato in centinaia di lettere e diari dall’uno e dall’altro fronte, come è facile intuire se si sale al Monte Piana, qui chiamato Monte Pianto, geograficamente separato da un semplice vallo, al Monte Piano, all’epoca in mano austriaca.

Guerra di trincea, ci hanno insegnato a scuola e qui di trincee ne puoi visitare ancora tante, a difesa di posizioni continuamente conquistate e perse in un territorio aspro e brullo, reso ostile dal freddo, dal vento, dalla neve, dalle asperità geografiche, dall’equipaggiamento scarso e inadeguato, dalle armi (lanciamine, granate, mortai, gas ) – quelle sì – sempre più moderne e distruttive, anticipazione delle sofisticatezze belliche del futuro prossimo.

Mai conflitto è stato tanto umiliante, vissuto come assurdo da uomini chiamati a scavare infinite gallerie che ancor oggi ti inghiottono come un animale e ti sprofondano nell’oscurità di pensieri terribili. Mi è facile evocare visioni di uomini con muli e asini carichi, trascinati fin quassù in sentieri stretti e scivolosi, al rischio costante di finire di sotto, risucchiati da burroni tanto profondi da non vederne la fine.

18000 saranno i morti soltanto qui, la maggior parte vinti non tanto dalle armi, quanto dagli stenti, il gelo, le malattie, i crolli e le frane o perché precipitati negli anfratti più aguzzi della montagna.

Mi concentro in silenzio di fronte al legno sopravvissuto delle baracche abbandonate, al filo spinato degli avamposti dove si consumava la guerra dei nervi e dell’attesa, dinanzi ai cimeli ritrovati dappertutto nelle trincee: gamelle, lattine, granate, mortai, la triste supremazia delle cose sulla vita umana. Assorbita in una sorta di meditazione, scivolo sulle pietre e il fango, pregni di tutta la sciagura del mondo, della nostalgia indicibile provata da quella moltitudine di uomini, frastornati dalla fatica e dalla paura, coraggiosi senza retorica, provenienti dagli angoli più remoti della penisola, spesso incapaci di capirsi nella stessa lingua italiana, accumunati dall’attesa di una morte probabile.

Il senso distorto della Prima Guerra Mondiale è tutto nel lamento che ancora qui si ascolta. Il dolore, come l’amore, non scompare. La traccia resta nel tempo-non tempo che qui non avanza, non supera, non dimentica – malgrado i turisti, le targhe commemorative, la campana della pace e il sole che fa capolino fra le nubi – ma tutto assorbe e restituisce, vive e rivive contemporaneamente.

E in questa chiesa a cielo aperto di vite sprecate riecheggia dentro di me quella terribile citazione di A.S.Puskin, tratta dall’Eugenij Onegin (IV, XVI) I sogni e gli anni non hanno ritorno; non rinnoverò la mia anima”

 

Letture consigliate: 

A.S.Puskin, Eugenij Onegin, disponibile qui

Gianni Gallian e G. SegatoFotografia e rimembranza. L’Italia nella Grande Guerra. 4 novembre 2018 Anniversario del Centenariodisponibile qui

Cinzia Rando e L. Terranera, La Grande Guerra… raccontata ai bambini 100 anni dopo, disponibile qui

Per i nostalgici, ricordo anche l’epico film di Monicelli, La Grande Guerra con Gassman e Sordi, disponibile qui.