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ORRORE NAZISTA E POESIA: L’ALBERO DI GOETHE

Avete presente il campo di concentramento di Buchenwald in Thuringia? Qualcuno forse, come me, lo avrà visitato con la scuola, di certo in molti lo hanno visto in film e documentari…

Si trovava sul fianco di una collina brulla, sferzata dal vento che d’inverno era glaciale. Ovunque filo spinato elettrificato. Le baracche allineate in un tetro ordine da avenue si mescolavano a caseggiati più grandi: quello della sala delle docce per la disinfestazione e l’ampio edificio del cosiddetto “servizio di patologia” con l’infermeria e i laboratori. Su tutto svettava il forno crematorio.

In mezzo a questo inferno, pochi sanno che vicino alle cucine, c’era un albero, un grande faggio. Fu pietosamente conservato perchè Goethe era solito venire a passeggiare da queste parti, nei dintorni di Weimar, per pensare e scrivere.

E’ difficile immaginare due momenti della storia tanto lontani e inconciliabili. Eppure quell’albero è stato testimone di atrocità e orrori quanto della più alta forma di creatività dell’uomo.

La morte per genocidio e l’immortalità dell’arte hanno alimentato il silenzio interiore di quel faggio e sarebbe bello potergli chiedere, a questo punto: “Qual è il significato della vita?” Probabilmente risponderebbe come il monaco buddhista Mumon Yamada “La vita non ha nessun significato e nessun non-significato, bisogna viverla!”

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